Obbligo di comunicare le variazioni patrimoniali e acquisti da successione ereditaria

19 Maggio 2025

Il soggetto condannato per il delitto di associazione mafiosa deve dichiarare alla polizia tributaria, ai sensi dell'art. 30 l. 646/1982, anche gli incrementi patrimoniali conseguenti ad una successione ereditaria? Le motivazioni delle Sezioni Unite.

Questione controversa

Ai sensi dell'art. 30 l. n. 646/1982, il condannato con sentenza definitiva per uno dei reati di cui all'art. 51 comma 3-bis, c.p.p., ovvero per il delitto di cui all'articolo 12-quinquies, comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, nonché, ai sensi dell'art. 80 d.lgs. n. 159/2011, il soggetto sottoposto con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione, sono tenuti «a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nell'entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14». Ci si chiede se l'obbligo sussista anche in presenza di incrementi patrimoniali conseguenti ad una successione ereditaria.

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo il consolidato orientamento di legittimità, avrebbe rilevanza penale anche l'omessa comunicazione di acquisti soggetti ad una pubblicità legale effettivamente applicata, essendo anche tale condotta idonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (1).

In senso contrario si sono espresse altre pronunce che hanno evidenziato la necessità di svolgere - in casi del genere - una più approfondita indagine dell'elemento soggettivo, non potendosi presumere la sussistenza di un dolo in re ipsa, desunto dalla mera condotta omissiva, nel caso in cui la variazione patrimoniale sia realizzata con una compravendita immobiliare stipulata a mezzo di atto pubblico notarile il quale, di per sé, assicura le forme di pubblicità legale che comunque consentono all'autorità competente di conoscere i dati ai quali si riferisce l'obbligo di comunicazione (2).

(1Cass. pen., sez. V, 18 febbraio 2003, n. 15220, Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2005, n. 14996, Cass. pen., sez. V, 17 ottobre 2005, dep. 2006, n. 3079, Cass pen., sez. III, 27 ottobre 2023, n. 50299.

        

(2Cass pen., sez. I, 30 gennaio 2002, n. 10024, Cass. pen., sez. VI, 5 febbraio 2003, n. 11398, Cass. pen., sez. I, 14 gennaio 2010, n. 6334.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. I, 16 maggio 2024, n. 26831

  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione del soggetto - già condannato per il delitto di associazione mafiosa - avverso la sentenza di condanna per il delitto di cui all'art. 30 l. n. 646/1982, commesso omettendo di comunicare un rilevante incremento patrimoniale conseguente a successione ereditaria.
  • Il ricorrente chiedeva alla Corte di valutare la concreta offensività della condotta e, in subordine, la sussistenza dell'elemento soggettivo nelle forme del dolo generico.
  • La Prima Sezione ha dato atto degli orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi nelle poche sentenze che si sono occupate di questo delitto, e degli interventi della Corte costituzionale, che, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità sollevate, ha suggerito una interpretazione costituzionalmente orientata della norma: ad esempio, nell'ordinanza n. 442 del 19 dicembre 2001 si è evidenziato che «il sistema fornisce elementi che conducono la giurisprudenza [..] a escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato quando la pubblicità sia comunque assicurata e dunque sia di per sé impossibile l'occultamento degli atti soggetti a comunicazione»; nella sentenza n. 99 dell'8 febbraio 2017, riconosciutasi l'offensività “in astratto” della condotta in questione, si è invitato il giudice ordinario a valutarne l'offensività “in concreto”, escludendo la punibilità se essa risulti assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto.
  • Anche alla luce del dictum del Giudice delle leggi, i giudici remittenti hanno ritenuto necessario devolvere alle Sezioni unite la questione relativa alla rilevanza penale della condotta omissiva che abbia celato un incremento patrimoniale - quale quello conseguente a successione ereditaria - non derivante da un'attività dell'imputato e non indicativo della disponibilità di beni aventi una possibile origine illecita: non solo in punto di elemento soggettivo, ma anche e soprattutto in punto di concreta offensività, tenendo conto della ratio della norma, che è quella di sottoporre ad un più penetrante controllo soggetti che rivestano una speciale pericolosità sociale nonché un collegamento con associazioni criminose dedite alla commissione di reati che assicurano ingenti profitti economici, al fine di verificare tempestivamente l'eventuale illiceità delle operazioni giuridiche che hanno determinato dette variazioni, o l'illecita provenienza delle nuove fonti patrimoniali.
  • Ed invero, accanto a pronunce che, in casi analoghi, hanno accolto un orientamento più rigoroso, quali ad esempio Cass. pen., sez. II, 29 febbraio 2024, n. 19647 e Cass. pen., sez. II, 19 aprile 2023, n. 24493 (che hanno ribadito l'orientamento maggioritario, che ritiene soggetta all'obbligo di comunicazione qualunque variazione patrimoniale, anche se effettuata con atti che hanno avuto pubblicità legale ed anche se certamente proveniente da fonte lecita, richiamando il concetto di offensività in astratto della omissione di tali comunicazioni), ve ne sono altre di segno contrario, quali ad esempio Cass pen., sez. VI, 14 aprile 2016, n. 17691 (che ha escluso l'obbligo di comunicazione per le rendite provenienti da beni già di proprietà del condannato, affermando che detto obbligo deve limitarsi alle variazioni derivanti dall'impiego di fonti patrimoniali o da assunzione di corrispondenti obblighi da parte del condannato), Cass. pen., sez. VI, 23 settembre 2011, n. 41342 (relativa all'obbligo di comunicazione di rendite non meglio indicate), e Cass. pen., sez. I, 2 maggio 2023, n. 27723 (che ha escluso la sussistenza dell'obbligo di comunicazione per l'incremento patrimoniale derivato dal riscatto di una parte dei titoli azionari oggetto di un precedente acquisto da parte del condannato).
  • La specifica questione dell'incremento patrimoniale conseguente a successione ereditaria è stata affrontata in sporadiche occasioni dalla Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. pen., sez. II, 29 febbraio 2024, n. 19647; Cass. pen., sez. II, 19 aprile 2023, n. 24493; Cass. pen., sez. I, 26 novembre 2019, n. 52024), che però si è limitata a valutare l'incidenza della natura dell'acquisizione sull'elemento soggettivo, per la sua caratteristica di essere un atto soggetto a pubblicità legale, senza, dunque, «rilevare la peculiarità di una variazione che avviene senza un'attività del condannato e senza l'impiego di fonti patrimoniali in suo possesso o l'assunzione di obblighi di natura finanziaria. Manca, pertanto, una riflessione approfondita sulla sussistenza dell'offensività nella condotta consistente nella omessa comunicazione, ai sensi dell'art. 30 legge n. 646/1982 e, analogamente, dell'art. 80 d.lgs. n. 159/2011, di un'acquisizione proveniente da successione ereditaria, essendo in tal caso evidente l'impossibilità di sospettare che tali beni derivino dall'attività criminosa precedente o da collegamenti ancora in essere con dette attività, ovvero che costituiscano circolazione di beni o denaro di provenienza non lecita, ed essendo perciò evidente che l'obbligo di comunicazione non risponde, in tal caso, alla tutela dell'ordine pubblico, e che la sua violazione non è idonea a mettere in pericolo il bene giuridico protetto. La riflessione sull'offensività di tale condotta ha rilevanza anche per l'applicazione della sanzione accessoria della confisca dei beni di cui è stata omessa la comunicazione, conseguente ex lege alla commissione del reato, che in tali casi andrebbe a cadere su beni di provenienza sicuramente lecita».
  • La Prima Sezione ha, pertanto, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, alle quali è stato rivolto il seguente quesito: «Se l'obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali previsto dall'art. 30 della legge 13 settembre 1982, n. 646 sia configurabile, con conseguente rilevanza penale della sua violazione, nel caso di un'acquisizione proveniente da successione ereditaria».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 28 novembre 2024, hanno dato al quesito loro sottoposto risposta «affermativa», aggiungendo che «Resta fermo l'onere del giudice di verificare, dandone adeguata motivazione, l'idoneità della condotta tenuta a porre in pericolo il bene giuridico protetto alla stregua del canone di offensività, enunciato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 99 del 2017 e n. 81 del 2014)».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2024, n. 18474
  • La Corte, delineati i caratteri del reato omissivo proprio e di pericolo presunto incriminato dagli artt. 30 (quanto ai soggetti condannati in sede penale per taluno dei reati previsti dall'art. 51 comma 3-bis c.p.p., ovvero per il delitto di cui all'art. 512-bis c.p.) e 31 (quanto ai soggetti sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione personale) l. 646/1982, ha chiarito che l'obbligo comunicativo che per dieci anni i predetti soggetti sono tenuti ad osservare – funzionale a «permettere l'esercizio di un controllo patrimoniale più analitico e penetrante» alle autorità, e posto a tutela dell'ordine pubblico economico, inteso come «assenza di alterazioni della libertà di concorrenza e della libertà di iniziativa  causa dell'agire di organizzazioni di stampo mafioso o assimilabili» - concerne le variazioni nella entità e nella composizione del patrimonio che riguardino elementi di valore non inferiore ad € 10.329,14 (da comunicare al Nucleo di polizia tributaria del luogo di abituale dimora entro 30 giorni dal fatto che ha generato la variazione), e le variazioni intervenute nel corso dell'anno che superino la soglia di € 10.329,14 (da comunicare entro il 31 gennaio dell'anno successivo a quello nel quale si è registrata la variazione).
  • Dopo aver illustrato i principali arresti della Corte costituzionale in merito al principio di offensività, il cui rispetto – prima da parte del legislatore, e poi, in sede di applicazione del precetto, da parte del giudice – è necessario anche quando, come nel caso di specie, venga in rilievo un reato di pericolo presunto (in generale: sentenze nn. 189 del 1987, 360 del 1995, 263 del 2000, 354 del 2002, 139 del 2023, 28 del 2024; in relazione al reato oggetto dell'odierno scrutinio: sentenze nn. 442 del 2001, 81 del 2014 e 99 del 2017, nelle quali si è chiarito che, in ossequio al principio di offensività, il giudice deve verificare se la condotta contestata sia o meno idonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto), le Sezioni unite hanno individuato le chiavi di lettura utili a risolvere la questione controversa.
  • Il massimo consesso nomofilattico ha innanzitutto osservato che la norma incriminatrice non distingue, «nel suo tenore letterale e nella sua lettura sistematica e teleologica» tra le diverse tipologie di atti, sicché deve necessariamente ritenersi che l'obbligo comunicativo investa anche «atti soggetti a forme di pubblicità legale, tra cui i trasferimenti immobiliari e le stesse variazioni derivanti da fenomeni successori».
  • Ha, poi, rilevato che, in punto di elemento soggettivo, «il reato in esame, ai fini della sua integrazione, necessita del solo dolo generico, la cui prova non è diversa in caso di omissione della comunicazione di atti sottoposti ad un regime di pubblicità legale», poiché detto regime non garantisce l'effettiva conoscenza della variazione in capo all'organo di polizia titolare del potere di verificare la liceità delle fonti patrimoniali impiegate dal soggetto pericoloso: è dunque ininfluente, rispetto alla prova del dolo, la particolare modalità con cui si è realizzata la acquisizione patrimoniale.
  • Ciò posto, le Sezioni Unite hanno sottolineato che la soluzione della questione controversa non può prescindere dagli oramai incontroversi principi in tema di offensività in concreto: dunque, «la presunzione ex lege circa l'idoneità astratta della condotta di omessa comunicazione delle variazioni [..] ad esporre a pericolo il bene giuridico protetto non esime il giudice dalla verifica in concreto della effettiva attitudine lesiva della condotta, al fine di superare il possibile scarto tra presunzione legislativa e realtà fenomenica».
  • Riportando questo generale ed ineludibile principio al caso di specie, le Sezioni Unite hanno osservato che «l'aver omesso di comunicare l'acquisizione di beni a titolo successorio, pur rientrando nell'astratta dimensione tipica (si tratta pur sempre di una variazione della consistenza patrimoniale) può essere ritenuto, in concreto, inoffensivo e dunque non punibile», tutte le volte in cui si ritenga che «la movimentazione patrimoniale ictu oculi non sia ricollegabile alla pericolosità latente del soggetto raggiunto dall'obbligo».
  • «L'offensività in concreto della omissione deve quindi elevarsi a contenuto necessario e indefettibile della motivazione, che espliciti anche mediante un giudizio controfattuale l'attitudine offensiva della omissione astrattamente punibile, in quanto posta in essere da una persona ritenuta – per gli esiti giudiziari pregressi – portatrice di una latente pericolosità».
  • Sulla base di queste considerazioni, le Sezioni Unite hanno risolto la questione controversa statuendo il principio di diritto secondo cui «L'obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali, previsto dall'art. 30, legge 13 settembre 1982, n. 646, è configurabile, con conseguente rilevanza penale della sua violazione, nell'ipotesi di una acquisizione proveniente da successione ereditaria, fermo restando l'onere del giudice di verificare, dandone adeguata motivazione, l'idoneità della condotta tenuta a porre in pericolo il bene giuridico protetto, alla stregua del canone di offensività in concreto».

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