L’ambito applicativo della detenzione domiciliare può essere esteso al padre detenuto?

08 Maggio 2025

Con la presente sentenza la Consulta, a fronte dei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale promossi da due diversi Tribunali di sorveglianza, affronta la questione del differente trattamento del padre e della madre condannati, quanto alle condizioni di accesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare speciale.

Massima

È costituzionalmente illegittimo il divieto di concedere al padre la detenzione domiciliare quando la madre sia deceduta o impossibilitata a occuparsi dei figli, ma questi possano essere affidati a terze persone. Non viola, invece, i principi costituzionali il diverso trattamento, stabilito dall’ordinamento penitenziario, per la donna e l’uomo condannati che abbiano figli di età non superiore a dieci anni ovvero gravemente disabili.

Il caso

Il Tribunale di sorveglianza di Bologna aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, ord. penit., con riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30, 31, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui prevede che la detenzione domiciliare sostitutiva può essere concessa al padre detenuto soltanto “se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”. In via subordinata, il medesimo Tribunale sollevava identiche questioni sul solo inciso “e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”.

Successivamente, anche il Tribunale di sorveglianza di Venezia sollevava la medesima questione di legittimità costituzionale.

La prima fattispecie riguardava un detenuto che aveva chiesto di essere ammesso alla detenzione domiciliare per potersi occupare dei suoi due figli, che erano allo stato accuditi dalla loro sorella maggiore; la seconda, invece, riguardava l’analoga richiesta di un detenuto padre di un figlio gravemente disabile, il quale necessitava di continua assistenza da parte della madre.

In entrambi i casi, i rimettenti si dolgono del differente trattamento del padre e della madre condannati, relativamente alle condizioni di accesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare speciale: in particolare, secondo i due Tribunali di sorveglianza, la differenza di trattamento tra padre e madre detenuto, derivante dalla disposizione di cui all’art. 47-quinquies, comma 7, ord. pen., da un lato, non consentirebbe di tutelare appieno gli interessi dei figli, privandoli indebitamente del rapporto con la figura paterna, dall’altro violerebbe il principio di eguaglianza tra sessi e all’interno del matrimonio, finendo per privilegiare irragionevolmente la posizione della madre rispetto a quella del padre.

La questione

Può essere rimosso nel comma 7 dell'art. 47-quinquies ord. pen., l'inciso “se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre” e, per l'effetto, equiparare la posizione del padre a quella della madre condannata, quanto alle condizioni di accesso alla detenzione domiciliare speciale?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 47-quinquies, comma 7, ord. pen., con cui è stata chiamata a confrontarsi la Corte costituzionale permette di disporre la detenzione domiciliare della madre condannata anche nel caso in cui i figli siano affidati al padre, mentre quest'ultimo, laddove condannato, può essere ammesso alla detenzione domiciliare soltanto ove risulti che la madre sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersi cura dei figli, e non vi si la possibilità di affidarli a persona diversa dal padre.

Ebbene, nell'affrontare la questione la Consulta ricorda, dapprima, di essersi già recentemente confrontata con le questioni di legittimità costituzionale concernenti la parallela disciplina della detenzione domiciliare “ordinaria” di cui all'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), ord. pen., la quale, parimenti, detta regole più restrittive per il padre condannato rispetto a quelle prevista per la madre condannata e come, in quell'occasione, il giudice a quo avesse evocato gli interessi del minore a una relazione continuativa con entrambi i genitori, attraverso il richiamo agli artt. 3 (sub specie di principio di ragionevolezza) e 31, secondo comma, Cost., a differenza degli odierni rimettenti che avevano evocato, richiamandoli congiuntamente, gli artt. 30 e 31 Cost. (cfr. Corte cost., sent., 8 novembre 2023, n. 219).

Nella pronuncia appena ricordata la Corte costituzionale aveva affermato che “i pur rilevanti interessi sottesi all'esecuzione della pena [devono], di regola, cedere di fronte all'esigenza di assicurare che i minori in tenera età possano godere di una relazione diretta almeno con uno dei due genitori” purché il genitore condannato, che versi nelle condizioni previste dalla legge per fruire della misura, non sia socialmente pericoloso, dal momento che, in quest'ultima ipotesi, gli interessi del bambino dovranno necessariamente essere tutelati in forma diversa dall'affidamento a uno dei genitori. In tale contesto, dunque, la scelta del legislatore di assicurare in via primaria il rapporto del bambino con la madre, attribuendo al padre il compito di occuparsi dello stesso allorché la madre non sia in condizioni di provvedervi, è stata giudicata immune da censure per ciò che concerne il profilo della sua idoneità ad assicurare, comunque, il rapporto del bambino con uno almeno dei genitori.

Ciò posto, la Consulta ha ritenuto di confermare le considerazioni di cui sopra, espresse nel 2023, anche con riferimento alla disciplina oggi censurata dai Tribunali di sorveglianza di Bologna e di Venezia, in quanto strutturalmente analoga a quella risultante dall'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), ord. pen., a suo tempo esaminata.

Dal che la non fondatezza delle questioni, aventi ad oggetto l'intero inciso “se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”, formulate dai rimettenti in riferimento agli artt. 30 e 31 Cost.

Quanto, poi, al divieto di discriminazione secondo il sesso nel godimento del diritto alla vita familiare, tutelato dagli artt. 8 e 14 CEDU, sebbene come rilevato dai rimettenti, la Corte EDU abbia più volte affermato che, in linea di principio, solo ragioni assai consistenti possono giustificare differenze di trattamento basate sul sesso nel godimento di diritti rientranti nell'ambito di applicazione di una norma della Convenzione o dei suoi protocolli, non sono tuttavia mancati i casi in cui è stato ritenuto, proprio dalla stessa Corte, giustificato il diverso trattamento riservato alla condannate donne, muovendo dal riconoscimento, a ciascuno Stato, di un ampio margine di apprezzamento nella definizione della propria politica in materia sanzionatoria penale.

Diverso, invece, è il discorso per ciò che riguarda le censure, formulate in via subordinata dal Tribunale di sorveglianza di Bologna, concernenti il solo frammento normativo “e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”, le quali mirano a consentire al padre detenuto di accedere alla detenzione domiciliare speciale quanto meno allorché la madre sia deceduta o sia comunque impossibilitata a provvedere alla cura e all'educazione del figlio.

Al riguardo, già in occasione della più volte ricordata pronuncia della stessa Consulta del 2023, è stato affermato che il principio dell'interesse preminente del minore necessita che gli interessi sottesi all'esecuzione intramuraria della pena debbano, di regola, cedere di fronte all'esigenza di assicurare che i minori in tenera età possano godere di una relazione diretta con almeno uno dei due genitori. Esigenza quest'ultima di cui si è fatto carico il legislatore in numerose discipline, tra cui le due evocate dal Tribunale rimettente quali tertia comparationis: l'art. 47-ter, comma 1, lett. b), ord. pen., che ammette il detenuto padre alla misura, strutturalmente analoga, della detenzione domiciliare “ordinaria” nel caso di decesso o assoluta impossibilità della madre a far fronte alla propria responsabilità genitoriale, senza richiedere l'ulteriore condizione dell'assenza di altre persone in grado di prendersi cura dei figli; e l'art. 275, comma 4, c.p.c., che stabilisce, tra l'altro, il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere a carico del padre del figlio di età non superiore a sei anni, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, in presenza delle medesime condizioni previste dall'art. 47-ter, comma 1, lett. b), ord. pen.

Da qui, quindi, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 7, ord. pen., limitatamente alle parole “e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”.

Osservazioni

La pronuncia in esame si presenta senza dubbio interessante anche laddove la Consulta, dopo aver dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 7, ord. pen., limitatamente alle parole “e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre” sottolinea come rimanga, in ogni caso, fondamentale un attento accertamento, da parte del giudice della sorveglianza, con il necessario supporto dei servizi sociali, volto ad acclarare non solo che il padre condannato non manifesti “un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti” (e di fuga, nelle ipotesi del comma 1-bis), ma altresì che il ripristino della convivenza con i figli minori, in alternativa rispetto all'affidamento di costoro a terze persone in grado di prendersene cura, risponda effettivamente ai loro interessi, alla cui tutela è finalizzata la misura alternativa in esame. Tale rispondenza, inoltre, deve, poi, essere concretamente verificata durante l'esecuzione della misura, al fine di evitare ogni impropria strumentalizzazione dei minori al solo scopo di ottenere il beneficio da parte di un padre in realtà non idoneo alla cura degli stessi.

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