Sposarsi per prova: l’altro coniuge ha diritto al risarcimento del danno?

27 Novembre 2024

Sposarsi per prova e, nel breve periodo, domandare sia la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale sia la separazione personale dal coniuge, può cagionare un danno all’altro coniuge legittimando quest’ultimo a chiedere il risarcimento?

Massima

La libertà matrimoniale è un diritto della personalità relativo alla sfera personale affettiva di ognuno e, pertanto, ciascun coniuge, nell’impegnarsi al matrimonio, ha piena libertà di autodeterminarsi, libertà che non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare all’altra parte uno stato soggettivo quale è l’incertezza sulla permanenza del vincolo matrimoniale e la possibilità di dissoluzione dello stesso.

Alla luce di tale libertà di autodeterminarsi, la mancata comunicazione di volersi sposare per prova non fa sorgere un interesse della controparte meritevole di tutela con conseguente diritto al risarcimento del danno.

Contrarre matrimonio per prova, ovvero con l’intenzione di verificare se l’unione coniugale possa effettivamente durare nel tempo, non integra una condotta produttiva di un danno ingiusto e, pertanto, l’altro coniuge non avrà diritto al risarcimento del danno.

Il caso

Tizio conveniva in giudizio Caia, ex moglie, al fine di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno per avergli nascosto la volontà di sposarsi solo per prova.

Inoltre, Tizio lamentava anche l'accanimento processuale che la ex moglie avrebbe tenuto nei suoi confronti, in quanto la stessa:

- circa sei mesi dopo la celebrazione del matrimonio, instaurava, avanti al Tribunale ecclesiastico, un giudizio per chiedere la pronuncia di nullità del vincolo coniugale, che si concludeva, circa un anno e mezzo dopo, con una sentenza di nullità del matrimonio religioso;

- successivamente, adiva la competente Corte d'Appello per ottenere la delibazione del provvedimento emesso dal Tribunale ecclesiastico, richiesta che veniva rigettata dai giudici di secondo grado per contrarietà all'ordine pubblico della caducazione del vincolo matrimoniale per effetto della riserva unilaterale di una parte, a tutela dell'affidamento dell'altro coniuge;

- instaurava, poi, un procedimento giudiziale di separazione personale dei coniugi;

- adiva anche il Tribunale penale citando Tizio in giudizio;

- instaurava un procedimento disciplinare nei confronti dell'ex marito, in relazione alla qualifica di avvocato di quest'ultimo;

- contrastava in giudizio le richieste di Tizio di divisione dei beni, essendo i coniugi sposati in regime comunione legale.

Il Tribunale adito da Tizio per ottenere il ristoro del danno, tuttavia, rigettava la domanda, condannandolo al risarcimento per responsabilità aggravata.

Avverso tale sentenza, Tizio proponeva appello, che, tuttavia, veniva rigettato dalla Corte di merito, con nuova condanna dell'appellante al risarcimento del danno per responsabilità aggravata.

Le motivazioni alla base di tale decisione si possono riassumere come segue.

La Corte d'Appello rilevava preliminarmente come le richieste istruttorie formulate dall'appellante non avrebbero potuto trovare accoglimento per due ordini di motivi:

  1. Tizio, nell'atto introduttivo, non aveva espressamente riportato le singole istanze istruttorie, limitandosi a un mero rinvio ai capitoli di prova dedotti con la seconda memoria istruttoria depositata in primo grado;
  2. in ogni caso, si trattava di istanze istruttorie irrilevanti.

Entrando nel merito della motivazione, i Giudici di secondo grado osservavano che:

a) Tizio non aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva sostenuto l'irrilevanza, per il nostro ordinamento, dell'esistenza di una causa di invalidità del matrimonio religioso. Pertanto, alla luce di tale statuizione, l'assunto di Tizio secondo cui Caia aveva contratto matrimonio con lui con lo specifico intento di violare gli obblighi derivanti dalle nozze era inammissibile, se per violazione degli obblighi coniugali Tizio intendeva la volontà della ex moglie di sposarsi per prova;

b) era errato il ragionamento di fondo dell'intero appello di Tizio, dal momento che nel matrimonio - a differenza del rapporto contrattuale - vengono in rilievo i diritti della personalità, incoercibili, tra cui la libertà della scelta matrimoniale. Non può esistere un obbligo (da sanzionare, secondo Tizio, con la responsabilità risarcitoria) di comunicazione all'altro coniuge delle proprie “intenzioni” matrimoniali;

c) la breve durata del matrimonio non consentiva di ritenere dimostrato che il fallimento dello stesso fosse dipeso dalle condotte reticenti di Caia;

d) il Tribunale aveva correttamente valutato la temerarietà della lite, perlomeno in relazione alla colpa grave, in particolare, oltre al resto, per l'avere Tizio posto a fondamento della domanda una questione (la reticenza sulla riserva mentale concernente l'indissolubilità del matrimonio) irrilevante per l'ordinamento giuridico italiano;

e) non vi era alcun vizio di ultrapetizione, dal momento che Caia, convenuta, aveva chiesto la condanna ex  art. 96, terzo comma, c.p.c. e dal momento che la generica pronuncia ex art. 96 c.p.c. non poteva essere intesa come richiesta in base al primo comma, piuttosto che in base al terzo comma;

f) anche per il procedimento d'appello ricorrevano i presupposti per la responsabilità aggravata ex  art. 96, terzo comma, c.p.c., in quanto: l'appello di Tizio era basato, quasi integralmente, sulla generica negazione della correttezza della pronuncia del Tribunale, senza la formulazione di censure al percorso motivazione del giudice di primo grado; Tizio aveva posto a fondamento della propria domanda la mera mancata comunicazione da parte di Caia (futura moglie) delle sue reali intenzioni.

Alla luce del rigetto delle proprie domande anche in appello, Tizio presentava ricorso per Cassazione, fondato su sei motivi.

In particolare:

1) con il primo motivo, Tizio afferma che la Corte d'Appello può ammettere le istanze istruttorie richieste nel caso in cui, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte e dalla linea difensiva adottata, emerga la volontà inequivoca di insistere sulla richiesta attraverso l'esame degli scritti difensivi;

2) con il secondo motivo, il ricorrente sostiene la presenza di tutti gli elementi dell'illecito civile ex art. 2043 c.c., avuto riguardo, oltre al resto, al comportamento omissivo prima delle nozze da parte della ex moglie e all'ingannevole reticenza di quest'ultima su circostanze rilevanti come quella di sposarsi per prova in violazione dei doveri di correttezza e buona fede. Secondo Tizio, alle stesse conclusioni si dovrebbe giungere in caso di responsabilità ex art. 1218 c.c. e, in ogni caso, la sentenza di primo grado era stata da egli impugnata nella sua interezza, senza possibilità di desumere un giudicato interno;

3) con il terzo motivo, Tizio fa presente di non aver mai inteso applicare al matrimonio i principi della materia contrattuale, avendo egli solo fatto un riferimento in via analogica ai principi di correttezza e buona fede. Secondo il ricorrente, sarebbe stata violata la libertà di autodeterminazione dell'ignaro promesso sposo e lo sposarsi per prova integra un inganno nei confronti dell'altra parte. Inoltre, sempre secondo Tizio, la Corte d'Appello avrebbe dovuto presumere che il promesso sposo, nel caso in cui fosse venuto a conoscenza della reale intenzione della futura moglie, non si sarebbe sposato e, dunque, la condotta di Caia aveva dato origine a un vizio determinante nella formazione del consenso di Tizio;

4) con il quarto motivo, il ricorrente sostiene che il matrimonio è soggetto, per analogia, ai principi contrattuali, in particolare a quelli di correttezza e buona fede. Secondo il ricorrente, tali principi sono stati violati dalla dolosa reticenza prenuziale di Caia;

5) con il quinto motivo, in relazione alla condanna alle spese del giudizio di appello, il ricorrente sostiene che il rigetto della domanda risarcitoria avanzata da Caia ex  art. 89 c.p.c., per la presenza di espressioni offensive negli atti di Tizio, avrebbe giustificato la compensazione delle spese processuali per reciproca soccombenza;

6) con il sesto e ultimo motivo, con riferimento alla sua condanna per lite temeraria, Tizio sostiene come non ricorra il presupposto della colpa grave per i puntuali motivi di impugnazione della decisione di primo grado.

A ciò, il ricorrente aggiunge che il Tribunale non avrebbe assolto all'onere motivazionale, essendosi limitato a richiamare le tabelle del Tribunale di Milano, senza che si potesse comprendere l'effettivo parametro adottato per la liquidazione equitativa.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, con l'assorbimento del primo motivo, e ha condannato il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, nonché al pagamento di una somma ai sensi dell'art. 96, terzo comma, c.p.c.

La questione

Con l’ordinanza in commento, la Corte di cassazione chiarisce quali siano i presupposti che permettono di valutare l’esistenza o meno del diritto di un coniuge a ottenere il risarcimento del danno da parte dell’altro coniuge per violazione dei doveri coniugali.

In particolare: sposarsi per prova e chiedere, nel breve periodo, sia la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale sia la separazione personale dal coniuge, cagiona un danno all’altro coniuge, che, dunque, è legittimato a chiedere e a ottenere il risarcimento?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha dichiarato che:

- il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso sono infondati, mentre il primo motivo è assorbito per l'infondatezza dei predetti;

- il quinto e il sesto motivo sono inammissibili.

I Giudici di legittimità, prima di entrare nel merito della fondatezza (o infondatezza) della richiesta di risarcimento del danno in favore del coniuge tenuto all'oscuro dell'intenzione dell'altro di contrarre matrimonio per prova, chiarisce come la mancata comunicazione da un coniuge all'altro, prima del matrimonio, della riserva mentale di sposarsi per mero esperimento non si configuri come un comportamento produttivo di un danno ingiusto per l'altra parte.

Premesso ciò, la Suprema Corte prosegue addentrandosi nella questione della responsabilità risarcitoria per la mancata comunicazione, da parte della moglie al marito, della riserva mentale sulla possibile dissolubilità del matrimonio.

Per entrare nel merito di tale argomento, la Cassazione richiama una sua fondamentale pronuncia a Sezioni Unite (sent. Cass. SS.UU. n. 500/1999) secondo cui: «ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori … Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un “danno ingiusto”, ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire … Comparazione e valutazione che non sono rimesse alla discrezionalità del giudice…».

Pertanto, la responsabilità risarcitoria discende dall'ingiustizia del danno e non dalla antigiuridicità della condotta.

Ciò premesso, la Suprema Corte continua affermando che la libertà matrimoniale è un diritto della personalità e, benché il matrimonio sia un atto di autonomia privata, lo stesso non soggiace all'effetto vincolante di cui all'art. 1372 c.c.

I coniugi sono titolari del diritto strettamente personale e irrinunciabile di far cessare gli stessi effetti civili in attuazione del diritto individuale di libertà ex  art. 2 della Costituzione.

L'atto di impegno matrimoniale, in quanto espressione della piena libertà di autodeterminarsi, è rimesso alla libera scelta di ciascun soggetto e tale libertà non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare alla propria controparte uno stato soggettivo quale l'incertezza sulla permanenza del vincolo matrimoniale.

Alla luce di tale libertà di autodeterminarsi, la mancata comunicazione di volersi sposare per prova non fa sorgere un interesse della controparte meritevole di tutela, con conseguente diritto al risarcimento del danno.

La Corte Suprema giunge, quindi, a enunciare il principio di diritto secondo cui contrarre matrimonio per prova, ovvero con l'intenzione di verificare se l'unione coniugale possa effettivamente durare nel tempo, non integra una condotta produttiva di un danno ingiusto e, pertanto, l'altro coniuge non avrà diritto al risarcimento del danno.

Conclusa la parte sul danno ingiusto e sui presupposti per il risarcimento del danno derivante dall'aver contratto matrimonio per prova, la Corte di Cassazione si concentra sui motivi di ricorso che riguardano la condanna alle spese del giudizio di appello e per lite temeraria.

La Suprema Corte ritiene entrambi i motivi di ricorso inammissibili in quanto:

- la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nella discrezione del giudice di merito, il quale non è tenuto a motivare espressamente tale decisione;

- viene ribadito come l'accertamento dell'esistenza in fatto dei presupposti di cui all'art. 96, terzo comma, c.p.c. è riservato al giudice del merito e non è sindacabile dal giudice di legittimità;

- le spese di giudizio in Cassazione seguono la soccombenza;

- costituisce abuso del diritto all'impugnazione con colpa grave la proposizione di un ricorso per Cassazione contenente motivi manifestamente infondati, ovvero ripetitivi di quanto già toccato dal giudice di appello.

Osservazioni

Con l'ordinanza in esame, la Corte di cassazione non solo enuncia un fondamentale principio di diritto, ma chiarisce anche quali siano gli interessi da considerarsi meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento e che, dunque, portano con sé la possibilità di ottenere, per il soggetto che è stato leso e ha subito un danno ingiusto, il risarcimento.

La Suprema Corte è stata molto chiara nell'affermare che il semplice sottacere al promesso sposo di volersi sposare solo per prova - in quanto non si crede nell'indissolubilità del vincolo matrimoniale, laddove si verifichino circostanze tali da compromettere l'unione - non fa sorgere il diritto al risarcimento del danno.

Se, infatti, tale condotta può essere censurata dal punto di vista morale (aver mentito al proprio futuro coniuge), non viene altrettanto censurata dal punto di vista giuridico.

La libertà di autodeterminarsi appartiene ad ogni persona, in quanto costituzionalmente tutelata; perciò, chiunque è libero di decidere se convolare a nozze e con quali motivazioni farlo.

La Suprema Corte si spinge oltre, ricordando che, se per il diritto canonico la riserva mentale in ordine alla dissolubilità del matrimonio è causa di nullità, tale motivazione non è, invece, causa di nullità per l'ordinamento civile. Tanto che, nel caso che ci occupa, la ex moglie ha ottenuto la nullità del matrimonio da parte del Tribunale ecclesiastico, ma non ha ottenuto, da parte della Corte d'Appello, la delibazione della decisione ecclesiastica.

La Corte di Cassazione fornisce anche un altro interessante spunto su cui riflettere.

Il matrimonio è sì un contratto, ma sui generis, tanto che non si applica l'effetto obbligatorio di cui all'art. 1372 c.c., posto che entrambi i coniugi hanno diritto di chiedere la separazione personale in qualunque momento, laddove si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

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