Aggiunta al figlio minore del cognome materno: chi è competente in caso di contrasto tra i genitori?
23 Aprile 2025
Massima L'istanza di modifica del cognome di un minore, con l’aggiunta del cognome materno a quello paterno già attribuitogli dalla nascita, in caso di disaccordo tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, chiamato a valutare l'effettivo interesse del minore e a riconoscere la specifica rappresentanza ad acta ad uno dei genitori per presentare la domanda al Prefetto Il caso Dopo il divorzio, la madre di un minore chiede al tribunale di aggiungere al cognome paterno del figlio il proprio, importante sotto il profilo storico e culturale, ma destinato a altrimenti a scomparire, a fronte dell’opposizione dell’ex marito. In primo grado la domanda è respinta, ravvisandosi la competenza a provvedere in capo al solo Prefetto. A fronte del gravame della donna, il giudice d’appello accoglie la domanda e ordine all’ufficiale di stato civile di procedere di conseguenza. La Corte di cassazione, adita dal padre del minore, riforma parzialmente la decisione, confermando la competenza a provvedere in capo al giudice ordinario, ma disponendo potersi solo autorizzare la madre a presentare ricorso al Prefetto, accertato l’interesse del minore all’aggiunta del cognome materno. La questione Quando tra due genitori sorge una controversia sull’aggiunta del cognome materno a quello paterno attribuito al figlio minore dalla nascita, chi è competente a provvedere? Le soluzioni giuridiche L'attribuzione del cognome al figlio rappresenta una questione da tempo controversa. In base ad una consuetudine risalente, retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, il figlio, nato all'interno del matrimonio, assumerebbe il cognome del padre, attestazione dello status legitimitatis. Una regola esplicita è invece contenuta nell'art. 262 c.c., che attribuisce al figlio nato fuori del matrimonio il cognome del padre solo in caso di riconoscimento contemporaneo da parte di entrambi i genitori (con una sorta di formale parificazione dello status a quello del figlio matrimoniale); in caso contrario, il figlio assume il cognome del genitore che l'abbia per primo riconosciuto, salva, in caso di successivo riconoscimento paterno (o dichiarazione giudiziale di paternità), la possibilità di aggiungere o sostituire il cognome del padre, secondo una valutazione giudiziale, scevra da automatismi ed ispirata solo all'interesse del minore (da ultimo Cass 21 gennaio 2025, n. 1492; Cass. 5 giugno 2024, n. 15654). Questo rigido sistema, rimasto invariato pur dopo la riforma della filiazione, che ha attribuito a tutti i figli lo stesso stato giuridico (art. 315 c.c.) da un lato privilegia la figura del padre e dall'altro disconosce una diversa volontà dei genitori nell'attribuzione del cognome al loro figlio. Con il tempo è mutata, oltre che la coscienza sociale, anche lo stesso approccio giuridico al cognome. Inizialmente esso veniva considerato come segno di identificazione di rilevanza pubblicistica: gli interessi della collettività erano dunque ritenuti prevalenti rispetto a quelli del relativo titolare. Già l'art. 22 Cost. si pone peraltro in diversa prospettiva: nessuno può essere privato per motivi politici (e, dunque, per motivi di natura pubblica) del proprio nome, oggetto di un diritto soggettivo. L'art. 2 Cost. riconosce e garantisce poi i diritti inviolabili dell'uomo; tra questi, la cui individuazione non si esaurisce in quelli di matrice squisitamente pubblica contenuti nella Carta fondamentale, rientrano i diritti della personalità. Con detta locuzione si suole fare riferimento a quei diritti, di natura non patrimoniale, sui diversi aspetti che connotano e configurano l'essenza di ogni individuo; taluni sono espressamente individuati nel codice civile agli artt. 5-10 (integrità fisica, nome, cognome, pseudonimo, immagine), mentre altri sono stati oggetto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, trovando talora anche un riconoscimento normativo (riservatezza, identità personale, oblio). La pluralità di profili nei quali l'individualità si scompone e si manifesta, insieme con la necessità di apprestare adeguate forme di tutela anche in presenza di nuove possibili forme di interferenza, hanno condotto pure all'affermazione dell'esistenza di un più generale diritto alla personalità. Con sentenza 286/2016 la Consulta, già in precedenza chiamata a pronunciarsi sui meccanismi normativi di attribuzione del cognome, sempre fatti salvi in ragione della discrezionalità del legislatore (Corte cost. 27 aprile 2007, n. 145; Corte cost. 16 febbraio 2006, n. 61; Corte cost. 19 maggio 1988, n.586), ha ritenuto di non poter più attendere un suo intervento; ciò in nome dei valori costituzionali di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e di rispetto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo cui l'attribuzione al figlio del cognome paterno in luogo di quello materno integra violazione degli artt. 8 e 14 della CEDU (Corte Edu 7 gennaio 2014, n. 77/07, nel procedimento Cusan c. Italia). È stata pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 237,262 e 299 c.c., nonché delle norme conseguenziali del regolamento di stato civile 396/2000, nella parte in cui non consentono ai genitori, coniugati o meno, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. Con la successiva sentenza Corte cost.n. 131/2022, la Consulta ha di nuovo dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 262 c.c. e di tutte le norme in materia, nella parte in cui è previsto che il figlio assume il cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori, nell'ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l'accordo per attribuire al figlio il cognome di uno solo di essi. La Corte costituzionale ha avuto cura di precisare che le norme dichiarate incostituzionali “riguardano il momento attributivo del cognome del figlio”, con la conseguenza che gli effetti della sentenza hanno trovato applicazione solo dal giorno della relativa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (1° giugno 2022). Nel contempo, la Consulta ha ancora una volta sollecitato l'intervento del legislatore, onde evitare che “l'attribuzione del cognome di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della funzione identitaria del cognome” e scongiurare il rischio che a fratelli o sorelle germani siano attribuiti cognomi diversi. Da tanto consegue come, per tutti i nati dopo la pubblicazione della sentenza (o per quelli nati prima, senza che fosse stato ancora formato l'atto di nascita) i genitori possono scegliere se attribuire loro il solo cognome paterno, ovvero quello materno, piuttosto che entrambi, secondo il diverso ordine preferito. Quattro dunque sono le possibilità alternative di scelta ed è obbligo dell'ufficiale di stato civile rendere edotti i genitori di detta facoltà, per quanto nella pratica (per mancanza di informazioni o per una scelta più o meno consapevole) sia ancora frequente la regola tradizionale del cognome paterno. Da ultimo, la Consulta tiene a precisare che, per i figli che abbiano già un cognome, attribuito nell'atto di nascita, eventuali modifiche non potranno che seguire la procedura amministrativa contemplata dall'art. 89 del d.p.r. 396/2000, come modificata nel 2012. Rimane aperta dunque la questione di un conflitto fra i genitori per la scelta del cognome del figlio minore sia al momento della formazione dell'atto di nascita, sia in quello successivo, quando uno dei due intenda modificarlo. Nessuna soluzione è stata fornita dal legislatore, che ad oggi ha omesso di intervenire, onde si rende necessario far ricorso alle norme vigenti. Osservazioni La sentenza qui in commento della Corte di cassazione interviene solo sul secondo aspetto tra quelli or ora evidenziati (richiesta di modifica di un cognome già attribuito al figlio); pare però utile, per completezza, prospettare in primis il caso di un contrasto “preventivo”. Se i genitori non sono separati o separandi, ovvero se ancora convivono (per quanto il contrasto sul cognome del figlio sia indice di un sicuro malessere della coppia, poco compatibile con il mantenimento della convivenza) troverà applicazione l'art. 316 c.c. (novellato dalla riforma Cartabia): il giudice (tribunale ordinario), adito senza particolari formalità di rito, adotterà la decisione più adeguata all'interesse del figlio, procedendo ove del caso al suo ascolto e dando ordine all'Ufficiale di stato civile di procedere di conseguenza. Quando invece dovesse pendere un procedimento di separazione, ovvero altro procedimento afferente la capacità genitoriale (magari su altri figli della coppia), la competenza parrebbe doversi attribuire al coniuge del conflitto coniugale (o genitoriale), in base al disposto dell'art. 473bis.38 primo comma c.p.c. Il giudice decide in composizione monocratica (anche se il procedimento fosse pendente davanti al Tribunale per i minorenni, ovvero in appello) con ordinanza, suscettibile di opposizione nelle forme dell'art. 473-bis.12 c.p.c. Più articolata la questione quando uno dei due genitori (la madre) intenda modificare il cognome paterno del figlio minore, a lui attribuito per nascita, aggiungendo anche il proprio. Se i genitori fossero d'accordo dovranno rivolgersi congiuntamente al Prefetto ex art. 89 del cit. d.P.R. 396/2000. In caso di disaccordo, nella pendenza di un procedimento afferente la responsabilità genitoriale, dopo l'entrata in vigore della riforma ex d.lgs. 149/2022, come modificato con il d.lgs. 164/2024, la competenza dovrebbe essere pur sempre attribuita al giudice di cui all'art. 473-bis.38 primo comma c.p.c. nella pendenza di un procedimento sulla responsabilità genitoriale; qualora, come nella specie, fosse già intervenuta una decisione, non parrebbe potersi fare riferimento al secondo comma dell'art. citato, afferente le sole questioni sull'affidamento del minore. Dovrebbe trovare applicazione la disciplina generale ex art. 473-bis.12 c.p.c., in presenza di una controversia afferente un soggetto di minore età. La fattispecie, oggetto della decisione in commento, riguarda la pretesa della madre divorziata di aggiungere al figlio il proprio cognome (di illustre casata, citata anche da Dante nella Divina Commedia), nel dissenso del padre. La controversia risulta essere stata radicata prima della riforma del rito unico, e dunque correttamente si è fatto riferimento agli artt. 316 e 337-ter c.c. Giustamente la Cassazione, al pari del giudice a quo, esclude la competenza a provvedere del Prefetto, in presenza di un contrasto tra i genitori; il procedimento amministrativo per le modifiche al cognome di un minore presuppone la domanda congiunta di entrambi i genitori, trattandosi di decisione di particolare interesse. In difetto, si rende necessario l'intervento del giudice, al quale, nella pienezza del contraddittorio, spetta in via esclusiva valutare la soluzione migliore nell'interesse del minore, secondo un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità. Osserva all'uopo la Suprema Corte che “il diverso spessore della cognizione del giudice ordinario, sempre tenuto a valutare la rispondenza del mancato consenso del genitore all'interesse del minore e il carattere non pretestuoso del diniego del consenso, nonché la concreta compatibilità di quanto richiesto (nel caso di specie, la modifica del cognome) con l'interesse del minore stesso e va ricordato che una tale attività di ponderazione postula comunque un'istruttoria condotta nel pieno rispetto dei principi del contraddittorio, di proporzionalità, di non automatismo della decisione”. La decisione in commento, nel respingere le eccezioni di difetto di giurisdizione, sollevate dal ricorrente, riforma parzialmente la sentenza impugnata, che aveva dato ordine all'Ufficiale di stato civile di aggiungere nell'atto di nascita del minore il cognome materno, dichiarando invece la legittimazione della madre a presentare apposita istanza al Prefetto; dunque, solo all'esito del procedimento amministrativo potrà avvenire la modifica dell'atto di nascita, fatto salvo l'ormai incontrovertibile interesse del minore ad avere un duplice cognome. Sul punto la sentenza è meritevole di attenzione per i profili pratici che ne derivano. Nello stesso tempo, assai pregevole è il richiamo ad una recente decisione del Consiglio di Stato, sempre in tema di cognome, operato dalla Cassazione per corroborare la stretta correlazione tra detto elemento distintivo del soggetto e la sua identità personale (Cons. St. 19 marzo 2023, n. 8422). In quell'occasione, il Supremo giudice amministrativo, confermando la decisione del Tar, aveva autorizzato una persona maggiorenne a sostituire il cognome paterno, attribuitole alla nascita, con quello materno, a fronte di un prolungato comportamento abbandonico del padre dopo la separazione dei genitori. Pur dovendosi qualificare in termini di interesse legittimo nei confronti della P.A. la posizione di chi intende mutare il cognome, le finalità pubblicistiche di certezza nell'identificazione dei consociati devono ritenersi recessive rispetto all'intento di chi intenda elidere, anche formalmente, un legame familiare non più esistente. Si aprono così ulteriori nuovi scenari, per una valorizzazione effettiva dei rapporti familiari e dell'identità personale per il tramite del cognome. |