Criteri di ripartizione della pensione di reversibilità tra ex coniuge divorziato e coniuge superstite

28 Aprile 2025

Nel caso in cui l'ex coniuge e il coniuge superstite siano entrambi idonei a ricevere la pensione di reversibilità dal marito defunto, la quota assegnata a ciascuno dovrebbe essere determinata non solo in base alla durata del matrimonio, ma anche considerando la solidarietà dell'istituto.

Massima

Ove l’ex coniuge e il coniuge superstite abbiano entrambi i requisiti per percepire la pensione di reversibilità del marito defunto, la determinazione della quota spettante a ciascuno di essi deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, altresì ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto e individuati dalla giurisprudenza, quali l’entità dell’assegno riconosciuto al coniuge divorziato, le condizione economiche di entrambi e l’eventuale convivenza prematrimoniale.

Il caso

Con ricorso depositato presso il Tribunale di Bergamo, nella sua qualità di ex coniuge di Tizio, deceduto l’anno prima, Caia conviene in giudizio la seconda moglie dell’ex marito, Sempronia, nonché l’INPS, per chiedere il riconoscimento della quota dell’80% della pensione di reversibilità dell’ex marito e, comunque, una somma non inferiore a quella corrispondente all’assegno di divorzio.

Caia afferma che, in ragione della durata del matrimonio (quasi 40 anni), le spetti una quota di pensione più elevata rispetto a quella che spetta alla seconda moglie, il cui matrimonio è durato solo 5 anni.

Argomenta, altresì, che sia equo poter percepire una somma pari almeno all’assegno divorzile che il Tribunale di Bergamo le ha già riconosciuto, precisando di ricevere una pensione mensile e di aver depositato istanza per il riconoscimento della pensione di reversibilità.

Si costituisce in giudizio l’INPS spiegando che Tizio era titolare di un trattamento pensionistico di vecchiaia e che l’importo mensile della pensione di reversibilità ammonta circa al 60% della pensione diretta. Sottolinea, altresì, che a seguito del decesso di Tizio, la ricorrente e la vedova hanno entrambe presentato domanda di pensione di reversibilità, ma che solo a favore di quest’ultima l’INPS, sinora, ha erogato la prestazione economica.

Successivamente, si costituisce la seconda moglie di Tizio che chiede di accertare il suo diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità del defunto marito in misura non inferiore all’80% del totale, precisando di aver avuto con il medesimo una relazione prematrimoniale durata tre anni, di esser poi stata sposata con lo stesso per sei anni e di versare in uno stato di indigenza economica, tanto da aver depositato domanda per ottenere il reddito di cittadinanza (poi regolarmente approvata).

Il Tribunale di Bergamo, con successiva sentenza, attribuisce all’ex coniuge di Tizio il 70% della pensione di reversibilità erogata dall’INPS e alla coniuge superstite la residua quota del 30%, ordinando all’INPS di corrispondere quanto dovuto a ciascuna di esse, oltre interessi al tasso legale dal dì del dovuto al saldo effettivo.

La seconda moglie propone appello alla Corte territoriale di Brescia che respinge l’impugnazione. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione.

La questione

A chi spetta la pensione di reversibilità del defunto in caso di coesistenza dell’ex moglie divorziata e della moglie superstite e quali sono i criteri di ripartizione dello stesso?

Le soluzioni giuridiche

L'analisi della vicenda qui in commento prenda avvio dall'art. 9, legge n. 898 del 1970, ai commi 2 e 3, che così dispone: In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli assegni, nonché a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze.

Sul punto, la Corte di cassazione ha affermato che, in caso di decesso dell'ex coniuge, la ripartizione dell'indennità di fine rapporto tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, che abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, deve essere effettuata, oltre che ai sensi dell'art. 9, comma 3, n. 898 del 1970, anche sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni e ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le condizioni economiche di entrambi, tenendo inoltre conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius.

Non tutti questi elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto.

L'attribuzione delle quote della pensione di reversibilitàex art. 9, legge n. 898 del 1970 a favore dell'ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, deriva, infatti, dal principio solidaristico secondo cui il meccanismo divisionale non è uno strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e non la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi.

D'altronde, sul punto, anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 22434/2018, rinvengono il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità a favore del coniuge divorziato nel venire meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, così identificando la “titolarità” dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge.

In particolare, il requisito funzionale del trattamento di reversibilità è riconducibile al presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, fermo restando che non si tratta di una mera continuazione post mortem dell'assegno di divorzio, ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico dell'ex coniuge, anche se il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, deve essere modulato sulla base della verifica giudiziale, diretta ad accertare gli elementi di fatto, che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto.

Osservazioni

Nel caso che qui ci occupa, si rileva che la Corte di merito non ha tenuto conto dell'entità dell'assegno di divorzio come limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità, ma non ha valutato in alcun modo tale elemento, aggiungendo che, comunque, il criterio della durata del matrimonio rimane pur sempre l'elemento preponderante.

Inoltre, si aggiunga che il principio secondo il quale l'entità dell'assegno non costituisce un limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità non comporta che l'entità di tale assegno non debba essere in alcun modo valutato, essendo, anzi, l'apprezzamento dello stesso fondamentale per consentire l'esplicazione, nella concreta fattispecie, della funzione solidaristica propria dell'istituto, volto a sopperire alla perdita del sostegno economico dato in vita dal lavoratore deceduto da parte di tutti gli aventi diritto.

In conclusione, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha ritenuto valido il principio individuato dalla Corte d'Appello giudicante, secondo il quale in tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato, ai sensi dell'art. 9, comma 3, legge n. 898 del 1970, la quota spettante a quest'ultimo non debba necessariamente corrispondere all'importo dell'assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in tale importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l'entità dell'assegno di divorzio, in modo tale che l'attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell'istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto.

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