Reati contro la pubblica amministrazione e pene accessorie

07 Maggio 2025

L'accordo delle parti in punto di esenzione dalle pene accessorie di cui all'art. 317-bis c.p. è vincolante per il giudice.

Massima

Nel caso in cui le parti si siano accordate per l'esclusione delle pene accessorie di cui all'art. 317-bis c.p., subordinando l'intero accordo alla mancata applicazione delle sanzioni in questione, il giudice, ove ritenga in tale parte l'accordo non accoglibile, deve rigettare il patteggiamento nella sua interezza e non può limitarsi né a recepirlo, nella sola parte relativa alla pena principale negoziata, né, tantomeno, ad applicare le pene accessorie, ritenendo non apposta la condizione a cui l'intero patto è subordinato.

Il caso

Il Giudice per le indagini preliminari territoriale applicava all'imputata una pena inferiore a due anni di reclusione in ordine al delitto di peculato di cui all'art. 314 c.p., applicando altresì, ai sensi dell'art. 317-bis c.p., le pene accessorie della interdizione dai pubblici uffici e del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di cinque anni.

L'imputata, evidenziando come la richiesta di applicazione della pena sottoposta al vaglio del giudice fosse espressamente subordinata alla esenzione dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p., interponeva ricorso per cassazione denunciando, sotto plurimi profili, la violazione di legge e, in particolare, la violazione dell'art. 444, comma 3-bis c.p.p., nella parte in cui, per i reati contro la pubblica amministrazione, le parti possono concordare, oltre alla pena, anche l'esclusione delle pene accessorie, lasciando al giudice solo la possibilità di rigettare l'accordo, qualora ritenga di doverle applicare.

La questione

Il giudice di legittimità, dopo aver rilevato che, effettivamente, l'accordo intervenuto tra le parti era subordinato alla esenzione della applicazione delle pene accessorie, analizza le modifiche introdotte dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3 [«Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici»] in ordine alla possibilità, da parte del giudice, di applicare le pene accessorie previste per i reati contro la pubblica amministrazione.

Le soluzioni giuridiche

1. La Corte di cassazione, anzitutto, rileva che, con riguardo al patteggiamento “allargato”, l'art. 1, comma 4, lett. d), della l. 9 gennaio 2019, n. 3 (sulle modifiche introdotte da detta legge alla disciplina del patteggiamento, v., tra i primi autorevoli commenti, E. Marzaduri, Disciplina delle pene accessorie ed applicazione della pena su richiesta delle parti nella l. 9 gennaio 2019 n. 3, in La legislazione penale, on line, 19 settembre 2019) ha introdotto il comma 3-bis dell'art. 444 c.p.p., per il quale «Nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 314, comma 1, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis c.p. la parte, nel formulare la richiesta [di ‘patteggiamento', n.d.r.], può subordinarne l'efficacia all'esenzione dalle pene accessorie previste dall'articolo 317-bis c.p. ovvero all'estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l'estensione della sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta».

Inoltre, ai sensi dell'art. 1, comma 4, lett. e), nn. 1) e 2), l. cit., il legislatore, in relazione al patteggiamento ‘ordinario', ha modificato il comma 1 dell'art. 445 c.p.p. e introdotto, nella stessa norma, un nuovo comma 1-ter.

In particolare, la modifica del comma 1 dell'art. 445 c.p.p., incidente sulla disposizione che prevede il beneficio della esenzione dalle pene accessorie per i casi in cui il rito si concluda con l'applicazione di una pena detentiva non superiore ai due anni (‘patteggiamento ordinario'), ha riguardato l'introduzione nel testo dell'inciso «nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l'applicazione del comma 1-ter».

Con il nuovo comma 1-ter dell'art. 445 c.p.p. è stato previsto che «con la sentenza di applicazione della pena di cui all'articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322,3 22-bis e 346-bis c.p., il giudice può applicare le pene accessorie previste dall'articolo 317-bis c.p.».

2. Quanto all'ambito applicativo della nuova disciplina, la Corte evidenzia come essa incida, prima di tutto, sul ‘patteggiamento ordinario', deponendo in tal senso il rinvio al comma 1-ter, contenuto nella clausola aggiunta al comma 1 dell'art. 445 c.p.p. che, appunto, si riferisce alle pene detentive concordate tra le parti di entità non superiore ai due anni.

Per effetto delle modifiche in rassegna, quindi, in caso di ‘patteggiamento ordinario' gli imputati per i reati contro la pubblica amministrazione non si gioveranno più, in maniera automatica, del beneficio della esenzione dalle pene accessorie, poiché la valutazione sul punto è stata rimessa al giudice (“Il giudice può applicare le pene accessorie” previste dall'art. 317-bis c.p. – si legge, come si è detto – nel comma 1-ter dell'art. 445 c.p.p.).

Le modifiche apportate all'art. 445 c.p.p. – continua il giudice di legittimità – hanno inciso su uno dei principali profili di premialità tradizionalmente tipici del patteggiamento ordinario atteso che, nella versione previgente, il principio generale contenuto nella disposizione in esame era quello del divieto di applicazione delle pene accessorie nei casi in cui la pena applicata fosse contenuta nel limite di due anni di reclusione, soli o congiunti a pena pecuniaria.

Diversamente, la nuova clausola di salvezza inserita alla fine del comma 1, «è fatta salva l'applicazione del comma 1-ter», richiamando in modo simmetrico la previsione normativa che ha introdotto il potere del giudice del patteggiamento di decidere, per alcune tipologie di reati contro la pubblica amministrazione, se applicare o meno le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione [i.e., il comma 1-ter dell'art. 445 c.p.p.], ha implicato che l'applicazione delle pene accessorie, da oggetto di un rigido divieto, è stata rimodulata ad opzione decisoria, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.

Pertanto, citando una precedente pronuncia, la Corte evidenzia come, per effetto dell'intervento legislativo, si sia realizzato un sistema obiettivamente mutato, in quanto il combinato disposto dei commi 1 e 1-ter dell'art. 445 c.p.p. ha ampliato i poteri del giudice, al punto che esso «non è più confinato al ruolo di mero veicolo di decisioni - id est, applicazione obbligatoria, nella generalità dei casi; divieto di applicazione, nel caso di patteggiamento ordinario - prese a monte dal legislatore alle quali egli, pertanto, può solo passivamente conformarsi, ma assurge all'inedito ruolo di organo chiamato a decidere, su base discrezionale, (….) sull'an di applicazione delle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione» [Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2023, n. 14238].

3. Sulla scorta del delineato quadro normativo, la Corte censura le argomentazioni del giudice del merito che aveva ritenuto, da una parte, di esercitare il proprio potere discrezionale nonostante il patto convenuto fosse subordinato alla esenzione delle pene accessorie, e, dall'altra, che, testualmente, «l'applicazione delle pene accessorie non può essere oggetto dell'accordo delle parti, essendo rimessa solo alla valutazione discrezionale del giudice», ritenendo, a corollario del proprio ragionamento, che la condizione a cui era stata subordinato l'accordo tra le parti dovesse considerarsi come non apposta.

Sul punto, il giudice di legittimità evidenzia come la novella legislativa non imponga alle parti di estendere il patteggiamento alle pene accessorie, ma attribuisce loro la facoltà di accordarsi in tal senso, con la conseguenza che, qualora le parti nulla abbiano previsto in proposito con il loro accordo, il giudice può applicare le pene accessorie, esercitando il suo potere discrezionale.

Tuttavia, nel caso in cui le parti si siano accordate per l'esclusione delle pene accessorie, addirittura subordinando, come nel caso di specie, l'intero accordo alla mancata applicazione delle stesse, il giudice, ove ritenga in tale parte l'accordo non accoglibile, deve rigettare la richiesta nella sua interezza e non può limitarsi a recepire il patteggiamento nella sola parte relativa alla pena principale negoziata né, tantomeno, ad applicare le pena accessorie ritenendo non apposta la condizione cui l'intero patto è subordinato.

E in ciò si spiegherebbe quanto già affermato dalle Sezioni Unite della Corte, secondo cui l'art. 1, comma 4, lett. d), l. 9 gennaio 2019, n. 3, che ha introdotto nell'art. 444 c.p.p. il comma 3-bis, consente all'imputato di subordinare la propria richiesta alla «esenzione» dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p., ovvero all'estensione alle stesse della sospensione condizionale, ma «con effetto vincolante per il giudice» [Cass. pen., sez. un., 27 gennaio 2022, n. 23400, Boccardo, in motivazione].

4. Di conseguenza, la Corte rileva come il giudice di merito abbia errato nella parte in cui ha considerato come non apposta la condizione cui era subordinato l'accordo, relativa alla esenzione dalle pene accessorie, potendo solo, nel caso in cui avesse ritenuto di non recepire il patto nella sua interezza, rigettarlo senza nessuna possibilità di scinderlo, come indicato nel comma 3-bis dell'art. 444 c.p.p. Per l'effetto, la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio, con conseguente trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari territoriale per un nuovo esame.

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