Appalto interno e responsabilità civile del committente per mesotelioma pleurico contratto dal dipendente dell’appaltatore
12 Maggio 2025
Massima Anche prima che il committente assumesse un’espressa posizione di garanzia, in attuazione delle direttive 89/391/CEE e 92/57/CEE, nell’ambito dei lavori affidati in appalto, sussisteva la sua responsabilità civile, esclusiva o concorrente, originariamente prevista nei soli casi di ingerenza, direttiva o tecnico-operativa, nell'attività appaltata o di manifesta inidoneità dell'appaltatore, per gli eventi scaturiti dall’esposizione ad un rischio derivante dalla conformazione dell'ambiente di lavoro, dovendo destinare all'appaltatore un ambiente di lavoro sicuro. Il caso Gli eredi di un lavoratore, deceduto per mesotelioma pleurico, convenivano in giudizio la società committente presso cui aveva prestato l'attività lavorativa la società appaltatrice, alle cui dipendenze si trovava il loro congiunto nel periodo compreso tra il gennaio 1952 ed il febbraio 1959, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni alla persona subiti, sia iure proprio sia iure hereditatis. Entrambi i giudici di merito accertavano che la malattia professionale fosse scaturita dall'esposizione alle polveri di amianto, presenti nei cantieri navali di proprietà della società committente, che aveva tollerato la loro aerodispersione nell'ambiente in cui aveva operato il de cuius e la condannavano al risarcimento del danno, stante il nesso causale tra la condizione di nocività del luogo di lavoro e il decesso per mesotelioma pleurico, nonché l'inadempimento datoriale all'obbligo di prevenzione sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite all'epoca. La società committente impugnava la sentenza di appello con ricorso per cassazione, sulla base di diversi profili, dolendosi, per quanto interessa questa nota di commento, che la Corte territoriale avesse accertato la sua responsabilità civile ai sensi dell'art. 2087 c.c. in termini di responsabilità oggettiva (primo motivo), ritenendo che “l'adozione delle misure di protezione (quali l'esecuzione di una periodica pulizia ed asportazione della polvere, l'esistenza di un sistema di areazione all'interno dello stabilimento, l'informativa dei lavoratori) avrebbe impedito l'evento” (secondo motivo), trascurando che il dante causa dei ricorrenti successivamente al periodo di esposizione alle polveri di amianto presso il suo stabilimento aveva svolto, per oltre 30 anni, la propria attività presso altri e distinti luoghi di lavoro, subendo una certa esposizione a fibre nocive di asbesto (terzo motivo) e per non aver considerato che nel periodo di esposizione alle polveri di amianto nel proprio stabilimento non esisteva sul mercato tecnologia atta ad evitare o ridurre in modo significativo, quanto al risultato, il pericolo dell'insorgere della malattia professionale (quarto motivo). La questione Sussiste la responsabilità del committente, ai sensi dell'art. 2087 c.c., per la malattia professionale contratta da un lavoratore dipendente dell'appaltatore esposto alle polveri di amianto nel luogo di lavoro rimasto nella sua disponibilità? Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte respinge tutte e quattro le censure con una motivazione sintetica, perché fondata, ai sensi dell'art. 118, disp. att. c.p.c., su un consistente numero di sentenze rese dai medesimi Giudici della nomofilachia per respingere le stesse doglianze sollevate in altri processi riguardanti la responsabilità civile sia della medesima società ricorrente quale datore di lavoro di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico (Cass. 25 marzo 2019, n. 8292; Cass. 19 marzo 2019, n. 7640; Cass. 6 novembre 2015, n. 22710) oppure quale committente (Cass. 11 settembre 2015, n. 17978) sia quella di altri datori di lavoro in casi analoghi di decesso per mesotelioma pleurico (Cass. 30 marzo 2015, n. 6352; Cass. Cass. 17 dicembre 2012, n. 26590; Cass. 15 luglio 2014, n. 16149; Cass. 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 5 agosto 2013, n. 18626; Cass. 23 maggio 2003, n. 8204). Per quanto riguarda la presenza delle polveri di amianto nello stabilimento di proprietà della committente, la Cassazione richiama le sentenze con cui era stata accertata l'esposizione dei lavoratori alle polveri di amianto e la sussistenza del nesso di causalità tra l'attività lavorativa a cui i predetti erano stati adibiti ed il mesotelioma pleurico che ne aveva provocato la morte, senza che la società datrice di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., fosse riuscita a dimostrare di avere adottato tutte le misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro svolto, a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti (Cass. n. 8292/2019; Cass. n. 7640/2019). La Cassazione si avvale delle stesse sentenze per sostenere che il committente, ai sensi dell'art. 2087 c.c. e del d.P.R. n. 303/1956, doveva adottare provvedimenti idonei ad impedire o a ridurre lo sviluppo e la dispersione delle polveri nell'ambiente di lavoro, a prescindere peraltro dall'accertamento di una specifica nocività rispetto a determinate patologie, essendo comunque accertata la nocività della polvere (di qualsiasi sostanza) per l'apparato respiratorio, stante la conoscibilità della pericolosità dell'impiego di amianto già ai primi anni del ‘900. Per respingere la doglianza che la patologia poteva essere insorta presso altre imprese committenti, la Cassazione sembra riferirsi alla teoria multistadio, in base alla quale l'esposizione alle polveri di amianto diventa irrilevante solo nel periodo della vera e propria latenza, quando la malattia è divenuta irreversibile sebbene non si sia ancora manifestata; nel caso di specie il lavoratore poi deceduto era stato esposto alle polveri di amianto presso lo stabilimento della società ricorrente in epoca remota, presumibilmente durante la fase di induzione, suddivisa nella fase di iniziazione e promozione, in cui tutte le esposizioni sono considerate rilevanti (Cass. pen. n. 11128/2015). La Suprema Corte aggiunge che non possa escludersi la responsabilità civile della società committente sol perché all'epoca in cui era avvenuta l'esposizione alle polveri di amianto non era entrata in vigore la normativa comunitaria, in particolare, l'art. 7, d. lgs. n. 626/94, alla luce dell'interpretazione costituzionalmente orientata dall'art. 2087 c.c., in quanto proprio le caratteristiche di nocività dei luoghi in cui veniva svolta l'attività lavorativa, rimasti, per come pacifico, nella sostanziale disponibilità e controllo della società, implicava l'assunzione a carico di quest'ultima dell'obbligo di sicurezza unitamente al soggetto datore di lavoro (Cass. 26 gennaio 2023, n. 2393). La Cassazione ricorda che la sempre maggiore frequenza di cantieri nei quali più imprese si trovavano a lavorare ha determinato il tramonto del principio di tendenziale irresponsabilità del committente, divenuto garante per la sicurezza con specifica attenzione all'obbligo di destinare all'appaltatore un ambiente di lavoro sicuro ed all'obbligo di informazione circa i rischi esistenti nell'ambiente di lavoro, rinvenendo il fondamento giuridico di questo duplice obbligo nell'art. 2087 c.c. e nell'art. 5, d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Cass. pen. 15 febbraio 2021, n. 5802). Infatti, osserva la Corte, la responsabilità civile contrattuale ex art. 2087 c.c., in origine riferita al datore di lavoro per l'infortunio accaduto al proprio dipendente, è stata nel tempo ampliata ed estesa ai soggetti, che pur non formalmente titolari del rapporto di lavoro, abbiano la responsabilità dell'impresa o di un'unità produttiva, come i committenti che devono coprire il rischio ambientale, comprensivo dei pericoli derivanti dallo svolgimento dell'attività lavorativa nel loro ambiente di lavoro (Cass. 22 marzo 2002, n. 4129; Cass. 28 ottobre 2009, n. 22818; Cass. 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. 9 maggio 2017, n. 11311; Cass. 10 gennaio 2023, n. 375). Osservazioni Se, in origine, la responsabilità civile del committente era considerata un'eccezione alla regola che unico responsabile degli infortuni accaduti fosse l'appaltatore, gradualmente la giurisprudenza di legittimità, anche prima del recepimento nel nostro ordinamento della normativa comunitaria, ha escluso che il committente potesse disinteressarsi, sic et simpliciter, dell'organizzazione della sicurezza, soprattutto in caso di appalto svolto all'interno di un luogo di lavoro rimasto nella sua disponibilità. In un primo tempo, infatti, la giurisprudenza di legittimità limitava la responsabilità del committente, inquadrata nell'ambito dell'art. 2043 c.c., all'ipotesi di culpa in eligendo, quando avesse scelto come appaltatore un soggetto privo delle necessarie competenze tecniche oppure di culpa in vigilando oppure qualora si fosse "ingerito" nei lavori svolti dall'appaltatore, non consentendo così a quest'ultimo la necessaria autonomia per lo svolgimento del proprio incarico (Cass. pen. 11 ottobre 1989, n. 1659; Cass. pen. 17 dicembre 1993, n. 2502). Successivamente, anche prima dell'entrata in vigore della normativa comunitaria, recepita con il d. lgs. n. 626/94 e il d. lgs. 14 agosto 1996, n. 494, come ricordato nella sentenza in esame, la responsabilità del committente ha conosciuto un ampliamento giustificato sull'espansione dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c.anche ai soggetti diversi dal datore di lavoro, sebbene la Magistratura Superiore abbia escluso una sua responsabilità in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio, non potendo esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori (Cass. pen. 11 dicembre 2017, n. 29582), occorrendo “verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo" (Cass. pen. 4 agosto 2022, n. 30803; Cass. pen. 20 marzo 2019, n.37761; Cass. pen. 2 dicembre 2016, n. 27296; Cass. pen. 18 dicembre 2019, n. 5946; Cass. pen. 10 gennaio 2018, n.7188; Cass. pen. 18 gennaio 2012, n. 3563), percepibilità che non può essere esclusa dalla circostanza che egli abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza (Cass. pen. 24 gennaio 2013, n. 23667; Cass. pen. 15 marzo 2007, n. 19372), restando egli esonerato con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (Cass. pen. 28 novembre 2013, n. 1511; Cass. pen. 8 aprile 2010, n. 15081). In tal modo la Cassazione ha ritenuto sussistente la responsabilità del committente per la violazione dell'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro solo ove esso si fosse reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si fosse riservato i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire (Cass. 1° febbraio 2023, n. 2991; Cass. 22 marzo 2002, n. 4129, Cass. 28 ottobre 2009, n. 22818; Cass. 7 marzo 2012, n. 3563; Cass. 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. 11 luglio 2013, n. 17178). Con l'entrata in vigore della normativa comunitaria, il legislatore ha attribuito al committente, definito come il “soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione”, un'esplicita posizione di garanzia (Cass. pen. 4 dicembre 2012, n. 10608), imponendogli alcuni obblighi, sanzionati penalmente, poi confermati nel d. lgs. n. 81/2008, sia verso i propri dipendenti sia verso i dipendenti degli appaltatori, con l'obbligo di assicurare un ambiente di lavoro sicuro tramite un'adeguata informazione sia sui rischi specifici in esso presenti sia sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (art. 26, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 81/2008), dovendo cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto (art. 26, comma 2, lett. a), d. lgs. n. 81/2008) e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tramite un'informazione reciproca anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva (art. 26, comma 2, lett. b), d. lgs. n. 81/2008). Il committente, allora, che mantiene la disponibilità dell'ambiente di lavoro, ha un debito di sicurezza, che gli impone di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute di tutti i lavoratori presenti nel luogo di lavoro (Cass. pen. 16 giugno 2022, n. 38357; Cass. pen. 24 novembre 2021, n. 46833; Cass. pen. 1° febbraio 2018, n. 9167; Cass. pen. 4 novembre 2008, n. 1825; Cass. pen. 18 novembre 2008, n. 6884; principi affermati pure in ambito civile da Cass. 27 gennaio 2023, n. 2517; Cass. 24 giugno 2020, n. 12465; Cass. 25 febbraio 2019, n. 5419; Cass. n. 19494/2009; Cass. n. 21694/2011; Cass. n. 798/2017). Nonostante che l'esposizione alle polveri di amianto fosse avvenuta prima dell'entrata in vigore della normativa comunitaria, la Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha ritenuto correttamente irrilevante la circostanza che la società committente non si fosse ingerita nell'esecuzione o nell'organizzazione dell'attività appaltata, trattandosi di una patologia derivata da "noxa" presente nel luogo di lavoro, cioè nello stabilimento rimasto nella sua disponibilità (Cass. 17 febbraio 2025, n. 4084; Cass. 12 novembre 2024, n. 29157; Cass. 16 dicembre 2022, n. 37019; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291; Cass. 23 settembre 2010, n. 20142; Cass. 19 agosto 2003, n. 12138). Sui confini della responsabilità del committente, sinora tracciati dalla Cassazione, andrà ad impattare l'eventuale abrogazione referendaria dell'art. 26, comma 4, d. lgs. n. 81/2008, limitatamente alle parole “le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”, recentemente ammessa dalla Corte costituzionale (Corte cost. 7 febbraio 2025, n. 15), in quanto l'imprenditore committente si troverebbe a rispondere in solido con appaltatori e subappaltatori per tutti i danni che l'INAIL non indennizza, a prescindere dall'eventuale inerenza di tali danni a rischi tipici delle attività degli appaltatori e subappaltatori. |