Il reato di epidemia colposa può manifestarsi anche in forma omissiva?
Michele Toriello
30 Luglio 2025
La questione controversa attiene al delitto di epidemia colposa, e, in particolare, alla possibilità che alla base della colposa «diffusione di germi patogeni», dalla quale sia scaturita «un’epidemia», possa esserci una condotta omissiva. Le motivazioni delle Sezioni Unite.
Questione controversa
L'art. 438 c.p. punisce «Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni», mentre l'art. 452 c.p. incrimina «Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 c.p.»: ci si chiede, dunque, se la formulazione letterale delle norme precluda o meno la possibilità di configurare il reato di epidemia colposa a seguito di una condotta omissiva.
Possibili soluzioni
Prima soluzione
Seconda soluzione
In due occasioni la giurisprudenza di legittimità ha espressamente ritenuto che, richiedendo l'art. 438 c.p. che il reato sia commesso «mediante la diffusione di germi patogeni», si sia in presenza di un reato commissivo a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell'art. 40 cpv. c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera.
Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2017, dep. 2018, n. 9133, giudicava il ricorso del dirigente di una società deputata alla gestione dell'acquedotto civico di un comune al quale si contestava di avere cagionato, per colpa, la distribuzione per il consumo di acque per uso potabile pericolose per la salute pubblica, così determinando l'insorgere di una epidemia nella popolazione locale: la Corte, definito il concetto di epidemia rilevante dal punto di vista penale ed il suo più ristretto ambito rispetto all'accezione accreditata dalla scienza medica, ha dato conto che secondo la più accreditata elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale il fatto tipico previsto nell'art. 438 c.p. è modellato secondo lo schema dell'illecito causalmente orientato, con la conseguenza che il fatto non può ritenersi tipico se l'evento è realizzato per effetto di un diverso percorso causale; ha, quindi, posto in rilievo che «la norma evoca, all'evidenza, una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con il disposto dell'art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera, ovvero a quelle la cui realizzazione prescinde dalla necessità che la condotta presenti determinati requisiti modali».
Cass. pen., sez. IV, 4 marzo 2021, n. 20416, pronunciandosi in un procedimento cautelare avente ad oggetto il sequestro di una casa di riposo in relazione alla diffusione del virus da Covid 19 fra gli ospiti e il personale, ha incidentalmente rilevato che «in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l'art. 438 c.p., con la locuzione "mediante la diffusione di germi patogeni", richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell'art. 40 c.p., comma 2, riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera».
Nella giurisprudenza di legittimità non si individuano pronunce che abbiano espressamente accolto un diverso indirizzo ermeneutico.
Tuttavia, Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014, pur non affrontando direttamente il tema della tipicità della forma omissiva per il reato di cui all'art. 438 c.p., in un obiter dictum, ha ritenuto che «la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione quanto mai ampia, che il soggetto agente procuri un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire detta diffusione; occorre, però, al contempo, e ciò è evidente, che sia una diffusione capace di causare un'epidemia».
Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. IV, 19 settembre 2024, n. 42614
La Corte era chiamata a scrutinare il ricorso del Procuratore della Repubblica avverso la sentenza di assoluzione del soggetto che, in qualità di delegato dal datore di lavoro ex art. 16 d.lgs. n. 81/2008, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed inosservanza degli obblighi di cui all'art. 77 d.lgs. n. 81/2008, non fornendo ai dipendenti di un Ospedale civico un numero sufficiente di dispositivi di protezione individuale contro la diffusione del Covid all'interno del luogo di lavoro, non assicurando ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata sul rischio biologico, e non adottando misure collettive ed individuali di protezione dal rischio biologico da Sars CoV2, cagionava un'epidemia nell'Ospedale.
Il Tribunale aveva sposato l'indirizzo sostenuto dalle due citate pronunce di legittimità, ad avviso delle quali il reato di epidemia può essere integrato soltanto dalla diffusione di germi patogeni, e, dunque, da un comportamento attivo, sicché il delitto non è configurabile quando la condotta si è concretizzata in forma omissiva, trattandosi di modalità diverse da quelle contemplate dalla norma incriminatrice.
Il Procuratore ricorrente contestava queste conclusioni, sottolineando che il legislatore non ha selezionato una particolare modalità di commissione del reato, e che la condotta incriminata può essere realizzata anche in forma omissiva, non ostacolando la diffusione di germi patogeni.
La Corte ha manifestato il suo dissenso rispetto all'unico orientamento fino ad oggi sposato dai giudici di legittimità, aderendo ad «un'interpretazione più ampia che ammette la realizzazione del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva».
Ha, innanzitutto, osservato che la formulazione letterale della norma «non sembra precludere una ricostruzione della tipicità aperta anche alla forma omissiva», essendo «possibile attribuire alla locuzione in esame un significato conducente alla tipicità delle condotte omissive. In consonanza con un orientamento dottrinario che ormai si fatica a definire minoritario, si conviene che il termine "diffondere" è espressione dal significato molto ampio che può ricomprendere le forme più diverse, non necessariamente implicanti un agire naturalistico positivo in quanto si può diffondere anche "lasciando che si diffonda". Né si può omettere di considerare il mutato contesto storico e sociale in cui si trova ad operare l'odierno interprete rispetto al legislatore del 1930, al quale si presentava lo spargimento di germi come prioritaria modalità di realizzazione del reato sul versante doloso; mentre è palese l'attuale rilevanza della gestione del rischio sanitario che si correla a condotte inosservanti per lo più colpose. Va altresì considerato che l'incriminazione sia dolosa che colposa dell'epidemia non vanta alcun precedente nei codici preunitari né nel codice Zanardelli ed è stata prevista per la prima volta dal Codice Rocco di cui rappresenta una delle principali novità nell'ambito dei delitti contro l'incolumità pubblica. Il legislatore del 1930 così spiegava la scelta di introdurre questa nuova fattispecie incriminatrice: "La necessità di prevedere nel codice il delitto di epidemia è stata riconosciuta in rapporto alla enorme importanza che ormai ha acquistato la possibilità di venire in possesso di germi capaci di cagionare una epidemia e di diffonderli e si è trovata a giustificare la grave sanzione". Dalle motivazioni del legislatore storico non sembra potersi desumere con certezza la volontà di escludere dall'ambito della tipicità condotte realizzate in forma omissiva».
Ha, poi, considerato che, interpretata in senso ampio, la norma non perderebbe la sua capacità di selezione, poiché «la centralità del riferimento alla "diffusione di germi patogeni" non verrebbe svalutata in quanto connotato della stessa tipicità», e «manterrebbe una fondamentale funzione di descrizione selettiva dell'evento accentuandone il disvalore sotto il profilo della peculiare prospettiva di tutela», sicché «ad essere vincolata non sarebbe la condotta, la quale ammetterebbe qualsiasi modalità di trasmissione della malattia, bensì il mezzo attraverso il quale si verifica l'evento. Ciò rende applicabile l'art. 40, comma 2, c.p., ritenuto compatibile con i c.d. reati a mezzo vincolato».
Ha, infine, rilevato che «è ragionevole ritenere» che il legislatore abbia voluto apprestare la più intensa protezione possibile ai beni giuridici tutelati - la salute pubblica e l'incolumità collettiva -, costruendo la fattispecie incriminatrice come un reato di evento a forma libera, così da sanzionare «tutte le possibili modalità di aggressione al bene medesimo», ed ha richiamato precedenti giurisprudenziali nei quali si è ritenuto che anche reati a condotta vincolata possono manifestarsi in forma omissiva, essendosi, ad esempio, sostenuto che la truffa può essere integrata anche dal silenzio maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini dell'altrui consenso.
Ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione del quesito che è stato così formulato: «Se il delitto di epidemia colposa possa essere integrato anche con una condotta omissiva».
Informazione provvisoria
Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 10 aprile 2025, hanno dato al quesito loro sottoposto risposta «affermativa».
Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 10 aprile 2025, n. 27515
Le Sezioni Unite hanno rilevato che le norme incriminatrici, poste a presidio del bene giuridico della salute pubblica («un bene la cui dimensione è solo di natura collettiva, essendo del resto le aggressioni individuali già tutelate dalle previsioni riferibili ai reati contro la persona»), fanno riferimento ad «una nozione che, se da una parte, riposa su un dato apparentemente predefinito laddove appare recepire il concetto di epidemia assunto nel suo significato etimologico derivante dalla lingua greca (epi demios, ovvero diffuso nel popolo), dall'altra ne precisa, però, al tempo stesso, le caratteristiche clinico-patologiche, riassunte [..] nella individuazione dei “germi patogeni” quali vettori della diffusione [..]. Di qui, dunque, l'elaborazione, sia giurisprudenziale che, soprattutto, dottrinale, volta anzitutto a dar corpo, in una necessaria perimetrazione degli elementi costitutivi del reato sul piano oggettivo, ai requisiti di indispensabile caratterizzazione del fatto, essendosi concordemente ritenuta la necessità della rapida, massiva ed incontrollata diffusività su un numero indeterminato di persone tale da qualificare la fattispecie in termini di “reato di pericolo concreto per l'incolumità pubblica” [..], e da dare conto, altresì, della gravità della sanzione comminata, così, peraltro, secondo alcune pronunce, da escludere la configurabilità del reato in caso di propagazione circoscritta solo a determinati ambienti».
Hanno poi constatato l'esiguità delle pronunce di legittimità in argomento, spiegando la «assai rarefatta applicazione della norma in sede penale» con la circostanza che, per la sua integrazione, non è sufficiente «l'intervenuto contagio di un certo numero di persone, essendo necessario il pericolo di diffusione verso un numero indeterminato di vittime potenziali».
Dopo aver analizzato la scarna giurisprudenza già messa in evidenza dall'ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite hanno illustrato i motivi per i quali deve ritenersi che il delitto di epidemia colposa può essere integrato anche da una condotta omissiva.
Il dato normativo dell'art. 438 c.p., osserva la Corte, si limita a prevedere come reato il cagionare «un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni»: detta «diffusione» può essere integrata non solo dallo «spargimento volontario» dei germi patogeni, ma anche dal contagio, come confermato (a prescindere dalle contrarie indicazioni ricavabili dalla Relazione del Guardasigilli al progetto del codice penale, che - cfr. Cass. pen., sez. un., 14 dicembre 2023, dep. 2024, n. 12759 - non sono vincolanti per l'interprete) dal legislatore dell'emergenza Covid-19 «che, con riguardo all'ipotesi della condotta di colui che, risultato positivo al virus, si limiti a violare l'obbligo di confinamento nella propria abitazione o dimora, ha prospettato la possibile configurabilità, oltre che del reato di cui all'art. 260 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, anche di quello di epidemia (v., segnatamente, l'art. 2, comma 3, d.l. 16 maggio 2020, n. 33, con riferimento all'art. 1, comma 6, stesso decreto, secondo cui “salvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 6, è punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265” o, ancor prima, nel medesimo senso, pur con variazioni semantiche, l'art. 4, comma 6, d.l. 25 marzo 2020, n. 19 con riferimento all'art. 1, comma 2, lett. e) stesso decreto)».
Peraltro, rileva la Corte, quello delineato dall'art. 43 c.p. è reato comune, potendo essere commesso da «chiunque», mentre, ritenendo che la diffusione possa essere realizzata solo da chi è “in possesso” dei germi, e non anche da chi ne sia stato semplicemente contagiato, «si finirebbe per introdurre una sorta di reato “proprio” o “a soggettività ristretta”, fondato su una specifica qualifica caratterizzante il soggetto attivo come “detentore” o “possessore” del germe».
Da queste considerazioni la Corte trae il convincimento che quello in esame è reato a forma libera, in relazione al quale l'art. 438 c.p. individua «l'atto di “cagionare” come la condotta e, conseguentemente, l'epidemia quale oggetto della stessa e, dunque, in altri termini, quale evento del reato», sicché la «diffusione di germi patogeni», costituisce «l'ubi consistam normativo dello stesso evento, ovvero, appunto, la epidemia»: «l'epidemia, nella intenzione del legislatore, è quella che, normativamente, può verificarsi solo attraverso (“mediante”, appunto) la diffusione (cioè la propagazione) di “germi patogeni” e non già attraverso le ulteriori forme di più ampio spettro constatabili nel contesto scientifico o naturalistico ma escluse, evidentemente, dall'orizzonte normativo. Si tratta, dunque, di una norma che, nel porre l'accento sull'evento e non sulla condotta (semplicemente data, come detto, dal “cagionare”), si pone in piena armonia con la scelta ordinariamente effettuata dal legislatore quando si tratti di tutelare beni giuridici “primari” (come, nella specie quello della pubblica incolumità), salvaguardati sempre attraverso fattispecie a forma libera o “causalmente orientate”, e presenta altresì una componente definitoria della nozione di epidemia, volutamente differenziata da quella scientifica».
In sostanza, ad avviso delle Sezioni Unite, la descrizione contenuta nella norma incriminatrice impone di ritenere che «non è il soggetto autore del cagionare colui che “diffonde”, ma sono i germi patogeni, propri dell'epidemia come predefinita dal legislatore, che “si diffondono” dando così luogo all'evento. Qualificata, dunque, la diffusione dei germi patogeni come modalità predefinita di esplicazione - caratterizzazione dell'evento, diviene tra l'altro non solo superfluo, ma anche, fondamentalmente, “asistematico” l'interrogarsi sulla possibilità di estendere il concetto di diffusione sino al punto di ricomprendervi anche il “lasciare che il germe si diffonda”», poiché una tale questione rileverebbe solo se la diffusione fosse elemento qualificante della condotta, mentre essa, come si è appena visto, deve intendersi come elemento qualificante dell'evento.
Una tale lettura, osserva la Corte, conduce a qualificare quello in esame non come reato a condotta vincolata ma come reato causalmente orientato, con conseguente applicazione della clausola di equivalenza di cui all'art. 40 comma 2 c.p., giacché «il principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità attiva si applica ai reati causali puri, caratterizzati dalla rilevanza dell'evento e dalla indifferenza della condotta», in coerenza con l'intenzione del legislatore di «evitare l'evento pericoloso per la salute pubblica indipendentemente dalle modalità comportamentali».
Da tanto consegue la sicura idoneità di una condotta omissiva ad integrare il delitto: diversamente opinando, rileva la Corte, si finirebbe per «contraddire la capacità della norma di assolvere alla funzione di tutela del bene della salute pubblica, rientrante nell'art. 32 Cost., in coerenza con la stessa collocazione sistematica assegnatale dal codice»; questa prospettiva ermeneutica è, peraltro, più coerente con il mutato contesto storico sociale: «mentre al momento dell'introduzione nel codice della nuova fattispecie il fenomeno veniva prospettato come essenzialmente doloso, perché legato in particolare agli esiti della prima guerra mondiale legata all'uso in essa fatto delle armi batteriologiche (ovvero della dispersione di virus nocivi prodotti in laboratorio), nell'attuale, complesso, contesto socio-scientifico-tecnologico i risvolti dell'epidemia evocano sempre più i profili di gestione del rischio sanitario e si relazionano a condotte quasi esclusivamente inosservanti e perlopiù colpose che, con la lettura riduttiva di cui sopra, finirebbero, in realtà, per non venire mai sanzionate, a dispetto della formale presenza dell'art. 452 c.p. In altri termini, accettandosi una visuale essenzialmente “volontaria” fondata sulla diretta e intenzionale dispersione del virus causata dal soggetto agente, il reato colposo si ridurrebbe alla figura residuale, e tra l'altro anacronistica, di chi, “in possesso dei germi”, se li lasci colposamente sfuggire e, pertanto, proprio la lettura qui ripudiata finirebbe per relegare la norma a casi di “scuola”, statisticamente ridottissimi».
«Resta ovviamente fermo – conclude la Corte - che, per aversi reato nella forma omissiva, dovrà pur sempre sussistere, alla stregua dei principi generali da osservarsi anche in tal caso, in primo luogo la prova degli elementi in base ai quali opera la previsione dell'art. 40, comma 2, c.p., ovvero la sussistenza, in capo al soggetto agente, dell'obbligo giuridico di attivarsi, discendente dalle fonti di responsabilità che la giurisprudenza di questa Corte ha, nel tempo, individuato; in secondo luogo, con specifico riguardo al reato di epidemia, da tenere sempre necessariamente distinto dai reati che si limitino a ledere la salute individuale, sarà necessaria la valutazione, da compiere in presenza di una legge scientifica di copertura e secondo i principi della causalità generale, circa l'omesso impedimento della diffusione del germe a determinare o a concorrere nella determinazione del fenomeno rapido, massivo ed incontrollabile, lesivo del bene collettivo della salute e incontestabilmente proprio del reato in esame [..] Va aggiunto come questa Corte abbia anche affermato che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), nonché della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso».
È stato, dunque, affermato il seguente principio di diritto: «Il delitto di epidemia colposa può essere integrato anche da una condotta omissiva».
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