Licenziamento: interpretazione autentica anche per l’ appalto non genuino

28 Aprile 2025

Nel caso di distorto utilizzo del contratto di appalto, il lavoratore che agisce per il riconoscimento e la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti del committente, datore di lavoro effettivo, e per l’impugnativa del licenziamento irrogato dall’appaltatore, datore di lavoro formale, deve considerare i seguenti principi:

- nel caso di licenziamento intimato dall'appaltatore non opera il termine decadenziale di cui all’art. 32, comma 4, lett. d), della l. n. 183/2010, con riguardo all'azione, volta alla costituzione o all'accertamento del rapporto di lavoro verso l'appaltante, essendo l'azione in questione assoggettata alla detta decadenza solo ove l'appaltante medesimo neghi, con atto scritto, la titolarità del rapporto;

- si configura intermediazione illecita ogni qual volta l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo al medesimo i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza tuttavia una reale organizzazione della prestazione stessa;

- all’appalto non genuino di servizi si applica, analogicamente, la norma di interpretazione autentica, dettata in tema di somministrazione irregolare di lavoro, di cui all'art. 80-bis del D.L. n. 34 del 2020, secondo la quale si esclude che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro, considerati compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione, rientri il licenziamento.

Massima

A l cd. appalto non genuino di servizi si applica, analogicamente, la norma di interpretazione autentica, dettata in tema di somministrazione irregolare di lavoro, di cui all'art. 80-bis d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 77/2020, secondo la quale si esclude che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro considerati compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione (art. 38, comma 3, d.lgs. n. 81/2015), rientri il licenziamento. Tale applicazione avviene in virtù della comune ratio di tutela del lavoratore coinvolto in fenomeni interpositori irregolari o simulati, testimoniata anche dalla sovrapponibilità dei testi normativi di cui al previgente art. 27, comma 2, d. lgs. n. 276/2003 (cui l'art. 29, comma 3-bis, d. lgs. n. 276/2003 sull'appalto rinviava) e di cui all'attuale art. 38, comma 3, d. lgs. n. 81/2015

Il caso

Un lavoratore assunto formalmente presso una società, in realtà prestava la propria attività di trasporto di materiali mediante uso di muletti a favore della committente.

Il dipendente decideva di agire in primo e secondo grado con domanda di riconoscimento del rapporto di lavoro in capo alla committente e di impugnativa del licenziamento irrogato dall’appaltatrice, con quanto di conseguenza sotto il profilo retributivo e contributivo.

In particolare, la Corte territoriale aveva rilevato, nel caso di specie, la sussistenza di un appalto non genuino, individuando il datore di lavoro effettivo nella committente e stabilendo la mancanza di gestione del rapporto di lavoro da parte della società appaltatrice.

Il prestatore di lavoro, vittorioso in entrambi i gradi di giudizio, diventava così parte di un giudizio di cassazione fondato su molteplici censure proposte dalla committente nei confronti della sentenza di secondo grado ad essa sfavorevole.

La questione

Quali sono le condizioni e i termini a cui deve conformarsi un dipendente di una società appaltatrice per far accertare un appalto non genuino e quindi l’effettivo rapporto di lavoro reso a favore del committente nel caso di un licenziamento intimato dal datore di lavoro formale/appaltatore?

Le soluzioni giuridiche

Molteplici ed interessanti sono i temi che riguardano l'appalto c.d. non genuino e che sono stati affrontati dall'ordinanza in commento. In sintesi:

1. l'azione promossa dal lavoratore verso il committente, datore di lavoro effettivo, per la costituzione o accertamento del rapporto di lavoro non può essere assoggettata al termine di decadenza di 60 giorni dalla cessazione;

2. vi è appalto lecito allorquando l'appaltatore organizza il processo produttivo con impiego di manodopera propria, esercitando nei confronti dei lavoratori un potere direttivo in senso effettivo e non meramente formale;

3. all'appalto non genuino di servizi si applica analogicamente la norma di interpretazione autentica dettata in tema di somministrazione irregolare di lavoro secondo la quale tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o gestione del rapporto si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione, ad esclusione del licenziamento.

Innanzitutto, con riferimento ai requisiti richiesti affinché il contratto di appalto, stipulato e regolamentato dall'art. 1655 c.c., possa essere considerato genuino, si osserva quanto di seguito riassunto.

Il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa (cfr. art. 29, comma 1, del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276).

L'art. 29, comma 1, d.lgs. 276/2003 ritiene che l'appaltatore, in relazione alle peculiarità dell'opera o del servizio, possa limitarsi a mettere a disposizione dell'utilizzatore la propria professionalità, intesa come capacità organizzativa e direttiva delle maestranze, a prescindere dalla proprietà di macchine ed attrezzature. Infatti, è da considerarsi legittimo anche l'appalto nel quale l'apporto di attrezzatura e di capitali risulti marginale rispetto a quello della prestazione di lavoro.

Ciò purché l'appaltatore organizzi il processo produttivo con impiego di manodopera propria, esercitando nei confronti dei lavoratori un potere direttivo in senso effettivo e non meramente formale.

Pertanto, si configura intermediazione illecita ogni qual volta l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo eventualmente in capo al medesimo, quale datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza tuttavia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (v., tra le molte, Cass. n. 23215/2022, Cass. n. 15557/2019, Cass. n. 27213/2018, Cass. n. 10057/2016, Cass. n. 7820/2013, Cass. n. 7898/2011).

In tal caso, il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente.

Di norma, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della committente può essere chiesta dal lavoratore con qualsiasi atto scritto, anche estragiudiziale, idoneo a rendere nota la propria volontà e ciò entro sessanta giorni dalla cessazione del rapporto (cfr. art. 32, comma 1 della L. 4 novembre 2010, n. 183).

L'impugnazione, come sappiamo, deve poi essere seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo (cfr. art. 32 l. 183/2010).

Le riportate disposizioni di cui all'art. 6 l. 15 luglio 1966, n. 604 come appunto modificate dall'art. 32, comma 1, della l. n. 183/2010 valgono anche quando si chiede la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto (art. 32, comma 4, lett. d), l. n. 183/2010).

La ratio della l. n. 183/2010, con l'art. 32, è stata infatti quella di estendere, all'ipotesi ulteriore della costituzione di un rapporto di lavoro in capo al soggetto diverso dal titolare, l'originaria previsione della l. n. 604/1966 sugli stringenti termini di decadenza dell'impugnativa e ciò con la precipua finalità di contrastare pratiche di rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario.

Ciò premesso, però, secondo orientamento giurisprudenziale che si è andato con il tempo consolidando, il licenziamento intimato dall'appaltatore, datore di lavoro formale, non determina l'operatività della decadenza ex art. 32, comma 4, lett. d), l. n. 183/2010, con riguardo all'azione, volta alla costituzione o all'accertamento del rapporto di lavoro, promossa dal lavoratore verso l'appaltante, datore di lavoro effettivo, essendo l'azione in questione assoggettata alla predetta decadenza solo ove l'appaltante medesimo neghi, con atto scritto, la titolarità del rapporto (Cass. n. 6266/2024, Cass. n. 40652/2021).

La fattispecie di chiusura prevista dall'art. 32, comma 4, lett. d), legge citata è stata quindi interpretata in maniera particolarmente rigorosa a cagione di una limitazione temporale per l'esercizio dell'azione giudiziaria non di poco conto (Cass. n. 13179 del 2017).

Infine, la Corte Suprema di cassazione analizza e approfondisce la problematica dell'efficacia del licenziamento del datore di lavoro formale quale atto di gestione del rapporto rispetto al datore di lavoro sostanziale che ha effettivamente utilizzato la prestazione.

In tema di appalto non genuino si ritiene applicabile l'art. 38, comma 3, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, oggetto di interpretazione autentica ad opera dell'art. 80-bis d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla l. n. 77/2020.

Attualmente le conseguenze della somministrazione irregolare sono regolate dal secondo periodo del comma 3 dell'art. 38, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 in virtù del quale tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.

L'art. 80-bis d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla l. n. 77/2020 di interpretazione autentica del citato comma 3 dell'art. 38, d.lgs. n. 81/2015 ha precisato che tra gli atti di costituzione e gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento.

Secondo costante giurisprudenza, tale norma di interpretazione autentica chiarisce la portata della norma interpretata intervenendo con effetti retroattivi su quei profili applicativi che avevano dato luogo ad incertezze e prescrivendo una regola di giudizio destinata ad operare in termini generali per le controversie già avviate come per quelle future (cfr. Cass n. 10694/2023).

Secondo l'odierna Corte di cassazione, al cd. appalto non genuino di servizi si può applicare analogicamente la norma di interpretazione autentica, dettata in tema di somministrazione irregolare di lavoro, di cui all'art. 80-bis d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 77/2020 in virtù della comune ratio di tutela del lavoratore coinvolto in fenomeni interpositori irregolari o simulati, testimoniata anche dalla sovrapponibilità dei testi normativi di cui al previgente art. 27, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 (cui l'art. 29, comma 3-bis, d.lgs. n. 276/2003 sull'appalto rinviava) e di cui all'attuale art. 38, comma 3, d.lgs. n. 81/2015 (cfr. Cass n. 32412/2023).

Osservazioni

Prima dell'approvazione della norma interpretativa di cui all'art. 80-bis, d. l. n. 34/2020 di cui abbiamo fin qui trattato, alcuni precedenti della Corte di cassazione si erano espressi nel senso che, in tema di somministrazione irregolare, nell'ipotesi di costituzione del rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore, fosse onere del lavoratore impugnare il licenziamento nei confronti di quest'ultimo, posto che, in virtù del subentro disposto ex lege, gli atti di gestione compiuti dal somministratore producevano nei confronti dell'utilizzatore tutti gli effetti negoziali, anche modificativi del rapporto di lavoro, ivi incluso il licenziamento (Cass. n. 17969/2016; Cass. n. 6668/2019).

In tale contesto interpretativo, la norma di cui al d.l. n. 34/2020 cit., art. 80-bis, si è qualificata effettivamente come norma di interpretazione autentica, riscrivendo una regola di giudizio destinata ad operare in termini generali per le controversie già avviate come per quelle future.

Del resto, secondo la giurisprudenza di legittimità costituzionale, la norma di interpretazione autentica può essere adottata non solo per ovviare ad una situazione di grave incertezza normativa o a forti contrasti giurisprudenziali, ma anche nei casi in cui il legislatore si limiti a selezionare uno dei possibili significati che possono ricavarsi dalla disposizione interpretata o anche per superare un orientamento giurisprudenziale, sempre che l'opzione ermeneutica prescelta rinvenga il proprio fondamento nella cornice della norma interpretata (v. Corte cost. n. 227/2014n. 209/2010n. 24/2009).

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