Il figlio del de cuius nato fuori dal matrimonio può interrompere l’usucapione dei beni ereditari prima del passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione?

07 Maggio 2025

I figli nati fuori dal matrimonio possono esercitare azioni idonee ad interrompere il decorso dell’usucapione in favore dei possessori dei beni ereditari prima del passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la filiazione? Oppure il figlio biologico, prima del passaggio in giudicato della sentenza sullo status, non è nella condizione giuridica di compiere atti interruttivi, difettando la vocazione legale?

Massima

Il figlio del de cuius nato fuori dal matrimonio, già riconoscibile secondo la legge vigente al tempo di apertura della successione, ha il potere di interrompere l'usucapione dei beni ereditari, senza dovere attendere il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione. Infatti, ai fini della idoneità dell'atto interruttivo del possesso ad usucapionem di un bene ereditario, non si richiede l'avvenuto acquisto della qualità di erede da parte del figlio, essendo sufficiente l'interesse alla conservazione del patrimonio ereditario, interesse che, nella situazione di cui sopra, sussiste già a partire dalla morte del genitore

Il caso

Nel 2012 Tizio ottiene sentenza di accertamento della propria qualità di figlio di Tizione, il quale, in precedenza, aveva istituito con testamento unica erede la sorella Tiziona. A sua volta quest'ultima aveva nominato erede testamentario Sempronio, il quale insieme alla moglie Sempronia aveva concluso una convenzione matrimoniale con l'intento di ricomprendere nella comunione legale tutti i beni personali dei coniugi - compresi quelli apparentemente acquistati da Sempronio in forza della successione testamentaria di Tiziona (erede apparente di Tizione).

Tizio, dopo la dichiarazione giudiziale di paternità, agiva in giudizio contro gli eredi di Sempronio e Sempronia per vedere riconosciuta, ex art. 687 c.c., la revocazione del testamento con il quale Tizione istituiva la sorella erede e conseguentemente dichiarata l'apertura della successione legittima in suo favore.

La vicenda giudiziale, assai articolata e complessa, sostanzialmente ha reso necessaria la disamina degli interessi contrapposti di Tizio (rectius i suoi eredi) e degli eredi legittimi di Sempronio e Sempronia (i fratelli Sa.): da una parte la pretesa di Tizio - quale erede legittimo di Tizione - di vedersi riconosciuta la proprietà dei beni originariamente intestati al de cuius, e la richiesta di condannare i fratelli Sa. alla restituzione dei prezzi riscossi per gli immobili medio tempore alienati a terzi; dall'altra le pretese degli eredi di Sempronio e Sempronia di veder riconosciuta in loro favore l'avvenuta usucapione dei beni oggetto della domanda di petizione, nonché la salvezza del loro acquisto ai sensi dell'art. 534, commi 2 e 3 del c.c., o comunque ai sensi dell'art. 2652, n. 7 c.c.

In sede di rinvio la Corte di Appello, dichiarata innanzitutto la revocazione ex art. 687 c.c. del testamento di Tizione e la conseguente apertura della successione legittima, accertava che Tizio - unico erede ex lege - fosse il legittimo proprietario dei beni già intestati a Tizione e quindi riconosceva come incondizionatamente fondata la pretesa di Tizio nei confronti degli eredi di Sempronio, quali legittimati passivi rispetto alla petizione – in quanto aventi causa da chi aveva posseduto a titolo di erede. La Corte di Appello negava che i fratelli Sa. potessero far salvo il proprio acquisto ai sensi degli artt. 534 e 2652 c.c., mancando nei vari passaggi un trasferimento a titolo oneroso, e negava altresì che vi fossero i presupposti per l'usucapione dei beni oggetto della domanda di petizione.

Gli eredi di Sempronio e Sempronia proponevano quindi ricorso in Cassazione e gli eredi di Tizio resistevano con controricorso. I giudici di legittimità hanno deciso di rinviare la causa alla Corte di Appello in diversa composizione, enunciando tre principi di diritto ai quali la Corte stessa dovrà attenersi nel decidere la causa.

La complessa fattispecie in esame ha offerto alla Corte di Cassazione l'occasione di esaminare, con spirito molto analitico, le posizioni della giurisprudenza di legittimità sulla tematica dei diritti e facoltà dei figli nati fuori dal matrimonio rispetto alle vicende successorie dei genitori, nonché di approfondire i rapporti tra erede vero ed erede apparente (possessore alienante), come definiti dagli artt. 535,2 comma c.c. e 2038 c.c., ricostruendo le differenze tra azione di petizione e di indebito arricchimento.

La questione

La questione in esame è la seguente: i figli nati fuori dal matrimonio possono esercitare azioni idonee ad interrompere il decorso dell’usucapione in favore dei possessori dei beni ereditari prima del passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la filiazione? Oppure il figlio biologico, prima del passaggio in giudicato della sentenza sullo status, non è nella condizione giuridica di compiere atti interruttivi, difettando la vocazione legale?

Le soluzioni giuridiche

La risoluzione delle problematiche poste dal caso in esame ha reso necessario soffermarsi preliminarmente sulla definizione della posizione dei figli nati fuori dal matrimonio rispetto alla vicenda successoria del genitore: all'uopo la Corte ha esaminato alcuni precedenti giurisprudenziali richiamati dai ricorrenti al fine di vagliarne la compatibilità con la fattispecie esaminanda.

La Corte ha condiviso l'assunto (Cass. n. 14917/2012) secondo il quale per i figli naturali il termine di prescrizione del diritto di accettare l'eredità decorre solo dal passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della filiazione, trovandosi essi, fino a tale accertamento, nell'impossibilità giuridica e non di mero fatto di accettare l'eredità.

La Corte non ha ritenuto però di poter estendere siffatta conclusione anche alla decorrenza del termine utile per l'usucapione in favore dei possessori dei beni ereditari: secondo i giudici di legittimità, infatti, è necessario tenere separato il diritto di accettare l'eredità – non esercitabile prima del passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la filiazione – dalla possibilità di compiere azioni idonee ad interrompere il decorso dell'usucapione – esercitabile anche prima (cfr. Cass. n. 2326/1990). E ciò alla luce dell'efficacia dichiarativa e retroattiva della pronuncia di accertamento della filiazione che rende possibile per il figlio naturale, anche prima del definitivo accertamento della filiazione, disporre dei propri diritti, tra i quali deve intendersi compreso anche il potere di interrompere la prescrizione acquisitiva o estintiva dei diritti ereditari.

Gli altri due principi di diritto enunciati nella sentenza in esame sono in realtà strettamente collegati ed attengono alla definizione dei rapporti tra erede vero ed erede apparente, e dei rimedi esperibili dal primo nel caso di alienazioni compiute dal secondo quale possessore alienante, con particolare riferimento ai confini tra azione di petizione ed azione di arricchimento.

Il ragionamento della Corte prende le mosse dal riconoscimento della validità della convenzione matrimoniale con la quale Sempronio e Sempronia avevano incluso nella comunione legale i propri beni personali, ancorché estranea alla fattispecie tipica dell'art. 228, comma 2 della l. 151/1975: tale convenzione - concretantesi in un atto dispositivo da parte dell'erede apparente in favore del terzo a titolo gratuito – costituisce l'atto di disposizione rilevante nei confronti dell'erede vero.

Ciò premesso, la Corte trae le sue conclusioni: in caso di alienazione a titolo gratuito di beni ereditari da parte del possessore, è applicabile l'art. 2038 c.c.; l'erede vero si potrà rivolgere al terzo acquirente nei limiti del suo arricchimento, ferma la preventiva escussione dell'alienante nella sola ipotesi di mala fede.

Nei confronti del possessore alienante invece l'erede ha a disposizione un'azione tipica, che la giurisprudenza fa rientrare nell'ambito della petizione sia quando sia tendente, ex art. 535, comma 2 c.c., ad ottenere il prezzo o il corrispettivo, sia quando, nel caso di alienazione in mala fede, sia volta a ottenere il valore della cosa.

Resta comunque fermo, secondo la Corte, che l'obbligazione del possessore (avente ad oggetto il prezzo/corrispettivo ex  art. 535,2 comma c.c. ovvero il valore della cosa) nonché quella del terzo a titolo gratuito (nel concorso dei presupposti che ne giustificano l'insorgenza), si trasmettono agli eredi al pari di qualsiasi debito ereditario.

Osservazioni

La sentenza in commento offre un'interessante occasione per analizzare gli effetti dell'accertamento giudiziale della filiazione rispetto alla vicenda successoria del genitore, attraverso l'approfondita disamina delle fattispecie decise dai precedenti giurisprudenziali richiamati dai ricorrenti a sostegno delle loro pretese.

Il ragionamento dei giudici di legittimità muove dalla considerazione che la dichiarazione giudiziale di paternità, intervenuta dopo la morte del genitore, non comporta di per sé l'acquisto della qualità di erede ma fa sorgere il diritto del figlio di venire all'eredità come chiamato all'eredità ab intestato. Infatti, condividendo la posizione assunta sul punto dalla Cass. n. 14917/2012, la Corte ritiene che il presupposto perché operi la vocazione legale del figlio naturale sia il riconoscimento o l'accertamento giudiziale della filiazione.

A questo punto però la Corte, proseguendo nel suo ragionamento, con spirito critico, sottolinea l'equivoco insito nella soluzione offerta dalla sentenza n. 14917/2012, consistente nell'aver (erroneamente) sovrapposto il diritto di accettare l'eredità con il potere di compiere atti interruttivi di prescrizioni acquisitive o estintive di diritti ereditari.

Fondamentale nel percorso argomentativo della Corte è la più attenta e meditata lettura della sentenza n. 2326/1990, che invero aveva già rilevato come i figli nati fuori dal matrimonio - non ancora legittimati all'azione di petizione ereditaria né all'accettazione dell'eredità in pendenza del giudizio di accertamento dello status di figli - sono tuttavia abilitati a compiere, per mezzo della domanda di rilascio o collazione dei beni ereditari, un valido atto di opposizione a tale possesso al fine di farne cessare il carattere pacifico e d'interrompere l'usucapione fino al momento della pronuncia giudiziale che, accertando l'esistenza delle condizioni dell'azione, convaliderebbe gli effetti del previo atto conservativo – interruttivo.

La giustificazione, logica prima ancora che giuridica della conclusione cui perviene la Corte, risiede nell'efficacia dichiarativa e retroattiva dell'accertamento giudiziale della filiazione, che implica la possibilità del figlio di disporre dei suoi diritti prima del definitivo accertamento del suo status, ivi compreso il potere di interrompere la prescrizione dei diritti ereditari. Ai fini dell'idoneità di un atto interruttivo dell'usucapione di un bene ereditario, secondo siffatta ricostruzione, è sufficiente l'interesse alla conservazione del patrimonio ereditario, interesse che sicuramente sussiste per il figlio nato fuori dal matrimonio già a partire dalla morte del genitore. D'altro canto, la Corte richiama a livello sistematico altri casi in cui la tutela dei beni ereditari è accordata a prescindere dalla attuale qualità di erede (cfr. i poteri conservativi ex art. 460 c.c.), sempre laddove esistente un interesse a preservare l'integrità del patrimonio ereditario.

Con riferimento alle altre questioni poste dalla fattispecie al vaglio, è interessante sottolineare il percorso argomentativo – logico e lineare - della Corte che, criticando le conclusioni cui era pervenuto il giudice di secondo grado, ha in primo luogo riconosciuto la validità della convenzione matrimoniale perfezionata da Sempronio e Sempronia, e quindi indagato la relativa natura, essendo stati inclusi nella comunione legale beni personali di un coniuge. E ciò nel contesto di un ragionamento funzionale ad inquadrare la tipologia di tutela da riconoscere all'erede vero nei confronti degli eredi legittimi dell'erede testamentario dell'erede apparente (!). La definizione del carattere gratuito della convenzione è il presupposto giuridico del riconoscimento dell'applicabilità dell'art. 2038 c.c., precisando all'uopo la Corte (nel secondo principio di diritto), che l'obbligazione del terzo acquirente a titolo gratuito, nel concorso dei presupposti che ne giustificano l'insorgenza, si trasmette agli eredi a prescindere dalla prova di un loro personale arricchimento.

Riferimenti

Sulla distinzione tra diritto di accettare l'eredità e possibilità di compiere atti idonei ad interrompere l'usucapione, in senso conforme Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1990, n. 2326; Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2011, n. 5037;

Sull'efficacia retroattiva della sentenza di accertamento della filiazione, in senso conforme, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2011, n. 5037; Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2007, n. 26575; Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2006, n.23596.

Sulla distinzione tra diritto di accettare l'eredità e possibilità di compiere atti idonei ad interrompere l'usucapione, in senso difforme:  Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2012, n. 14917.

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