Le condizioni di applicabilità dell’affidamento in prova al servizio sociale ordinario
10 Ottobre 2024
Massima È illegittima l'ordinanza di rigetto dell'affidamento in prova al servizio sociale motivata dal Tribunale di Sorveglianza sul presupposto che l'età e le condizioni di salute del condannato non consentirebbero allo stesso di intraprendere una prospettiva di restituzione sociale. Il caso Il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato la domanda di affidamento in prova avanzata dal condannato, ultra settuagenario e riconosciuto invalido al 74%, ritenendo tali condizioni soggettive incompatibili con le finalità di “restituzione sociale” alle quali deve tendere l'istituto. Il Tribunale, tenuto conto anche del fatto che il reato per il quale è stata inflitta la pena da eseguire è stato commesso nel 2010 e che non risultavano pendenze, ha ammesso il reo ad espiare la pena in regime di detenzione domiciliare. La Corte di cassazione - con pronuncia n. 34124/2024 - ha annullato l'ordinanza emessa dal Tribunale ritenendo la motivazione posta a fondamento della decisione di rigetto inficiata dalla non corretta valutazione degli elementi rilevanti ai fini della formulazione del giudizio prognostico al quale è subordinata ex art. 47 ord. penit. la concessione (o il diniego) della misura alternativa de qua. La questione La decisione in esame affronta la questione delle condizioni di applicabilità dell'affidamento in prova ordinario con particolare riguardo al condannato che, avendo beneficiato della sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordine di carcerazione ex art. 656, comma 5 c.p.p., ha presentato istanza di misura alternativa “dalla libertà”, rectius, prima dell'inizio dell'esecuzione della pena (in argomento cfr. Ardita-Degl'Innocenti-Faldi, Diritto Penitenziario, Laurus, 2024, p. 252 e ss.). Le soluzioni giuridiche La Corte muove dalla premessa secondo cui l'affidamento in prova costituisce la forma di esecuzione della pena esterna al carcere prevista per i condannati per i quali è possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all'esito della misura. Condizione preliminare per l'applicazione dell'affidamento in prova (aspetto per altro non esaminato dalla sentenza in commento) è la disponibilità da parte del condannato di un domicilio idoneo da intendersi come sistemazione alloggiativa stabile, legittimamente occupata dal reo e che consenta di garantire adeguatamente le esigenze di sicurezza e di controllo. Rammentato che la continua reperibilità del condannato, sia prima dell'applicazione della misura alternativa, sia nel corso dell'esecuzione della stessa, costituisce un presupposto indispensabile per la concessione dell'affidamento in prova (cfr. Cass. pen., sez. I, 2 luglio 2024, n. 35837, Gadigo, n.m.; Cass. pen., sez. I, 20 novembre 2023, n. 12145/2024, D.M.A., in Osservatorio diritto penale e processo n. 5/2024, pag. 615; Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2019, n. 22442, in C.E.D. n. 276191), mette conto segnalare che al fine di superare le difficoltà di accedere all'affidamento (ed alla detenzione domiciliare) derivanti dalla mancata disponibilità di un domicilio idoneo, l'art. 8 del decreto legge 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2024, n.112, ha previsto l'istituzione, presso il Ministero della Giustizia, dell'elenco delle strutture residenziali idonee all'accoglienza ed al reinserimento sociale delle persone detenute. Il comma 2 della norma demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, il compito di definire «le caratteristiche e i requisiti di qualità dei servizi necessari per l'iscrizione nell'elenco», nonché «i presupposti soggettivi e di reddito per l'accesso alle suddette strutture da parte dei detenuti che non sono in possesso di un domicilio idoneo e sono in condizioni socio-economiche non sufficienti per provvedere al proprio sostentamento». Da ultimo il comma 3 stabilisce che ai fini dell'iscrizione nell'elenco de quo le strutture devono garantire «oltre ad una idonea accoglienza residenziale, lo svolgimento di servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e di reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, compresi quelli con problematiche derivanti da dipendenza o disagio psichico che non richiedono il trattamento in apposite strutture riabilitative».
Nell'accogliere il ricorso la Corte ha confermato il proprio orientamento in merito agli elementi che il giudice di sorveglianza è tenuto a valutare ai fini della concessione (o del diniego) dell'affidamento in prova. Costituisce ius receptum la regola in forza della quale «ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l'affidamento in prova al servizio sociale, e, quindi, dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell'osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato» (cfr. Cass. pen., sez. I, 31 maggio 2024, n. 34728, Gaye, n.m.; cfr. anche Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 2023, n. 373/2024, Remoli, n.m.). Viceversa, «è sempre necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile anche l'esame dei comportamenti successivi e attuali del medesimo, in ragione dell'esigenza, connaturata alla ratio dell'istituto, di accertare non solo l'assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi, tali da consentire un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva» (cfr. Cass. pen., sez. I, 23 novembre 2023, n. 3721/2024, Fabretti, n.m. secondo cui «non può esigersi, in positivo, la dimostrazione che il soggetto abbia già compiuto una completa revisione critica del proprio passato, bensì è sufficiente che - dai risultati dell'osservazione della personalità - emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato, nella prospettiva di un suo ottimale reinserimento sociale; la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, invero, non postula come presupposto indispensabile al suo riconoscimento la verifica di una già conseguita, radicale emenda da parte del condannato, che costituisce, al contrario, l'obiettivo da raggiungere con il completamento del processo di risocializzazione, esigendo piuttosto il riscontro dell'esistenza di elementi dai quali possa desumersi l'avvenuto, sicuro inizio di questo processo; inizio del percorso di emenda che si richiede in modo concettualmente ineludibile per qualsiasi condannato, quale che sia la natura del reato commesso»; cfr. anche Cass. pen., sez. I, 10 maggio 2024, n. 29243, Sicuranza, n.m., a tenore della quale «l'opportunità del trattamento alternativo non può prescindere, dall'esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione - che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi - oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a tali misure presuppone la verifica dell'esistenza dei presupposti relativi all'emenda del soggetto e alle finalità rieducative»). Parimenti è stato affermato che «il processo di emenda deve risulta(re) già avviato in maniera significativa, sebbene la legge non esiga il già raggiunto ravvedimento, che connota invece il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale» (Cass. pen., sez. I, 2 luglio 2024, n. 35835, Ruko, n.m.; nello stesso cfr. anche Cass. pen., sez. I, 5 aprile 2024, n. 25541, Ferrari, n.m.). Affinché tale processo di revisione critica possa ritenersi avviato occorre accertare che il condannato abbia acquisito la consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e ispirare la propria condotta al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall'ordinamento, e, quindi, di essere effettivamente animato dalla volontà di modificare il proprio pregresso stile di vita orientato in senso antisociale e deviante. A tal fine assumo rilievo elementi quali: l'assenza di pendenze e di denunce, l'adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato (e, in primis, il risarcimento del danno cagionato alla persona offesa), la disponibilità a svolgere attività non retribuita a favore della collettività ..., mentre, come puntualizzato dalla giurisprudenza, non è necessario che il condannato abbia o meno ammesso le sue colpe, ovvero, pur avendole ammesse, ne abbia depotenziato il valore, essendo sufficiente accertare se «abbia accettato la sentenza e quindi, la sanzione a lui inflitta, prestando la dovuta collaborazione nel percorso rieducativo» (cfr. Cass. pen., sez. I, 17 novembre 2023, n. 17077/2024, Marchi, n.m.). Fanno parte del giudizio prognostico che il Tribunale è chiamato a formulare anche le prescrizioni imposte all'atto dell'affidamento in prova in quanto le finalità rieducative e di prevenzione della recidiva possono essere perseguite anche attraverso le prescrizioni, con la conseguenza che «un provvedimento di affidamento in prova che non contenesse prescrizioni o che non indicasse le ragioni per le quali in concreto non si ritenesse di imporle sarebbe immotivato» e in quanto tale destinato ad essere annullato in caso di ricorso per cassazione (cfr. Cass. pen., sez. I, 31 maggio 2024, n. 34727, Dissegna, n.m., che ha inoltre affermato che il ricorso è esperibile anche al solo fine di contestare la legittimità delle prescrizioni imposte; nel caso di specie è stata ritenuta illegittima la prescrizione che impone una generica e indiscriminata limitazione all'attività lavorativa esercitabile dall'affidato «senza alcun vaglio preliminare che le correli al giudizio prognostico formulato nei confronti dello stesso»: nel caso sottoposto all'esame della Corte il condannato aveva chiesto di poter svolgere attività lavorativa in Svizzera, mentre il Tribunale aveva imposto il divieto di allontanarsi dal territorio della regione Veneto, senza adottare alcuna motivazione in ordine alla richiesta del reo). Osservazioni Come detto la Corte ha annullato l'ordinanza evidenziando che l'età e le condizioni di salute del condannato anche allorquando «comportino limitazioni di movimento ovvero di gestione della vita quotidiana, non possono essere ritenute in sé ostative all'applicazione della misura alternativa» e ciò in quanto «tali situazioni non limitano la possibilità di un ulteriore e migliore reinserimento sociale del condannato, quanto piuttosto devono essere considerate quali fattori sui quali plasmare in concreto il percorso trattamentale da attuarsi con l'applicazione» dell'affidamento. Resta da chiedersi quale concreta valenza risocializzante possa presentare un affidamento in prova nel caso in cui l'età più o meno avanzata e le condizioni di salute del condannato non consentono allo stesso di prestare attività lavorativa e/o di volontariato: in casi di questo genere l'esecuzione della pena in regime di affidamento si esaurisce nello svolgimento di colloqui periodici, magari per telefono, con l'assistente sociale incaricato di seguire il condannato. D'altra parte la Suprema Corte ha più volte affermato che «lo svolgimento di attività lavorativa pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova, non costituisce da solo, qualora mancante, condizione ostativa all'applicabilità di detta misura, trattandosi di parametro apprezzabile unitamente agli altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito, inclusi i risultati del trattamento individualizzato» (cfr. Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2024, n. 21593, Cassisi, n.m.; cfr. anche Cass. pen., sez. I, 2 maggio 2024, n. 23451, Paolucci, n.m.). Occorre inoltre segnalare che il comma 2-bis dell'art. 47 ord. penit. introdotto dall'art. 10-bis del decreto legge 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2024, n. 112, prevede espressamente che, in caso di mancanza di un inserimento lavorativo, il condannato può comunque beneficiare dell'applicazione dell'affidamento in prova allorquando vi sia la possibilità di svolgere “un idoneo servizio di volontariato” oppure una attività di pubblica utilità, senza remunerazione, nelle forme e con le modalità indicate nel Decreto del Ministro della Giustizia del 26 marzo 2001, «nell'ambito di piani di attività predisposti entro il 31 gennaio di ogni anno, di concerto tra gli enti interessati, le direzioni penitenziarie e gli uffici per l'esecuzione penale esterna»; tali piani di attività devono essere comunicati al presidente del Tribunale di Sorveglianza competente per territorio (in argomento cfr. M. Galizia, Il “nuovo” affidamento in prova al servizio sociale dopo il d.l. n. 92/2024, in questa rivista 23 settembre 2024). A questo riguardo appare opportuno evidenziare come la modifica legislativa si adegui sostanzialmente al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità a tenore del quale per la concessione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale non è necessaria la sussistenza di un lavoro già disponibile, potendo tale requisito essere surrogato da un'attività socialmente utile anche di tipo volontaristico (cfr. in questo senso, da ultimo, Cass. pen., sez. I, Ruko, cit. e Cass. pen., sez. I, Speranza, cit.; in senso conforme cfr. anche, tra le altre, Cass. pen., sez. I, 26 febbraio 2013, n. 18939, El Allali Nourddine, in C.E.D. n. 256024, Cass. pen., sez. I, 9 maggio 2006, n. 21836, Chen, in C.E.D. n. 234702 e Cass. pen., sez. I, 4 aprile 2006, n. 17334, Pereira in C.E.D. n. 234019). Nel caso di specie il Tribunale nel rigettare la domanda di affidamento in prova ha tuttavia ammesso il condannato, ultra settuagenario e riconosciuto invalido al 74%, ad espiare la pena in regime di detenzione domiciliare. Può essere opportuno notare, da ultimo, che la posizione del ricorrente risulta compresa nell'ambito di applicazione del comma 9-bis dell'art. 656 c.p.p., introdotto dal decreto legge 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2024, n.112. La nuova norma dispone che se la pena residua da espiare in concreto, tenuto conto del presofferto, della fungibilità e della liberazione anticipata eventualmente concessa dal magistrato di sorveglianza ai sensi del comma 4-bis, risulta compresa tra i due e i quattro anni, il Pubblico Ministero deve trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza per l'applicazione in via provvisoria della detenzione domiciliare. Il provvedimento del giudice monocratico (che il tenore letterale della norma sembra configurare come vincolato nell'an e nel quid – “il Pubblico Ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga con ordinanza provvisoria la detenzione domiciliare ...”) conserva la sua efficacia fino alla decisione del Tribunale al quale la cancelleria dell'Ufficio deve trasmettere gli atti. In ogni caso sono escluse dall'ambito di applicazione della norma le condanne per i delitti indicati negli artt. 51, comma 3-bis c.p.p. e art. 4-bis ord. penit. La norma nella misura in cui subordina l'applicazione della detenzione domiciliare all'accertamento del solo requisito dell'età del condannato sembra, come già ricordato, configurare il provvedimento del magistrato di sorveglianza come vincolato e connotato da una finalità anticipatoria rispetto all'applicazione della detenzione domiciliare per ultrasettantenni di cui all'art. 47-ter, comma 1 ord. penit. In dottrina (F. Fiorentin, Le procedure di esecuzione- Domiciliari a ultrasettantenni: necessari protocolli operativi, in Guida al Diritto n. 32/2024) si è evidenziato come tale disciplina presenta alcuni profili problematici. In particolare si è osservato: a) che la norma attribuisce rilievo solo all'età del condannato, ma non anche alle altre condizioni soggettive previste dall'art. 47-ter ord. penit.(es. condannata madre di prole di età non superiore a 10 anni; condannato che versa in condizioni di salute che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali); b) che configurare la decisione del magistrato di sorveglianza come vincolata appare in contrasto con i principi che presiedono l'applicazione delle misure alternative in forza dei quali è sempre rimessa alla valutazione del giudice la idoneità del domicilio e della pericolosità sociale del reo e delle prospettive di recupero sociale (valutazione inevitabilmente connotata da profili di discrezionalità); c) che, qualora la nuova disposizione sia, come sembra doversi intendere dal tenore letterale della norma, destinata a trovare applicazione anche nei confronti dei condannati liberi e ad operare prima dell'emissione dell'ordine di esecuzione, la «sottoposizione ad una misura restrittiva della libertà personale per effetto di una decisione provvisoria del magistrato di sorveglianza … non suscettibile di alcuna forma di impugnazione trattandosi di provvedimento assunto in via interinale e destinato ad essere superato dalla decisione assunta in sede collegiale» (F. Fiorentin, op. cit.) appare in contrato con gli artt. 3,24 e 27 Cost. (anche se i dubbi di legittimità costituzionale sono forse superabili se si tiene conto che il condannato una volta sottoposto alla detenzione domiciliare può comunque presentare domanda di affidamento in prova e chiedere al presidente del Tribunale la sollecita fissazione dell'udienza). Si potrebbe inoltre ipotizzare che norma sia applicabile soltanto ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore; diversamente il meccanismo previsto dal comma 9-bis potrebbe risultare incompatibile con il divieto di irretroattività della legge sfavorevole (che, come noto, assume rilievo anche con riguardo alle norme che disciplinano le condizioni di applicabilità dei benefici penitenziari). La nuova norma nella misura in cui sembra imporre al condannato ultra settuagenario, che potrebbe altrimenti beneficiare della sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordine di carcerazione, di espiare una quota, più o meno consistente, della pena inflitta in regime di detenzione domiciliare prima di accedere all'affidamento, sembra subordinare l'applicazione di tale ampia misura ad una condizione più sfavorevole, ciò che potrebbe rendere necessario, proprio al fine di rispettare il divieto di irretroattività in malam partem, circoscriverne l'applicazione ai soli reati commessi successivamente all'entrata in vigore.
Per completezza e senza potere in questa sede affrontare le relative questioni interpretative deve essere ricordato come il più volte ricordato decreto legge 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2024, n.112, abbia anche introdotto il comma 9-ter dell'art. 656 c.p.p. giusto il quale «Il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga con ordinanza in via provvisoria la detenzione domiciliare se il condannato si trova agli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza di cui al comma 6». |