Minore nato da eterologa: l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è inammissibile per contrasto con l’art. 9 l. 40/2004
05 Febbraio 2025
Massima L'impugnazione del riconoscimento paterno di un minore nato da Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) eterologa per difetto di veridicità è inammissibile, ove il consenso alla tecnica sia stato prestato e non revocato prima della fecondazione dell'ovocita. Tale conclusione discende dall'art. 9 l. 40/2004, che preclude il disconoscimento della paternità e il divieto di anonimato per la madre, con l'obiettivo di garantire la stabilità del legame familiare e l'interesse del minore. Il caso La controversia nasce dalla richiesta avanzata dalla madre biologica di un minore, nato mediante fecondazione eterologa, di annullare il riconoscimento effettuato dal padre intenzionale. La donna ha sostenuto che tale riconoscimento fosse contrario alla realtà biologica e ha chiesto la conseguente rettifica dell'atto di nascita e la modifica del cognome del figlio. Nel frattempo, sono stati acquisiti gli atti del procedimento pendente dinanzi al Tribunale per i minorenni, nell’ambito del quale la Procura della Repubblica aveva richiesto l’intervento dei servizi sociali al fine di svolgere un’inchiesta psico-socio-familiare sul minore. Il padre resistente, che aveva prestato il proprio consenso alla PMA, si è opposto all'impugnazione, eccependo l'inammissibilità dell'azione ai sensi dell'art. 9 l. 40/2004 e, in subordine, la decadenza, della madre ricorrente, dal diritto di proporre impugnazione ai sensi dell'art. 263 c.c., avendo la stessa presentato la domanda oltre i termini previsti dalla legge. Il padre resistente ha chiesto, altresì, il rigetto della richiesta di affido esclusivo del minore, con regolamentazione specifica del diritto di visita in suo favore. Nel giudizio si è costituito anche il curatore speciale del minore che, stante la necessità di preservare il legame del bambino con entrambi i genitori, per tutelare l’interesse alla sua stabilità affettiva e emotiva, ha chiesto il ripristino degli incontri e un accertamento delle capacità genitoriali delle parti. Parallelamente al procedimento principale, sono stati poi instaurati due sub procedimenti, il primo su impulso di Caia, nell’ambito del quale sono stati incaricati i servizi sociali di vigilare sul minore per verificare la sussistenza di un pregiudizio a causa del comportamento dei genitori e sono stati, altresì, regolamentati gli incontri padre-figlio in Spazio Neutro, oltreché disposto l’affidamento condiviso del minore a entrambi i genitori con domicilio prevalente presso la residenza materna. Il secondo sub procedimento è stato, invece, incardinato in seguito all’azione di Tizio che ha denunciato il comportamento ostruzionistico della madre alla frequentazione del padre con il figlio e ha chiesto che venissero adottati gli opportuni provvedimenti. Il Tribunale ha, comunque, respinto il ricorso ex art. 263 c.c. per inammissibilità, rilevando che l’azione proposta fosse preclusa dall’art. 9 l. 40/2004 , oltreché proposta oltre il decorso del termine previsto ex lege e ha disposto l’affidamento condiviso del minore con domicilio prevalente presso l’abitazione materna e regolamentato il diritto di visita del padre e gli aspetti economici relativi al mantenimento del bambino. La questione La decisione del Tribunale di Palermo avente ad oggetto il rigetto del ricorso principale per inammissibilità della domanda si concentra su alcune questioni centrali. In primis, il Tribunale si sofferma sull'analisi dell'inammissibilità del ricorso per l'impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità per contrasto con l'art. 9 l. 40/2004, nonché per il decorso dei termini di legge e l'intervenuta decadenza della ricorrente. In secondo luogo, prendendo anche atto del lavoro svolto dai servizi sociali sul nucleo familiare nell'ambito dei due sub procedimenti sopra richiamati, ha valutato la necessità di disporre un regime di affidamento condiviso per il minore, con previsione di domicilio prevalente presso l'abitazione materna oltreché la regolamentazione degli aspetti economici inerenti il mantenimento del figlio. Le soluzioni giuridiche Inammissibilità dell'azione per contrasto con l'art. 9 della l. 40/2004 In via preliminare, i giudici palermitani si sono soffermati sull'analisi dell'art. 8, l. 40/2004 che, nel riconoscere lo status giuridico del nato da tecniche di PMA prevede che i nati a seguito di fecondazione assistita abbiano lo stato di figli legittimi o riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche, attraverso la manifestazione e la sottoscrizione del consenso informato. Non solo. I giudici di primo grado hanno, altresì, evidenziato come l'art. 9 della stessa legge stabilisca nei casi in cui si ricorra a tecniche di PMA con donazione di gameti (eterologa) un divieto, per il coniuge o il convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti, di esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'art. 235, comma 1, n. 1 e 2, c.c., ovvero l'impugnazione ex art. 263 c.c., oltreché l'impossibilità per la madre del nato di dichiarare la volontà di non essere nominata. Il Tribunale siciliano ha poi sottolineato come entrambe le disposizioni già citate vengano completate dall'art. 6, l. 40/2004, che sancisce il divieto, per entrambe le parti, di revocare il consenso una volta che l'ovulo sia stato fecondato e quindi successivamente alla creazione dell'embrione e ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 161/2023, con cui è stata analizzata e confermata la legittimità dell'art. 6 della legge 40, che nonostante possa da un lato “comprimere” la libertà di autodeterminazione dell'uomo – che a fecondazione avvenuta non può più cambiare idea – dall'altro tutela sia il diritto alla genitorialità del bambino che verrà al mondo e l'integrità psicofisica della donna dalle ripercussioni negative che su di lei produrrebbe l'interruzione del percorso intrapreso, una volta che questo è ormai giunto alla fecondazione, così rispettando, in maniera ragionevole, il bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti, costituzionalmente rilevanti. I giudici siciliani, dunque, hanno sottolineato, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale che si è formata sul tema, come l'irrevocabilità del consenso dopo la fecondazione dell'ovulo sia giustificata dal significato intrinseco del consenso stesso in un trattamento di PMA e cioè quello di dare inizio alla creazione della vita umana con una necessaria assunzione “preventiva” della responsabilità genitoriale e richiamando anche la pronuncia della Consulta n. 32/21 hanno evidenziato come ciò accada anche alla luce dell'evoluzione dell'ordinamento e della trasformazione della nozione di famiglia tradizionale, considerato il progressivo rilievo giuridico riconosciuto alla “genitorialità sociale” che quindi spesso non corrisponde con quella genetica o biologica e che determina una valorizzazione, da parte dell'ordinamento giuridico, dell'assunzione della responsabilità genitoriale rispetto al “favor veritatis”. Ciò anche in linea con l'orientamento assunto sia a livello normativo e regolatorio (Carta di Nizza, 2000, art. 24, c. 2 e Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo 1959, principio 2), sia a livello giurisprudenziale in ambito europeo che prevede come la considerazione dell'interesse del minore in tutti gli atti che lo riguardano debba essere preminente: in particolare, la Consulta, con pronuncia del 2021 richiama ad esempio l'art. 8 della CEDU, in combinato disposto con l'art. 14 CEDU in materia di tutela del diritto alla vita privata e familiare ai quali spesso anche la Corte EDU ha ricollegato la garanzia dei legami affettivi stabiliti da chi abbia svolto la funzione genitoriale, indipendentemente dalla connessione biologica con il minore. Alla luce di tale ricostruzione, la Corte siciliana ha, pertanto, evidenziato come nel caso di specie la scelta del resistente di diventare padre di un figlio, anche in assenza del collegamento genetico, sia evidente e dimostrata dal consenso prestato alla tecnica di fecondazione eterologa, accompagnato poi anche dalla volontà di esserci nella vita del figlio e di “fare il padre” come si desume dalla sua presenza agli eventi più significativi della vita del bambino. Tale decisione viene supportata ancor di più dal fatto che la ricorrente non ha mai provato in maniera significativa – sottolineano i giudici di primo grado – una mancata condivisione del progetto procreativo da parte del resistente stesso. Decadenza dei termini per l'azione ex art. 263 c.c. Il Tribunale di Palermo sottolinea come anche qualora si fosse ritenuta ammissibile l'azione di impugnazione, questa risulterebbe tardiva, considerata la lettera dell'art. 263 c.c. che prevede che il riconoscimento possa essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento entro il termine di un anno dal giorno dell'annotazione del riconoscimento stesso sull'atto di nascita e non può comunque essere proposta oltre cinque anni da parte di altri soggetti interessati. Viene ritenuta del tutto irrilevante, dunque, l'eccezione sollevata dalla ricorrente secondo la quale l'anno non decorrerebbe dall'annotazione del riconoscimento, bensì dal giorno in cui ha avuto conoscenza della “non paternità”, intesa come mancata connessione genetica con il bambino. Provvedimenti a tutela del minore e domande di carattere economico Sempre nell'ottica di garantire il miglior interesse del bambino e il diritto alla bigenitorialità, il Tribunale siciliano ha previsto un regime di affidamento condiviso con previsione del domicilio prevalente presso l'abitazione materna, anche alla luce dell'assenza di pregiudizio del minore nell'interazione con il padre, conclusione desumibile dalla relazione dei servizi sociali coinvolti, oltreché una regolamentazione del diritto di visita del padre, ritenendo opportuno da un lato, mantenere l'intermediazione dei Servizi, con incontri anche in Spazio Neutro e dall'altro la prosecuzione della presa in carico terapeutica della ricorrente da parte del Consultorio Familiare. Dopo aver regolamentato gli aspetti inerenti il mantenimento del minore e il pagamento delle spese straordinarie, sempre nell'ottica di salvaguardare il rapporto padre-figlio, nonché la doppia genitorialità, anche alla luce della ricostruzione giuridica effettuata dai giudici di primo grado, la ricorrente è stata ammonita affinché collabori con diligenza al fine di consentire il regolare svolgimento degli incontri presso lo spazio neutro e all'esterno e il resistente condannato al pagamento di una somma economica per ogni singola inosservanza degli appuntamenti fissati dal servizio di spazio neutro, oltreché di quelli che si terranno all'esterno. Osservazioni La sentenza del Tribunale di Palermo si inserisce in un quadro giurisprudenziale consolidato che privilegia l’interesse del minore e la stabilità dei rapporti familiari, nonché l’importanza della responsabilità genitoriale assunta nelle procedure di fecondazione assistita, in via preventiva, attraverso la manifestazione del consenso, anche a scapito della connessione biologica o genetica. L’orientamento espresso risulta coerente con i principi sanciti dalla Corte Costituzionale e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che attribuiscono preminenza al legame affettivo stabilito con chi, indipendentemente dal vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale, prendendosi cura del minore. Tuttavia, emerge ancora una volta l’opportunità di un intervento legislativo organico che disciplini in modo puntuale le implicazioni legate al riconoscimento della genitorialità nei confronti del minore concepito attraverso le tecniche di PMA, anche alla luce di quelle lacune normative che lasciano spazio a interpretazioni discordanti. |