Presupposti e prova del diritto al compenso del lavoro straordinario nel pubblico impiego privatizzato

16 Aprile 2025

La Corte di Cassazione torna sul tema della remunerazione per prestazioni straordinarie nel rapporto di lavoro di pubblico impiego e ribadisce il suo orientamento circa i presupposti e le condizioni di applicazione, soffermandosi sugli oneri probatori.

Massima

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che possono incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c., in relazione all'art. 2108 c.c.. L'esecuzione di detta prestazione può essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto previsto dall'art. 3, comma 83, della legge n. 244/2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze.

Cass. civ., ord., 28 giugno 2024, n. 17912

Cass. civ., ord., 3 maggio 2024, n. 11946

Cass. civ., sent., 3 ottobre 2023, n. 27878

Cass. civ., sent., 23 giugno 2023, n. 18063

Cass. civ., sent., 20 giugno 2023, n. 17641

Cass. civ., ord., 27 luglio 2022, n. 23506

Il caso

Un lavoratore dipendente dell’Agenzia Regionale Attività irrigue e Forestali pugliese ha convenuto in giudizio la datrice di lavoro chiedendo l’accertamento, tra gli altri, del diritto al pagamento delle prestazioni svolte oltre l’orario di lavoro.

L’azione del lavoratore aveva successo, limitatamente alla domanda in questione, all’esito di entrambi i giudizi di merito.

Contro la sentenza della Corte d’Appello l’Agenzia Regionale proponeva ricorso per cassazione per avere, la sentenza di secondo grado, ritenuto sussistere il diritto del lavoratore in assenza dei requisiti per il pagamento del lavoro straordinario con particolare riferimento alla dimostrazione dell’esistenza dell’autorizzazione.

La questione

Si tratta di valutare quali siano i presupposti e i requisiti per il riconoscimento della retribuzione per il lavoro straordinario nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, caratterizzato da peculiari presupposti e requisiti di natura pubblicistica e quale sia il valido mezzo di prova a sostegno della relativa domanda.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha parzialmente accolto il ricorso dell'Agenzia Regionale rinviando alla Corte d'Appello di Bari che dovrà verificare l'esistenza di una valida autorizzazione allo svolgimento della prestazione oltre l'orario di lavoro ordinario. A tal fine il giudice di rinvio potrà ricorrere anche alla prova testimoniale.

La decisione della Corte di cassazione in commento si inserisce nell'orientamento consolidato sul tema (cfr. F. Pedroni, Pubblico impiego contrattualizzato: presupposti e condizioni per il compenso del lavoro straordinario” in IUS Lavoro).

La Suprema Corte giunge alla propria decisione partendo dal principio secondo cui il diritto al compenso per il lavoro in orario straordinario presuppone, di necessità, la previa autorizzazione dell'amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass., sez. lav. 31 gennaio 2017, n. 2509).

Inoltre, richiamando il proprio orientamento, anche recente, la Corte precisa che il disposto dell'art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell'art. 36 Cost. (Cass., sez. lav., 28 giugno 2024, n. 17912).

Ciò perché, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell'amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l'art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 e dell'art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell'autorizzazione è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c. (Cass., sez. lav., 27 luglio 2022, n. 23506).

Nel pubblico impiego contrattualizzato, dunque, l'autorizzazione della P.A., necessaria perché il dipendente possa prestare lavoro straordinario, si pone come elemento costitutivo della pretesa del lavoratore che agisca per il suo pagamento e, pertanto, deve essere da quest'ultimo allegato e dimostrato. Dal momento che, a fronte della contestazione dell'Agenzia Regionale sulla sussistenza di tale presupposto (reiterata in appello), il Giudice di primo grado non ha condotto compiuta attività istruttoria, la Corte d'Appello avrebbe dovuto provvedervi.

In merito a tale ultimo aspetto, l'Agenzia Regionale lamentava il fatto che la corte territoriale avrebbe considerato prova valida del lavoro straordinario le risultanze di alcune testimonianze, senza rilevare che non vi erano agli atti i tabulati estratti dalle rilevazioni dei cartellini marcatempo o dei fogli di presenza debitamente controfirmati ai sensi dell'art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007.

La Corte ha respinto tale doglianza, pur considerando il predetto dato normativo che prescrive come "Le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze", e ha richiamato il proprio orientamento secondo cui, pur in mancanza dei presupposti di cui all'art. 1 d.l. n. 402/2001, conv., con mod., dalla legge n. 1 del 2002 (autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria), l'attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale. Tale atto, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c., in relazione all'art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che può determinare però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass., Sez. L, n. 18063 del 23 giugno 2023; cfr. anche Cass. nn. 17641/2023 e Cass. 11946/2024).

La Suprema Corte continua, richiamando il proprio orientamento secondo cui in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell'art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell'art. 36 Cost. (Cass., sez. lav., 28 giugno 2024, n. 17912).

Osservazioni

In definitiva, sulla base dell'orientamento che sembra consolidarsi, si può affermare che purché vi sia un consenso del datore di lavoro, anche se prestato in maniera non formalmente corretta, il lavoro straordinario debba essere pagato e l'eventuale violazione di normativa concernente la regolarità della richiesta o i limiti di spesa pubblica si può tradurre in una responsabilità contabile di chi lo straordinario abbia consentito, ma non in un danno per il lavoratore che la sua prestazione abbia reso e che, pertanto, può fornire la prova del lavoro straordinario anche a mezzo testi.

Quanto alla nozione di “consenso datoriale” già Cass. 17912/2024 aveva avuto modo di precisare che per autorizzazione, nell'ambito del lavoro straordinario, si intende il fatto che le prestazioni lavorative non siano svolte insciente vel prohibente domino, ma effettuate con il consenso del datore di lavoro, espresso o implicito in base a comportamento concludente, escludendo il diritto alla relativa retribuzione in caso di prestazione di lavoro frutto di libera determinazione del singolo dipendente e non strettamente collegato a esigenze di servizio preventivamente vagliate, sul piano della necessità ed utilità per la P.A., dal dirigente responsabile (ex multisCass. 23506/2022).

Più discusse sono le caratteristiche dell'autorizzazione alla prestazione straordinaria.

Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente l'autorizzazione datoriale allo svolgimento del lavoro straordinario deve essere preventiva ed espressa: “Non può esser riconosciuto alcun compenso al pubblico dipendente per lavoro straordinario, quando manchi una preventiva formale autorizzazione da parte della P.A. datrice di lavoro, solo in questo modo essendo possibile verificare nel rispetto dell'art. 97 Cost., la reale esistenza delle ragioni di pubblico interesse che rendono opportuno il ricorso a prestazioni lavorative eccezionali” (Consiglio Stato, sez. V, 8 marzo 2001, n. 1352; Consiglio di Stato, sez. IV, 14 febbraio 1994, n. 139; Consiglio di Stato, sez. V, 17 febbraio 1994, n. 587; Consiglio di Stato, sez. V, 11 novembre 1994, n. 1277; Consiglio. di Stato, sez. V, 27 dicembre 1999, n. 2160).

Esiste, tuttavia, un orientamento che ammette l'autorizzazione implicita a determinate condizioni come in occasione di specifiche e individuate attività alle quali il dipendente deve obbligatoriamente partecipare connesse ad esigenze organizzative cogenti, ovvero nell'espletamento di un determinato servizio indispensabile che l'Amministrazione è obbligata a garantire trattandosi di assolvimento di compiti irrinunciabili (Consiglio di Stato, sentenza n. 3945/2001). In queste situazioni, qualora l'attività lavorativa “sia stata richiesta dal datore di lavoro oltre il debito orario ed integri gli estremi del lavoro straordinario, il personale deve essere specificamente compensato, nei termini stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale (o da quella integrativa che alla prima si conformi)”, con la precisazione che “Non è di ostacolo a siffatto esito la mancanza (…) di una autorizzazione formale o di uno o più atti separati che ne disciplinino nel dettaglio l'esecuzione ed il compenso (Cass. 27878/2023).

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