Contributo al mantenimento del coniuge separato rimasto inerte nella ricerca di una attività lavorativa, in presenza di significativo divario economico tra i coniugi
08 Aprile 2025
Massima In tema di contributo al mantenimento del coniuge, per l'insorgenza (l'an) del diritto a percepirlo (oltre alla non addebitabilità della separazione) è necessario che il richiedente sia privo di adeguati redditi propri, funzionali a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, e che sussista una disparità economica tra i due coniugi; rispetto al quantum, l'assegno dovrà essere concretamente determinato in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'altro coniuge, tenendo comunque presente ogni tipo di reddito disponibile da parte del richiedente (cfr. Cass. n.13026/2014; n. 17667/2015) e l'attitudine al lavoro proficuo di entrambi i coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, dovendosi verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l'accertamento al solo mancato svolgimento di un'attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. civ. n. 24049/2021). Il caso La vicenda riguarda la richiesta di contribuzione al proprio mantenimento da parte di un coniuge avanzata nel giudizio per la separazione personale. Nella fase presidenziale, sono stati emessi provvedimenti provvisori e urgenti che, inter alia e per quello che qui interessa, hanno attribuito al marito il diritto a percepire un assegno di mantenimento mensile pari a € 5.000,00. In particolare, è emerso come, da una parte, il marito fosse disoccupato ormai da lungo tempo e, dall’altra parte, come la moglie avesse di fatto garantito in via esclusiva l’elevato tenore di vita familiare e fosse tuttora titolare di redditi da lavoro elevatissimi, oltre che di un non trascurabile patrimonio immobiliare e mobiliare. In corso di causa, poi, il marito ha documentato di aver svolto corsi di formazione, di aver lavorato soltanto occasionalmente percependo redditi modestissimi e di essere iscritto al centro per l’impiego, inoltre di condurre in locazione un appartamento (avendo rilasciato la casa coniugale) e di non avere sostanzialmente alcun patrimonio, se non un’automobile; relativamente alla moglie, è stato confermato il permanere di entrate reddituali molto importanti (seppur diminuite) e di un consistente patrimonio (in parte separato - in un fondo patrimoniale e in un trust - a favore dei figli maggiorenni), che le hanno permesso di mantenere in via esclusiva il tenore di vita goduto dalla famiglia durante l’unione matrimoniale. All’esito del giudizio, mentre il marito ha reiterato la propria domanda, invece la moglie ha domandato la revoca dell’onere posto a proprio carico di versare un assegno mensile quale contributo al mantenimento al coniuge, non ritenendone sussistenti i presupposti ed evidenziando l’inerzia del richiedente nel reperire una attività lavorativa. La questione La questione in esame è la seguente: l’assegno di mantenimento può essere stabilito a favore del coniuge separato rimasto inerte nella ricerca di una occupazione lavorativa, in presenza di un significativo divario economico tra i coniugi? Le soluzioni giuridiche L'art.156 c.c. riconosce il diritto a percepire una somma necessaria al proprio mantenimento a favore del coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, qualora non abbia adeguati redditi propri. Con la pronuncia in commento, all'esito dell'istruttoria condotta, il Collegio giudicante ha, in primis, confermato nell'an la sussistenza di tale diritto in capo al marito. Una volta ricostruite le rispettive posizioni economiche, e osservata la permanente enorme disparità tra le stesse, tutta a sfavore del marito, nonchè accertato, conseguentemente, che il tenore di vita precedentemente goduto in costanza di matrimonio è stato garantito in via esclusiva dalla moglie, il Tribunale ha, invero, confermato l'onere di mantenimento a carico di quest'ultima. In relazione al quantum, invece, il Tribunale, all'esito del giudizio, ha operato una sorta di rimodulazione, svolgendo una valutazione che ha, sì, preso le mosse dal contesto precedente la frattura coniugale, tuttavia calando tale accertamento nel concreto e nel momento presente, una volta consolidatasi - anche sotto il profilo economico - la situazione cui è pervenuto il nucleo successivamente alla crisi. In particolare, il Collegio giudicante ha considerato come il marito - superata la fase iniziale immediatamente successiva alla frattura coniugale così come cristallizzata nei provvedimenti presidenziali - non si sia concretamente impegnato nel reperimento di una attività lavorativa che potesse consentirgli di percepire (anche) redditi propri e ha, conseguentemente, ridotto la misura di contribuzione dell'importo corrispondente a un guadagno minimo che il coniuge richiedente ben avrebbe potuto, rectius dovuto ottenere attivandosi nella ricerca di una occupazione. La sentenza in commento sembra, quindi, ispirarsi al principio di autoresponsabilità che la più recente giurisprudenza sta sempre più valorizzando all'interno del sistema famiglia, cui occorre riferirsi sia durante l'unione sia successivamente alla frattura coniugale, chiarendo - con particolare riferimento, in questo caso, al coniuge economicamente debole - che se, da una parte, bisogna riconoscere il diritto a ricevere un contributo al mantenimento al coniuge che non è in grado di reperire redditi adeguati per continuare a godere del tenore di vita matrimoniale soprattutto in presenza di grande disparità economica, dall'altra parte, però, non si possono premiare condotte di tipo parassitario, atteso che il richiedente ha un preciso dovere di attivarsi e non rimanere inerme, una volta intervenuta la crisi coniugale, in relazione e in proporzione alle proprie effettive e concrete possibilità. La pronuncia di merito specifica, altresì, la nozione di tenore di vita cui occorre fare riferimento, indicando, in particolare, il tenore di vita "normalmente" godibile in base ai redditi percepiti, precisando, pertanto, che colui al quale è riconosciuto il diritto all'assegno di mantenimento può chiedere, per tale titolo, le somme necessarie ad integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale in relazione al medesimo livello già raggiunto durante il matrimonio, dovendosi evitare però che tale contributo divenga funzionale a compiere atti di spreco o inutile prodigalità, o comunque ad assumere carattere speculativo. Anche tale precisazione sembra coerente con il dettato normativo di cui all'art.156 c.c. che, in effetti, sancisce per il coniuge debole il diritto di ricevere " quanto è necessario al suo mantenimento ”. Osservazioni La pronuncia in commento offre anche l’occasione di analizzare quali siano i fattori specifici e concreti che il Giudicante ha considerato. Il Giudice, per prima cosa, con rifermento all’an (fermo l’accertamento della non addebitabilità della separazione a carico del coniuge richiedente) ha verificato con attenzione le rispettive posizioni economiche, considerando i redditi, ma altresì valorizzando altre componenti comunque suscettibili di valutazione economica (beni ereditati e in generale ogni componente patrimoniale mobiliare e immobiliare), onde poter compiere una valutazione del tenore di vita goduto in precedenza dalla famiglia e apprezzare la sussistenza nella coppia di un significativo divario economico. Il Tribunale – ai fini della quantificazione della misura del mantenimento – ha, poi, operato in concreto una precisa analisi rispetto alla capacità/incapacità da parte del coniuge richiedente di dotarsi, così come richiesto dalla norma sostanziale, di redditi propri, adeguati a poter continuare a godere del medesimo tenore di vita. Nello specifico, il Giudicante ha esaminato i seguenti, tangibili elementi: l’età, la presenza di eventuali patologie fisiche e in che misura queste fossero o meno invalidanti, la sussistenza di specifiche competenze (nel caso di specie sportive e linguistiche), il tutto per giungere a determinare la sussistenza di una potenziale capacità lavorativa e quindi di guadagno, anche solo minimo, rimasta inattuata dal coniuge richiedente. Ne deriva, quindi, ai fini dell’onere della prova, come sia necessario per il richiedente riuscire a dimostrare non solo di non essere titolare di mezzi adeguati, ma anche di essersi attivato con l’ordinaria diligenza e, quindi, di non aver, in modo colpevole, passivamente determinato l’incapacità di procurarsi redditi quantomeno proporzionali alle proprie capacità. |