Impugnazione di parte civile della sentenza di proscioglimento del giudice di pace per un reato punito con pena alternativa
Michele Toriello
26 Giugno 2025
Quale mezzo di impugnazione ha a disposizione la parte civile che non abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato, quando lo stesso, tratto a giudizio per rispondere di un reato punito con pena alternativa, sia stato prosciolto dal giudice di pace? Le motivazioni delle Sezioni Unite.
Questione controversa
La questione controversa attiene all'ambito applicativo dell'art. 593 comma 3, c.p.p., nel testo risultante dalla “riforma Cartabia”, in virtù del quale «Sono in ogni caso inappellabili [..] le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa»; all'indomani della novella, che ha ampliato l'ambito oggettivo della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, estendendolo a quelle concernenti “reati” (quindi anche delitti, non più solo contravvenzioni) puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, ci si chiede se, nel processo celebrato innanzi al giudice di pace, la parte civile che non abbia citato in giudizio l'imputato debba impugnare la sentenza con appello o con ricorso per cassazione: ed invero, l'art. 38 d.lgs. n. 274/2000 regolamenta espressamente il solo caso di impugnazione presentata dalla persona offesa che abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, mentre nulla dice nel caso che qui rileva, nel quale torna, dunque, applicabile l'art. 2 del medesimo decreto legislativo, che, per quanto non specificamente disciplinato, rimanda alle norme del codice di procedura penale.
Possibili soluzioni
Prima soluzione
Seconda soluzione
Secondo un primo orientamento, il rinvio alle disposizioni generali comporta, per la parte civile, la rilevanza non solo del principio sancito dall'art. 576 c.p.p. ma anche del disposto dell'art. 593 comma 3, c.p.p. come riscritto dalla “riforma Cartabia”, che - in ossequio allo scopo di implementare l'efficienza del sistema delle impugnazioni, avuto di mira dal legislatore della riforma - le impedisce di appellare, agli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace per reati puniti con la pena pecuniaria o con pena alternativa.
Sono, dunque, per un verso, l'art. 593 c.p.p. - che, in difetto di una lex specialis come l'art. 37 d.lgs. n. 274/2000 per l'imputato, assume portata generale - e, per altro verso, una lettura sistematica fondata sul significato dell'art. 38 d.lgs. n. 274/2000, che convincono dell'inappellabilità della sentenza nel caso di specie.
Le sentenze che hanno sostenuto questo orientamento hanno sottolineato che l'inappellabilità non priva la parte civile di uno strumento di controllo della decisione giurisdizionale, alla luce della persistente possibilità di proporre ricorso per cassazione, e che, pertanto, non è ravvisabile alcun vulnus ai principi costituzionali: Cass. pen., sez. IV, 16 aprile 2024, n. 24097, ha, in particolare, affermato che «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2022, per contrasto con gli artt. 3,25,27,32,97,102,106 e 111 Cost. e 6CEDU, nella parte in cui prevede l'inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell'ammenda o a quella del lavoro di pubblica utilità e delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa, non avendo il doppio grado di merito copertura costituzionale e corrispondendo l'inappellabilità delle sentenze concernenti fatti di modesta rilevanza a una scelta legislativa legittima, in quanto finalizzata a migliorare l'efficienza del sistema delle impugnazioni. (In motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che le garanzie della giurisdizione risultano comunque assicurate nell'ambito del giudizio di primo grado e per effetto dello scrutinio di legittimità della sentenza, nonché, per la persona offesa, dalla facoltà di adire la giurisdizione civile a tutela dei propri diritti)» (1).
Secondo l'opposto orientamento, nel caso di specie opererebbe soltanto la regola di cui all'art. 576 c.p.p., che, nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale, riconosce alla parte civile la legittimazione ad appellare, senza limiti, agli effetti della responsabilità civile, tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio.
I sostenitori di questo orientamento evidenziano che, dopo la riforma di cui alla l. n. 46/2006, Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2007, n. 27614 fondò sull'art. 576 c.p.p. la generale legittimazione della parte civile a proporre appello: la norma non limita il potere di impugnazione della parte civile al solo ricorso per cassazione, né esclude, espressamente o per implicito, la possibilità dell'appello, sicché può essere letta anche nel senso che è consentita ogni forma di impugnazione ordinaria. Tale lettura è compatibile con un'interpretazione meno rigida e restrittiva del principio di tassatività di cui all'art. 568 comma 1, c.p.p.: l'art. 576 c.p.p., infatti, prevede che la parte civile possa impugnare la sentenza che le è sfavorevole e non pone alcuna restrizione all'utilizzo degli ordinari mezzi previsti, la cui individuazione, in un quadro invariato dei rapporti tra processo penale e azione civile, non può che essere affidata ad una ermeneutica sistematica e costituzionalmente orientata del complessivo quadro normativo in tema di impugnazioni, evitando epiloghi che determinino asimmetrie e irragionevoli posizioni processuali differenziate.
Siffatta impostazione ha, successivamente, ricevuto ampio avallo da parte della Corte costituzionale che, nel riconoscere la legittimità della illustrata interpretazione di "riequilibrio", ha osservato che «nell'aderire a tale soluzione interpretativa, le Sezioni Unite hanno fatto leva, in particolare, sull'interpretazione logico-sistematica dell'art. 576 c.p.p. - attribuendo "a mero difetto di tecnica legislativa la formulazione letterale" della norma in questione - e, soprattutto, sulla volontà legislativa, quale desumibile dai lavori parlamentari»; «la Corte di cassazione ha evidenziato come le modifiche apportate al testo normativo originariamente approvato dal Parlamento, dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica ai sensi dell'art. 74 Cost. - e segnatamente la soppressione, nell'art. 576 c.p.p., dell'inciso "con il mezzo previsto dal pubblico ministero" - risultassero finalizzate, in realtà, a rimodulare, accrescendoli, i poteri di impugnazione della parte civile, sganciandone la posizione da quella del pubblico ministero; nonché, conseguentemente, a ripristinare il potere di appello della parte privata: con il chiaro intento di recepire il rilievo formulato nel messaggio presidenziale, circa l'eccessiva compressione della tutela delle vittime del reato, quale si delineava nelle soluzioni legislative inizialmente adottate» (C. cost. 9 luglio 2008, n. 302).
Ad avviso di questo orientamento, le recenti modifiche normative non paiono idonee ad incidere sulle regole che governano il processo davanti al giudice di pace, che - come sottolineato da Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2018, n. 28908 e da C. cost. 24 febbraio 2016, n. 50 - ha carattere autonomo e tendenzialmente separato rispetto a quello ordinario.
Ed invero, nei procedimenti del giudice di pace l'art. 593 c.p.p., nella sua interezza, non trova applicazione né per l'imputato né per il pubblico ministero, in ragione dello specifico regime delle impugnazioni dettato dal d.lgs. n. 274/2000: la norma, allora, non può applicarsi neppure alla parte civile che - anche al fine di evitare ingiustificabili asimmetrie tra le parti del processo - deve ritenersi legittimata, in forza dell'art. 576 c.p.p., a proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace.
Peraltro, considerando che, in virtù dell'art. 37 d.lgs. n. 274/2000, l'imputato condannato anche al risarcimento dei danni può appellare tutte le sentenze del giudice di pace, comprese quelle che infliggono la sola pena pecuniaria, altrimenti inappellabili, non può non considerarsi che, applicando alla parte civile l'art. 593 comma 3, c.p.p. si otterrebbe che solo questa parte, in caso di soccombenza, verrebbe privata del secondo grado di giudizio di merito; se, invece, a soccombere fosse l'imputato, controparte nella lite “civile”, questi non incorrerebbe in alcun limite, potendo investire sempre il giudice di appello (2).
(1) Cass. pen., sez. IV, 16 aprile 2024, n. 24097; Cass. pen., sez. V, 22 marzo 2024, n. 14370.
(2) Cass. pen., sez. V, 10 luglio 2024, n. 36932.
Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 2024, n. 39591
I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare l'appello presentato dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione dell'imputato tratto a giudizio per rispondere del reato di diffamazione: il gravame, presentato ai soli fini della responsabilità civile, veniva riqualificato come ricorso per cassazione dai giudici di appello.
La Corte ha ricostruito il quadro normativo, ricordando che «nel procedimento del giudice di pace il regime delle impugnazioni soggiace alla disciplina speciale dettata dagli artt. 36 e ss. del citato d.lgs. n. 274/2000. All'art. 36, sotto la rubrica "impugnazione del pubblico ministero" è stabilito che: "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria" (comma 1); "il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace" (comma 2). Deriva che unico mezzo di impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di proscioglimento del giudice di pace è il ricorso per cassazione (Cass. pen., sez. IV, n. 47995/2009, Di Loreto, Rv. 245741; Cass. pen., sez. V, n. 30224/2017, Balli, non massimata sul punto; Cass. pen., sez. V, n. 57716/2017 non massimata sul punto), disciplina, questa, ritenuta costituzionalmente legittima dal Giudice delle leggi, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., dell'art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 nella parte in cui, modificando l'art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace (C. cost., n. 298/2008). L'art. 37 regolamenta, invece, l'appello dell'imputato, sancendo che «l'imputato può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria; può proporre appello anche contro le sentenze che applicano la pena pecuniaria se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno» (comma 1); «l'imputato può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano la sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento» (comma 2). L'art. 38 contiene poi una specifica disciplina per il caso (che qui non interessa) della «impugnazione del ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato», stabilendo che, quando la parte civile assume il ruolo di accusatore privato (v., infatti, di recente, Sez. 4, n. 43463 del 27/10/2022, Catalano, Rv. 283748 - 01), l'impugnazione contro la sentenza di proscioglimento è ammessa negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione del pubblico ministero. Nulla è espressamente previsto per la parte civile che non abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato. Ergo torna applicabile il disposto dell'art. 2 d.lgs. n. 274 del 2000 che rimanda alla disciplina del codice di rito per quanto non previsto dal citato decreto».
Ha, poi, illustrato i termini del contrasto, insorto nella giurisprudenza di legittimità proprio in relazione alla individuazione delle norme interessate da tale rinvio.
Ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione del quesito che è stato così formulato: «Se, dopo le modifiche dell'art. 593 c.p.p. ad opera dell'art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace per un reato punito con pena alternativa sia, agli effetti civili, appellabile dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, ovvero solo ricorribile per cassazione».
Informazione provvisoria
Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 30 gennaio 2025, hanno statuito che «La sentenza di proscioglimento è appellabile dalla parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato».
Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 30 gennaio 2025, n. 23406
Dopo aver illustrato i termini del contrasto insorto nella recente giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno aderito all'orientamento che riconosce alla parte civile la legittimazione ad appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.
Un primo argomento favorevole a questa linea ermeneutica è stato tratto dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 274/2000, laddove si spiega che si è ritenuto opportuno consentire all'imputato di appellare le sentenze che applicano la pena pecuniaria, ove venga contestualmente impugnato il capo relativo alla condanna al risarcimento del danno, sul rilievo che l'azione civile, pur se connessa a reato punibile con la sola pena pecuniaria, può richiedere un accertamento specifico molto più complesso e cagionare conseguenze in termini risarcitori tali da eccedere la stessa competenza del giudice di pace civile, sicché, osserva la Corte, «si renderebbe perniciosa la mancanza di un rimedio impugnatorio quale è l'appello nel caso in cui nel procedimento penale venga in questione anche l'azione civile»; ciò posto, conclude la Corte, nel caso che qui viene in rilievo sarebbe eccentrico concedere al solo imputato la possibilità di presentare appello.
Si è, poi, rilevato che la Corte costituzionale, nel dichiarare manifestamente inammissibili le questioni di legittimità degli artt. 593 e 576 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., con riguardo, rispettivamente, alla facoltà dell'imputato di appellare la sentenza di condanna emessa dal giudice di pace e alla facoltà della parte civile di appellare la sentenza di proscioglimento emessa da quello stesso giudice, ha affermato che, poiché «nel d.lgs. n. 274 del 2000 manca [..] una specifica disciplina del potere di impugnazione della parte civile», questo deve ritenersi «regolato proprio dall'art. 576 c.p.p., in virtù del generale richiamo di cui all'art. 2 del citato decreto legislativo»; allo stesso modo, Cass. pen., sez. un., 20 dicembre 2012, dep. 2013, n. 6509, ribadendo principi dei quali è traccia anche in Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2007, n. 27614, ha statuito che «per quanto concerne i procedimenti dinanzi al giudice di pace, la parte civile, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 576 c.p.p., riferibile anche a tali procedimenti sulla base del richiamo dell'art. 2 d.lgs. n. 274/2000, è legittimata ad impugnare le sentenze di proscioglimento, ai soli effetti civili»: dunque, è consolidato il principio secondo cui la norma di riferimento, nel caso che ci occupa, è quella di cui all'art. 576 c.p.p., che prevede una generica legittimazione della parte civile ad impugnare, senza limitare detto potere al solo ricorso per cassazione, non escludendo, espressamente o per implicito, la possibilità dell'appello, e non prevedendo eccezioni o discipline particolari per le sentenze pronunciate nel procedimento innanzi al giudice di pace, dove – come aveva notato la richiamata sentenza n. 27614/2007 - «più alto è il rischio di asimmetrie, che vanno accortamente evitate nel rigoroso rispetto del principio di cui all'art. 111 Cost., comma 2».
Deve, dunque, ritenersi irrilevante la circostanza che il d.lgs. n. 274/2000 non contempli una norma specifica che riconosca alla parte civile la facoltà di appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace: detta facoltà è, infatti, riconosciuta dalla generale norma dell'art. 576 c.p.p., «come interpretata dal diritto vivente»; diversamente opinando, osservano le Sezioni unite, la tutela della parte civile verrebbe irragionevolmente limitata nel caso in cui il processo penale celebrato innanzi al giudice di pace si concluda con una sentenza di proscioglimento, con conseguente – più che fondato - sospetto di un contrasto con gli artt. 3,24 e 111 Cost.
Per altro verso, le Sezioni unite rilevano che il riconoscimento alla parte civile della facoltà di appellare, ai soli effetti civili, le sentenze di proscioglimento non introduce alcuna disparità di trattamento rispetto al pubblico ministero e al ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell'imputato, cui, rispettivamente, l'art. 36, comma 2, e l'art. 38, comma 1, d.lgs. n. 274/2000 attribuiscono il potere di impugnare le sentenze della medesima tipologia esclusivamente con il ricorso per cassazione: ed invero, «la limitata traiettoria dell'impugnazione proposta da queste parti processuali, volta ad attaccare unicamente i capi penali della sentenza di proscioglimento, giustifica la scelta normativa di circoscriverne il mezzo al ricorso per cassazione e di equipararne i relativi poteri».
Le Sezioni unite hanno, poi, illustrato le ragioni per le quali si deve escludere che le modifiche recentemente apportate all'art. 593 comma 3 c.p.p. abbiano implicitamente inserito nell'ordinamento processuale una parziale deroga alla generica facoltà di impugnazione avverso le sentenze di proscioglimento riconosciuta, ai soli effetti della responsabilità civile, alla parte civile dall'art. 576 c.p.p., rilevando che i «casi di inappellabilità oggettiva», stabiliti dal citato terzo comma «possono essere identificati, nella loro riferibilità soggettiva (ossia, con riguardo alle parti processuali cui è inibito l'appello delle sentenze in esso enumerate), solo leggendo la disposizione che li contempla in rapporto di consequenzialità rispetto alle prime due disposizioni della norma predetta, che stabiliscono casi di “inappellabilità” di sentenze di condanna e di proscioglimento da parte dell'imputato e del pubblico ministero. [..] Ne viene che l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, stabilita dalla seconda parte del terzo comma dell'art. 593 c.p.p., si riferisce esclusivamente all'imputato e al pubblico ministero, e non riguarda, invece, la parte civile, che rimane legittimata a proporre appello, ai soli fini della responsabilità civile, avverso qualsiasi tipo di sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, in forza della norma di cui all'art. 576 c.p.p.».
Da ultimo, le Sezioni unite hanno rilevato che «la soluzione accolta trova un ulteriore elemento di avallo nella sentenza della Corte costituzionale n. 173/2022, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., l'art. 538 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis c.p., decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e ss. c.p.p. Secondo il Giudice delle leggi, infatti, «La pronuncia di proscioglimento ex art. 131-bis c.p. si atteggia come una vera e propria sentenza di accertamento dell'illecito penale, che, in quanto avente efficacia di giudicato (ex art. 651-bis c.p.p.), può costituire presupposto di una domanda di risarcimento del danno nel successivo giudizio civile, rimanendo al giudice adito il compito della determinazione, di norma, del danno risarcibile, sempre che ne sussistano i presupposti nella specificità dell'illecito civile, avente comunque carattere di ontologica autonomia rispetto all'illecito penale. Tale particolare contenuto decisorio della sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell'art. 131-bis c.p. la quale ben può riguardare reati ricompresi nel novero di quelli enumerati nell'art. 593, comma 3, c.p.p., stante il tenore della disposizione di cui al primo comma dell'art. 131-bis c.p. - fonda, certamente, l'interesse della parte civile ad impugnarla anche tramite lo strumento dell'appello; appello cui, per quanto prima esposto, non è, però, legittimato il pubblico ministero, abilitato a contrastare il contenuto della pronuncia solo con il mezzo del ricorso per cassazione. Il rilevato disallineamento, dal punto di vista dei rimedi impugnatori esperibili, tra le posizioni di parti processuali poste sullo stesso fronte non è, tuttavia, suscettibile di tradursi in una loro effettiva disparità di trattamento: l'appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto determina, infatti, la conversione in appello del ricorso per cassazione eventualmente proposto dal pubblico ministero, ai sensi del combinato disposto degli artt. 569, comma 2, e 580 c.p.p., secondo cui, quando contro la stessa sentenza sono proposti sia appello che ricorso per cassazione, quest'ultimo si converte in appello. Necessità di riconversione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, supera anche eventuali limitazioni alla possibilità di proporre appello di una parte».
È stato, dunque, affermato il seguente principio di diritto: «La parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato è legittimata a proporre appello ai soli effetti della responsabilità civile avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace anche in relazione ai reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena alternativa».
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