Provvedimento di archiviazione disposto dal P.M. e ordinanza di imputazione coatta emessi nei confronti della persona giuridica
07 Novembre 2024
Massima E' abnorme, in quanto espressione di un potere legittimo, ma esplicato fuori dai casi normativamente consentiti, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione avanzata nei confronti di indagato da parte del pubblico ministero, che abbia altresì archiviato in via autonoma il procedimento per la responsabilità amministrativa dell'ente, disponga l'imputazione coatta, oltre che con riguardo all'indagato, anche nei confronti dell'ente. Il caso La sentenza che si annota è stata pronunciata a seguito di ricorso per cassazione per violazione di legge avverso l'ordinanza di imputazione coatta emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Savona. La società imputata ricorreva per cassazione avverso il suddetto provvedimento, lamentando violazione di legge. Ai fini di una migliore comprensione delle questioni giuridiche sottese al caso di specie, pare opportuno segnalare che il Pubblico Ministero aveva disposto - tramite un unico provvedimento - l'archiviazione ai sensi dell'art. 58 del d.lgs. n. 231/2001nei confronti dell'ente, con trasmissione del provvedimento al Procuratore Generale presso Corte di appello competente, chiedendo contestualmente al G.i.p. l'archiviazione nei confronti delle persone fisiche indagate, ai sensi dell'art. 408 c.p.p. Proposta rituale opposizione da parte della persona offesa, il G.i.p. fissava udienza in camera di consiglio disponendo darsi avviso anche alla società originariamente indagata ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, il cui legale di fiducia partecipava all'incombente esplicitando che la posizione processuale della propria assistita era già stata archiviata dal P.M. – unico soggetto deputato dalla legge a provvedervi autonomamente – e che, pertanto, non sarebbe dovuto nemmeno essere convocato. All'esito dell'udienza camerale fissata per decidere sull'opposizione alla richiesta di archiviazione, il G.i.p. disponeva con ordinanza l'imputazione coatta nei confronti di tutte le persone fisiche indagate in relazione al reato di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica, nonché dell'ente responsabile dell'illecito amministrativo di cui di cui agli art. 25-septies commi 3, 4 e 7 d.lgs. n. 231/2001. La tesi della società ricorrente per cassazione si fonda quindi sull'assunto che il provvedimento di imputazione coatta nei confronti dell'ente, in mancanza oltretutto di illustrazione dell'iter logico a sostegno di tale decisione, sarebbe affetto da abnormità. Opinione diversa è prospettata dai legali della persona offesa, ad avviso dei quali sarebbe viziata da abnormità non tanto l'ordinanza del G.i.p. quanto il provvedimento di archiviazione emesso dall'ufficio di Procura. Più nello specifico, l'accertamento del reato posto in essere dalle persone fisiche indagate e quello concernente l'illecito amministrativo devono necessariamente essere condotti contestualmente, così da determinare l'estensione degli effetti del provvedimento archiviativo nei confronti della persona fisica anche all'ente imputato ex d.lgs. n. 231/2001. La precedente considerazione avrebbe quale fisiologica conseguenza l'impercorribilità per il Pubblico Ministero della via dell'archiviazione della posizione dell'ente nei casi in cui il G.i.p. rigetti la correlativa richiesta concernente le persone fisiche in ordine al reato che costituisce presupposto della responsabilità amministrativa della persona giuridica. Errata sarebbe pertanto l'opzione prescelta dall'Ufficio di Procura che con un unico provvedimento ha, per un verso, disposto l'archiviazione ai sensi dell'art. 58 d.lgs. n. 231/2001 e, per altro, richiesto l'archiviazione nei confronti degli indagati persone fisiche. Nel caso in esame, infatti, il Pubblico Ministero ha emesso il decreto di archiviazione per l'illecito amministrativo dipendente da reato in ragione della ritenuta assenza di elementi dimostrativi della responsabilità penale dei soggetti apicali appartenenti alla società indagata, in relazione al reato previsto dall'art. 590, comma 3, c.p. Ne segue, sempre ad avviso della persona offesa, l'abnormità del decreto di archiviazione emesso dal Pubblico Ministero, ergo la relativa nullità e/o illegittimità, poiché sconfessato dal vaglio ex post operato dal G.i.p. Si sostiene, in definitiva, che il Pubblico Ministero potrebbe orientarsi nel senso dell'archiviazione del procedimento nei confronti della persona giuridica, prima che sia compiutamente definita la posizione della persona fisica all'esito del vaglio giurisdizionale, unicamente qualora le ragioni del provvedimento risiedano in elementi diversi da quelli riconducibili al reato-presupposto, dunque sprovvisti di qualsivoglia collegamento con l'accertamento della responsabilità della persona fisica. Viceversa, allorché possa rinvenirsi un legame inscindibile tra le due posizioni (come nel caso di specie), al Pubblico Ministero sarebbe preclusa la possibilità di separare le due posizioni. La questione La questione che la Suprema Corte è stata chiamata ad affrontare nella sentenza in commento consiste nello stabilire se con l'ordinanza di imputazione coatta emessa anche nei confronti dell'ente, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Savona abbia esorbitato dai propri poteri. Più in particolare, occorre stabilire se sia corretto ricondurre nell'alveo della categoria di matrice giurisprudenziale dell'abnormità il provvedimento del giudice, nella misura in cui sia stato emanato in carenza del potere di sindacare la determinazione assunta dal Pubblico Ministero circa la responsabilità da reato dell'ente. Le soluzioni giuridiche La Quarta Sezione della Cassazione ravvisa l'abnormità del provvedimento impugnato – disponendo l'annullamento senza rinvio del medesimo – nella parte in cui contiene l'ordine di formulare l'imputazione nei confronti dell'ente, nonostante l'intervenuta archiviazione disposta dal Pubblico Ministero. Nell'affrontare le questioni sottoposte al suo esame, la Corte prende le mosse dalla lettera dell'art. 58 d.lgs. n. 231/2001. La procedura di archiviazione nella materia in esame rientra invero tra le articolazioni del procedimento a carico dell'ente con una regolamentazione ad hoc, in deroga al sistema previsto dal codice di rito per i reati (ascrivibili alle sole persone fisiche). Il legislatore del 2001 ha optato per una versione semplificata della procedura di archiviazione, la cui applicazione prevale sulle norme del codice di rito stante il carattere di specialità della relativa disciplina. All'esito delle indagini preliminari, il citato art. 58 attribuisce infatti al Pubblico Ministero un potere di archiviazione diretta, laddove ritenga inconfigurabili gli estremi necessari all'esercizio dell'azione punitiva nei confronti dell'ente. La specifica disciplina dell'inazione nella materia de qua non si esaurisce comunque con l'emanazione del relativo decreto motivato, ma prevede un meccanismo gerarchico di controllo ex post demandato al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello, il quale entro sei mesi dalla comunicazione può svolgere ulteriori accertamenti, se ritenuti necessari, nonché procedere alla contestazione all'ente dell'illecito che ritenga integrato. Sul punto, la Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 231/2001 chiarisce come la scelta puntuale di delineare una regolamentazione ad hoc – la quale esclude un vaglio giurisdizionale sull'opzione archiviativa – rinvenga la propria giustificazione nella natura amministrativa (e dunque non stricto sensu penalistica) della responsabilità dell'ente. A tal proposito, mette conto evidenziare che sono state prospettate molteplici interpretazioni. Taluni hanno sposato l'opzione della qualificazione «amministrativa» scelta dal legislatore, altri si sono espressi a sostegno della natura sostanzialmente penale della responsabilità degli enti, differenziandosi da coloro che ricorrono all'idea di un tertium genus, in quanto risultato della compenetrazione della responsabilità amministrativa con i cardini propri di quella penale. Pur senza tralasciare la notevole elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul punto, il Supremo Collegio rileva che il legislatore ha univocamente preso posizione allorquando ha etichettato la responsabilità degli enti come «amministrativa», mettendo in tal modo al riparo la tenuta del sistema delineato dal d.lgs. n. 231/2001 da marcati contrasti con i principi costituzionali di matrice penalistica. Ai fini della piena comprensione delle considerazioni in diritto svolte dalla Corte di legittimità, conviene soffermarsi concisamente sulla categoria del vizio di abnormità, figura processuale di creazione interpretativa avente il precipuo scopo di rendere ricorribili per cassazione provvedimenti altrimenti inoppugnabili. È da ritenere abnorme, in particolare, un atto assolutamente non inquadrabile nell'ordinamento processuale, ovvero, seppur in astratto espressione di un potere legittimo, collocato al di fuori degli schemi procedimentali previsti dalla legge. L'abnormità può peraltro riguardare tanto il profilo strutturale, quanto quello funzionale. Mentre la prima ipotesi è tradizionalmente intesa in termini di totale estraneità al sistema organico della procedura penale, con la seconda si tende a spostare l'attenzione sulle ripercussioni che il vizio avrebbe sulla dinamica dell'iter processuale o procedimentale, determinandone la stasi e l'impossibilità di prosecuzione, ovvero la regressione. A tal proposito, analizzando una questione sinora mai trattata nella giurisprudenza di legittimità, la Quarta Sezione penale ha coniato un prezioso principio diritto, secondo il quale il giudice non può disporre l'imputazione coatta nei confronti dell'ente, se previamente la posizione del medesimo è già stata oggetto di un provvedimento definitivo di archiviazione emesso dal Pubblico Ministero. In particolare, la pronuncia in esame ha expressis verbis ricondotto nell'alveo della categoria dell'abnormità l'ordinanza – espressione di un potere legittimo, ma esplicato fuori dalle specifiche ipotesi stabilite dalle previsioni legislative – con la quale il giudice per le indagini preliminari disponga l'imputazione coatta anche nei confronti dell'ente, dopo che il pubblico ministero abbia archiviato in via autonoma e diretta il procedimento avente ad oggetto la responsabilità amministrativa della persona giuridica. La formulazione dell'imputazione coatta da parte del giudice per le indagini preliminari non può invero travalicare i limiti imposti dalla legge, in presenza di una definitiva archiviazione del Pubblico Ministero, titolare ex lege di un potere non sottoposto ad alcun intervento giurisdizionale. Pertanto, l'imputazione coatta non può assurgere a mezzo volto a scardinare le fondamenta di un provvedimento di inazione già definitivamente assunto. La pronuncia qui commentato ha conseguentemente annullato senza rinvio l'ordinanza del G.i.p., sottolineando che il potere di elevare un'imputazione coatta deve essere esercitato in conformità alle norme processuali, senza tracimarne i confini. A ben vedere, le argomentazioni a sostegno delle ragioni della persona offesa poggerebbero su una asserita irretrattabilità dell'archiviazione del Pubblico Ministero, che, a parere della Corte non può ritenersi condivisibile. In questo senso, deve rappresentarsi un consolidato orientamento dei Giudici di legittimità che ritiene modificabili le conclusioni del pubblico ministero non solo in ragione degli ulteriori accertamenti richiesti dal Procuratore Generale, ma anche da qualunque successiva attività procedimentale. Sebbene, infatti, l'art. 58 d.lgs. n. 231/2001 configuri un meccanismo di controllo gerarchico facente capo al Procuratore Generale presso la Corte d'appello, la richiamata interpretazione si è orientata nel senso dell'assenza di elementi tali da indurre a ritenere che – oltre agli ulteriori accertamenti disposti dal Procuratore Generale all'esito del suo controllo – tra le ragioni in grado di determinare il Pubblico Ministero a revocare la propria archiviazione possa esservi anche la motivazione del provvedimento di imputazione coatta del G.i.p. (art. 409, comma 5, c.p.p.) nei confronti delle persone fisiche aventi ruoli di responsabilità nell'ente ovvero quella dell'ordine giurisdizionale di svolgere nuove indagini (art. 409, comma 4, c.p.p.), identicamente all'ipotesi di una diversa valutazione dei risultati dell'indagine disposta dal G.i.p. ovvero altri elementi ancora. Osservazioni La soluzione offerta nelle motivazioni della sentenza in commento appare condivisibile e ben ancorata ai principi che governano la categoria dell'abnormità dell'atto processuale. Convincente risulta altresì il richiamo alla specialità della disciplina prevista dal d.lgs. n. 231/2001, che delinea un procedimento ad hoc in materia di archiviazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato. Pare opportuno sottolineare come il legislatore abbia inteso, in seno al decreto sopra richiamato, costruire l'incidente archiviativo in termini differenti tanto strutturalmente quanto funzionalmente rispetto al codice di procedura penale, optando per un controllo di natura meramente amministrativa da parte del Procuratore Generale presso la Corte d'appello e non anche giurisdizionale, come quello operato dal Giudice per le Indagini Preliminari. La scelta è chiaramente ricollegata alla ritenuta natura amministrativa della responsabilità dell'ente, determinando conseguenze che suggeriscono un parallelo con i provvedimenti emessi dal Pubblico Ministero nella fase di esecuzione della pena. Posta in tali termini, la questione non poteva che condurre a qualificare come abnorme il provvedimento di imputazione coattiva nei confronti dell'ente, trattandosi di provvedimento esorbitante dai poteri dell'organo giurisdizionale che lo ha emesso e dunque, seppure in astratto legittimo, esplicato fuori dai casi normativamente consentiti. |