Affidamento in prova terapeutico e 4-bis: infondata l’illegittimità di accesso alla misura dal carcere
08 Novembre 2024
Massima È infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 94 d.P.R. n. 309/90 e 656, comma 9 lett. a) c.p.p. per contrasto con gli artt. 3,24 e 27 Cost. perché tali norme, lette congiuntamente, escludono che la misura dell'affidamento in prova in casi particolari possa essere concessa già in regime di libertà quale forma di espiazione della pena alternativa all'accesso al carcere, in modo analogo, peraltro, a quanto viene disposto dal giudice in sede di prosecuzione degli arresti domiciliari al passaggio in giudicato ai sensi dell'art. 89 del d.P.R. n. 309/90. Il caso Con sentenza in esame, la Prima Sezione ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 94 d.P.R. n. 309/90 e 656, comma 9 lett. a) c.p.p. per contrasto con gli artt. 3,24 e 27 Cost. perché tali norme, lette congiuntamente, escluderebbero che la misura dell'affidamento in prova in casi particolari possa essere concessa già in regime di libertà quale forma di espiazione della pena alternativa all'accesso al carcere, in modo analogo, peraltro, a quanto viene disposto dal giudice in sede di prosecuzione degli arresti domiciliari al passaggio in giudicato ai sensi dell'art. 89 del d.P.R. n. 309/90. Con tale pronuncia, inoltre, la Cassazione ha rigettato le prospettazioni della difesa dirette ad ottenere la declaratoria di inefficacia del titolo esecutivo emesso dalla Procura che stabiliva l'ingresso in carcere per un cumulo di reati tra cui alcuni rientranti nel novero del catalogo dell'art. 4-bis ord. penit., e, quindi, ostativi al regime più favorevole dell'accesso alle misure alternative dalla libertà (art. 656, comma 5 c.p.p.). La questione Il caso trae origine dall'incidente di esecuzione proposto dalla difesa al giudice dell'esecuzione contro l'esecutività dell'ordine di carcerazione emesso dalla Procura: oggetto di esecuzione è una sentenza di condanna alla pena finale di anni sette e mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 73, 74, 80 del d.P.R. n. 309/90. Secondo il ricorrente, il giudice dell'esecuzione non ha vagliato correttamente la richiesta di sospensione dell'esecuzione penale per soggetto tossicodipendente con in programma un percorso riabilitativo e condannato ad una pena inferiore ad anni 6, o 4 nei casi di cui all'art. 4-bis ord. penit., così come previsto per l'accesso alla misura alternativa dell'affidamento terapeutico ex art. 94 del d.P.R. n. 309/90. L'irragionevolezza di una simile conclusione si rinviene nel fatto che, per situazioni analoghe, il legislatore prevede la possibilità di sostituzione della misura cautelare del carcere con quella degli arresti domiciliari per soggetto tossicodipendente, che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, permarrà in tale condizione di favore laddove abbia in corso un programma riabilitativo di natura residenziale, come previsto dall'art. 89 del d.P.R. n. 309/90. Sulla scorta di tali argomentazioni e per analogia con la disciplina prevista dall'art. 89 del d.P.R. n. 309/90, la difesa ha proposto una questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 94 del d.P.R. n. 309/90 e dell'art. 656, comma 9 lett. a) c.p.p. per contrasto con i principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., del diritto di difesa dell'art. 24 Cost. e del canone di individualizzazione della pena di cui all'art. 27 Cost. Le soluzioni giuridiche Secondo la Prima Sezione, la questione prospettata dalla difesa è priva di fondamento. Secondo la Cassazione, il ricorso sarebbe stato avanzato dalla difesa sulla base di una asserita erronea interpretazione dell'art. 656, comma 9 lett. a) c.p.p. non conforme a Costituzione: si è sostenuto infatti che il giudice dell'esecuzione avrebbe fatto un distinguo tra posizioni in relazione allo status di imputato, se o meno agli arresti domiciliari; per l'imputato agli arresti domiciliari vale la disciplina di favore dell'art. 89 del d.P.R. n. 309/90, per il condannato libero, invece, vige la regola di meno favore dell'art. 656 c.p.p., con il meccanismo di sospensione dell'esecuzione della pena, purché il titolo di reato non sia ostativo. In subordine, la difesa ha censurato la costituzionalità del combinato disposto degli artt. 94 del d.P.R. n. 309/90 e 656 c.p.p. per la disparità che si viene a creare con la diversa disciplina dell'art. 89 del d.P.R. n. 309/90. La Corte di cassazione ha ritenuto non fondato il ricorso dato che l'art. 656, comma 9 lett. a) c.p.p. fa riferimento espresso all'art. 4-bis ord. penit. e fa divieto di sospendere l'esecuzione della pena per tutti i reati compresi nella norma: all'interno dell'art. 4-bis ord. penit. c'è anche il titolo di reato posto in esecuzione dalla sentenza di condanna di interesse per il ricorrente e, perciò, non si può ritenere che il giudice dell'esecuzione abbia errato nell'applicare testualmente la disposizione di legge. Inoltre, per espressa previsione di legge, ai sensi dell'art. 89, comma 4 del d.P.R. n. 309/90, sono esclusi i reati ostativi dal meccanismo di favore che prevede la permanenza in detenzione domiciliare per chi, da imputato, si trovi già nella misura degli arresti domiciliari, laddove sussista un programma riabilitativo in corso. Per i reati ostativi, tale possibilità è espressamente esclusa anche se è in corso un programma terapeutico, anche se di tipo residenziale: il legislatore ha previsto necessariamente l'accesso al carcere e l'instaurazione del procedimento di sorveglianza in via autonoma dal carcere sulla base di valutazioni intramurarie e in ragione di quantum di pena necessari per l'accesso alla misura dell'affidamento terapeutico. Infondata anche la censura di costituzionalità circa la disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra situazioni analoghe dato che, sul tema, la Cassazione si è già pronunciata in passato (v. Cass. pen., sez. I, 16 giugno 2020, n. 20702). Secondo tale orientamento, si dice che: «l'art. 94 del d.P.R. n. 309/90 stabilisce, in relazione a situazioni diverse, un diverso requisito di accesso all'affidamento in prova terapeutico per coloro che debbano scontare un residuo di pena riferito a reato ostativo previsto dall'art. 4-bis, cit.; non stabilisce alcun automatismo legislativo né alcuna preclusione assoluta fondata su una non vincibile etichetta di pericolosità sociale del richiedente, ma regola le modalità di acceso al beneficio con delle differenziazioni giustificate dalla gravità dei reati ostativi inclusi nel titolo esecutivo, indicativi di una maggiore pericolosità sociale del detenuto». Per la Cassazione, tale differenziazione si giustificherebbe con «la necessità di un più ampio periodo di osservazione inframuraria lì dove all'interno del cumulo sia ricompreso uno dei reati di cui all'art. 4bis citato. E certamente il legislatore può nella sua discrezionalità ritenere necessario un più approfondito controllo del magistrato di sorveglianza anche attraverso periodi di osservazione intramuraria, prima di concedere l'affidamento speciale, a seconda della maggiore gravità della pena» (v. Cass. pen., n. 36919/24, pag. 5). A ciò si aggiungerebbe che: «L'interesse del condannato a proseguire il trattamento, stante la gravità dei fatti commessi, deve essere contemperato con la necessità di assicurare le indispensabili verifiche da parte di un'autorità giudiziaria, che in tal caso sarà il magistrato di sorveglianza. E l'esecuzione del titolo esecutivo per un verso consentirà la prima attività di osservazione sul condannato e per altro verso non gli impedirà comunque di accedere al programma di recupero che aveva inteso già intraprendere» (v. Cass. pen., n. 36919/24, pag. 6). Osservazioni Il ragionamento della Corte è formalmente corretto e si sposa con i precedenti della stessa Prima Sezione, citati nel testo. Non è quindi una novità che la Cassazione, a più riprese, abbia rigettato le questioni di legittimità costituzionali presentate in relazione al combinato disposto degli artt. 94 del d.P.R. n. 309/90 e 656 c.p.p. e art. 4-bis ord. penit.; ciò che si potrebbe contestare potrebbe essere invece la disparità di trattamento che si viene a creare, non tanto tra situazioni simili, ma diverse, come succede tra chi è in imputato in misura cautelare e chi è in stato di libertà, ma tra situazioni identiche e cioè tra imputati in misura cautelare tossicodipendenti e con un programma in corso e tra condannati tossicodipendenti in stato di libertà e con un percorso riabilitativo già in essere: ciò che distingue, ancora oggi, queste due categorie di soggetti è la presenza di un reato ostativo all'interno del capo di imputazione o del titolo esecutivo e in base a ciò, a differenza di quanto sostiene la Cassazione, si opera una distinzione in via automatica, senza possibilità di essere superata o confutata sulla valutazione concreta da parte del giudice. Si ritiene che la vera e propria sfida potrebbe essere quella di censurare, non tanto l'art. 94 del d.P.R. n. 309/1990 e nemmeno l'art. 656, comma 9 lett. a) c.p.p., quanto invece l'art. 89 del d.P.R. n. 309/90, nella misura in cui non consente al giudice di valutare la situazione concreta e all'interessato di accedere ad un percorso riabilitativo, tanto più perché disponibile, all'esterno dal carcere. |