All’esame della Consulta i congedi per le coppie omogenitoriali

28 Gennaio 2025

È legittimo precludere a una delle due madri il congedo che viene riconosciuto in una coppia eterosessuale ai padri?

Massima

La Corte territoriale di Brescia ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27-bis d.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori nei registri dello stato civile, ciò per contrasto con l'art. 3 Cost. e con l'art. 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 Direttiva 2000/78 e all'art. 4 Direttiva 2019/1158 e per questo motivo ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Il caso

La vertenza in esame riguarda una causa collettiva che Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI (di seguito solo R. L.) ha patrocinato nell'interesse di tutte quelle coppie dello stesso sesso che risultano genitori nei registri dello stato civile e ciò a prescindere dall'annosa questione sulla legittimità di tali atti (rectius: sulla legittimità di accesso alla PMA - Procreazione Medicalmente Assistita da parte di una coppia dello stesso sesso o della trascrizione di atti di nascita di minori nati da una gestazione per altri), che deve essere considerata estranea rispetto al tema oggetto di attenzione.

R. L. promuoveva il giudizio exartt. 2 e 3 d.lgs. n. 215/2003, 28 d.lgs. 150/11 e 281-decies e ss. c.p.c. davanti al Tribunale di Bergamo, lamentando la differenza di trattamento riservato alle coppie dello stesso sesso rispetto alle coppie sesso diverso da parte dell'Inps. In particolare, R.L. riferiva che il trattamento discriminatorio consisteva nell'adozione da parte dell'ente di previdenza di un sistema informatico che non consentiva alle coppie omogenitoriali, pur essendo riconosciute come tali nei registri dello stato civile, di presentare domanda per gli istituti del congedo di paternità obbligatorio di cui all'art. 27-bis, d.lgs. 151/2001, del congedo di paternità alternativo ex art. 28 e ss. d.lgs. 151/2001, entrambi anche in relazione a quanto disposto dagli artt. 26 e 31 d.lgs. 151/2001, del congedo parentale ex art. 32 e ss. d.lgs. 151/2001, dei periodi di riposo ex artt. 39 e 40 e ss. D.lgs. 151/2001, delle indennità di maternità exartt. 64 e ss. e 66 e ss. d.lgs. 151/2001.

Il Tribunale di Bergamo, quale giudice di primo grado, accogliendo il ricorso di R.L. riteneva l'esistenza della discriminazione a danno dei genitori dello stesso sesso e ordinava quindi all'Inps di modificare nel termine di due mesi il proprio sistema informatico di ricezione delle domande amministrative così da rendere possibile alle coppie che fossero risultate genitori dai registri di stato civile inserire i loro codici fiscali e ogni altro dato rilevante a prescindere dal sesso, condannando l'Inps anche al pagamento di una somma di € 100,00 per ogni giorno di ritardo.

Detta decisione veniva impugnata dall'Inps che chiedeva altresì l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa.

La Corte d'Appello di Brescia, una volta disposta la sospensione del provvedimento del giudice di prime cure, riteneva tuttavia, che, limitatamente al tema del congedo di paternità richiesto dalla seconda madre nel caso della coppia di donne (ossia di quella che non ha partorito), di non poter decidere secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, né disapplicando la stessa in favore dell'art. 4 della Direttiva 2019/1158 che prevede il congedo di paternità obbligatorio in favore del secondo genitore equivalente; ad avviso della Corte territoriale solo un intervento della Consulta avrebbe potuto risolvere il caso di specie.

Con l'ordinanza in esame la Corte d'Appello di Brescia trasmetteva quindi gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27-bis d.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori nei registri dello stato civile, ciò per contrasto con l'art. 3 Cost. e con l'art. 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 Direttiva 2000/78 e all'art. 4 Direttiva 2019/1158.

La questione

Posto che nel nostro ordinamento giuridico le famiglie omogenitoriali composte da due madri esistono e sono riconosciute - ciò, per esempio, in forza di trascrizione di un atto di nascita formato all’estero - la questione in esame è la seguente: è legittimo precludere a una delle due madri (quella che non ha partorito, per intenderci) il congedo che viene riconosciuto in una coppia eterosessuale ai padri?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello di Brescia ritiene di non poter decidere secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme perché il tenore letterale inequivocabile dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 151 del 2001, che fa esclusivo riferimento al “padre”, non consentirebbe interpretazioni diverse, né ritiene di poter disapplicare la norma di legge interna in favore dell'art. 4 della Direttiva 2019/1158 che prevede il congedo di paternità obbligatorio in favore del secondo genitore equivalente, ove riconosciuto nell'ordinamento interno.

Secondo i giudici di secondo grado non è qui possibile optare per un'interpretazione della norma che estenda il diritto alle coppie same sex così come è stato fatto, in passato, allorquando è stato interpretato l'art. 32 del medesimo d.lgs. in tema di congedo parentale. Il testo dell'art. 27-bis non si riferisce, come invece fa più genericamente il successivo art. 32, a “genitore”, ma al “padre”, rendendo impossibile un'interpretazione estensiva.

Ad avviso dei giudici della Corte territoriale, solo la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27-bis citato, permetterebbe, ove ve ne siano i presupposti, di rimuovere la discriminazione accertata, al fine di consentire in futuro a tutte le coppie omogenitoriali risultanti dai registri dello stato civile di godere di congedi e permessi ex d.lgs. 151/2001.

Nella propria ordinanza di rimessione la Corte d'Appello afferma che per ordinare all'Inps di cambiare il sistema informatico in relazione alle modalità di presentazione della domanda per l'accesso al congedo di paternità obbligatorio si impone come unica soluzione l'intervento della Corte Costituzionale sulla norma da cui ha origine la disparità lamentata. La conclusione a cui perviene il giudice di secondo grado deriva anche dalla recente pubblicazione della sentenza n. 15 del 2024 della Consulta - non ancora adottata quando il Tribunale di Bergamo si era pronunciato sul caso – che aveva chiarito un punto: quando la condotta discriminatoria della pubblica amministrazione deriva non da un puntuale provvedimento amministrativo, ma da un atto regolamentare destinato a essere applicato ripetutamente, l'unico modo per bloccare la reiterazione della discriminazione è rimuovere la norma regolamentare (diversamente il giudice ordinario dovrebbe di volta in volta ordinare alla pubblica amministrazione la cessazione delle singole condotte discriminatorie, senza poter intervenire a monte, eliminando con efficacia erga omnes la norma regolamentare che crea il contenzioso). 

Per il giudice di primo grado, invece, la discriminazione in base all'orientamento sessuale rispetto a tutti i diritti elencati dall'associazione ricorrente, sarebbe stata evidente sulla base di tre elementi: i) ci sono casi in cui coppie di genitori dello stesso sesso sono indicati come tali negli atti di nascita, ii) il sistema informatico dell'Inps impedisce a costoro di presentare domanda per alcune prestazioni; iii) non esiste una modalità alternativa o equivalente per proporre quella stessa tipologia di domanda.

Richiamata pertanto la c.d. Direttiva Congedi (Direttiva 2019/1158/UE) che, riconoscendo la piena parità di trattamento per i genitori dello stesso sesso quando menziona il secondo genitore equivalente, di fatto esplicita il divieto di discriminazione per orientamento sessuale e tutela così i figli nati (o riconosciuti) da coppie omosessuali, nonché richiamata la Direttiva 2000/78/CE che vieta la discriminazioni fondate sulle tendenze sessuali per quanto concerne le condizioni di lavoro (poiché i congedi/permessi rientrano necessariamente in tali ipotesi), il Giudice di prime cure aveva – con buon senso – accolto interamente il ricorso di R.L..

La decisione del Tribunale di Bergamo è sicuramente frutto di buon senso, ma a questo punto è nell'interesse della collettività che la Consulta si pronunci eliminando – per quanto riguarda il congedo di paternità - la norma che alimenta la discriminazione dedotta.

Osservazioni

La procedura informatica per la presentazione delle domande per i congedi parentali e permessi predisposta dall'Inps riflette l'impostazione della normativa nazionale in base alla quale solo le coppie di genitori di sesso diverso possono accedere agli istituti exd.lgs. n. 151/2001.

Il nostro ordinamento giuridico non ha ancora fatto i conti con il fatto che da una decina d'anni esistono ufficialmente le famiglie genitoriali (un esempio su tutti il decreto Salvini che nel 2018 ha introdotto per la Carta di identità elettronica la dicitura “padre/madre” in luogo di quella prevista per la versione cartacea che riportava la formula più inclusiva “genitori o chi ne fa le veci”) ed è ancora tarato su un modello di famiglia rigorosamente eterosessuale.

Con l'ordinanza in esame si è finalmente presentata l'occasione di concretizzare i diritti connessi alla genitorialità delle famiglie c.d. arcobaleno, in particolare di quelle composte da due donne: essere riconosciute come madri non è sufficiente, se poi solo una delle due ha a disposizione l'istituto del congedo e dei permessi e l'altra no; occorre invece che entrambe possano esercitare tutti i diritti di cui godono le coppie eterosessuali.

Le famiglie omoaffettive con due madri esistono da anni nel nostro paese, ma solo negli ultimi dieci hanno iniziato ad essere riconosciute attraverso istituti di vario genere: con la formazione in Italia di atti di nascita in cui siano indicate due donne (legittimità per cui oggi pende un giudizio davanti alla Corte costituzionale a seguito dell'ordinanza del Tribunale di Lucca pubblicata il 26.06.24), oppure con la trascrizione di analoghi atti di nascita però formati all'estero (legittimi per giurisprudenza conforme).

Esiste, tuttavia, anche un altro modo attraverso il quale due donne possono essere riconosciute entrambe come madri ed è l'ipotesi in cui quella che non ha partorito (c.d. madre d'intenzione o madre sociale) adotti ex art. 44 lett. d) l. 184/83 il/la figlio/a della propria partner.

Rispetto all'adozione in casi particolari vi sono altre difficoltà connesse alla possibilità di usufruire del congedo di paternità obbligatorio da parte della madre d'intenzione. La madre non partoriente, infatti, diventa legalmente genitore solo con la sentenza passata in giudicato che accoglie la domanda di adozione. Posto che i dieci giorni di congedo obbligatorio dovrebbero essere goduti nel periodo in cui la madre partoriente si astiene dal lavoro e posto che l'iter di adozione può essere avviato solo dopo la nascita del minore, ecco che vi è – di fatto - l'impossibilità da parte della madre d'intenzione di presentare la domanda di congedo di paternità, dal momento che la sentenza di adozione arriva non prima di qualche mese dal deposito del ricorso ex art. 44 della legge citata. In questo caso la madre adottante, in pendenza dell'iter, dovrebbe poter essere parificata alla madre che è indicata tale nell'atto di nascita, affinché possa esercitare i diritti riconosciuti alla paternità.

Il problema della madre adottiva non viene superato nemmeno qualora si invocasse l'art. 26 del d.lgs. 151/2001 che, in forza del richiamo previsto all'art. 27-bis, riconosce al padre il diritto al congedo anche nel caso di affidamento o adozione posto che tale facoltà va esercitata nei primi cinque mesi dall'ingresso del minore nella famiglia. Come accade nella quasi totalità dei procedimenti, la coppie che ricorrono all'adozione in casi particolari sono coppie che hanno condiviso un progetto di genitorialità tramite una PMA e quindi il minore adottando, è “entrato” in quella famiglia sin dalla sua nascita; per questo motivo, se il congedo va usufruito dal genitore adottivo (rectius: dalla madre adottiva) entro i primi cinque mesi dall'ingresso del minore in famiglia, risulterà ugualmente impossibile per la madre d'intenzione che ha avviato l'adozione ex art. 44 – considerate le tempistiche del procedimento di adozione – esercitare tale diritto nei termini indicati.

Insomma, contemplare nel nostro ordinamento giuridico le famiglie composte con due genitori dello stesso sesso, da un lato, e privarle dei diritti conseguenti all'essere genitori, dall'altro, è certamente discriminatorio.

Occorre invece riconoscere alla madre non partoriente quanto concesso ai padri delle coppie di sesso diverso, altrimenti il diritto – costituzionalmente presidiato – del secondo genitore (qui dello stesso sesso) verrebbe ad essere compresso in funzione di un dato "normativo".

La questione che è stata sollevata dalla Corte d'Appello di Brescia è tutt'altro che banale e se la Consulta dovesse dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma evidenziata, potrebbe essere inaugurata una nuova stagione in tema di pari opportunità.

Le coppie dello stesso sesso stanno mettendo in discussione l'intera impalcatura del nostro ordinamento nella parte in cui si diversificano ancora i diritti della madre da quelli del padre, proprio perché in queste coppie ci sono contemporaneamente o due madri o due padri, e mentre noi discutiamo se sia o meno costituzionalmente legittimo negare il congedo di paternità alla madre d'intenzione, all'estero stanno rendendo equivalenti i due diversi congedi, gettando le basi per una vera uguaglianza tra uomo e donna. 

Riferimenti

S. Rossi, Congedi e permessi: i genitori dello stesso sesso hanno diritto alla tutela della genitorialità, in Quotidiano Giuridico, 22 febbraio 24

Rassegna del merito - Direttiva congedi e divieto di discriminazione, a cura di F. COLLIA e F. ROTONDI, Il lavoro nella giurisprudenza, n. 5, 1 maggio 2024, p. 529

C. Trapuzzano, La disapplicazione per contrasto con il diritto UE non rimuove la legge con efficacia erga omnes, in Quotidiano Giuridico, 22 febbraio 24

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