Intercettazioni a mezzo del captatore e utilizzabilità in procedimenti diversi: la S.C. chiarisce il quadro ermeneutico
03 Luglio 2024
Massima In tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni operate con captatore informatico per reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto autorizzativo, la previsione di cui all'art. 270, comma 1-bis, c.p.p., nella parte in cui limita l'utilizzazione all'accertamento dei delitti indicati nell'art. 266, comma 2-bis c.p.p. è riferita alle sole intercettazioni tra presenti. Non così per le conversazioni che non si svolgano tra presenti, realizzate anche mediante captatore, rispetto alle quali vale la clausola di salvezza contenuta nell'incipit dell'art. 270, comma 1-bis, c.p.p., che rinvia alle condizioni previste nel primo comma dell'art. 270 c.p.p. Il caso Dopo il rigetto da parte del G.i.p. dell'applicazione di misura cautelare per i reati di cui agli artt. 73 comma 4 e 80 d.P.R. n. 309/1990, il Tribunale accoglieva l'appello del P.M. disponendo la custodia in carcere, ritenendo utilizzabili intercettazioni disposte a mezzo di captatore informatico nell'ambito di un procedimento per tentato omicidio nei confronti di un diverso indagato. In gravi indizi che portavano all'applicazione della misura erano individuati, fondamentalmente, in due conversazioni intercettate. La questione Il ricorso presentato dalla difesa evidenzia varie criticità in relazione alla decisione del Tribunale; in particolare - trattandosi del profilo affrontato dalla S.C. e ritenuto assorbente (così che l'ordinanza veniva annullata con restituzione degli atti al Tribunale competente) - la difesa contestava l'interpretazione per la quale la clausola di riserva di cui all'art. 270 c.p.p. legittimerebbe l'acquisizione delle intercettazioni in un diverso procedimento, anche per i delitti non rientranti nel novero di quelli previsti dall'art. 266 comma 2-bis c.p.p. Interpretazione, fatta propria dalla S.C., tale da determinare l'annullamento con rinvio, al fine di accertare se le intercettazioni in oggetto siano da ricondurre a quelle tra presenti (come tali inutilizzabili). Le soluzioni giuridiche Per la Suprema Corte la formulazione della norma non è di facile interpretazione, apparendo «non chiaro il significato da attribuirsi alla clausola di apertura dell'art. 270 comma 1 c.p.p., introducendo, al tempo stesso significative restrizioni riguardanti le intercettazioni mediante captatore». Non manca, ovviamente, nella decisione un richiamo generale alla natura del captatore, definito programma informatico intrusivo che si installa su: dispositivi mobili (computer e tablet), dotato di diverse funzionalità, che consente l'intercettazione di chiamate vocali, di chat e di messaggi istantanei nonché l'ascolto di conversazioni tra presenti, permettendo di intercettate le conversazioni che si svolgano tra più persone che si trovino nelle vicinanze del dispositivo. Ripercorriamo la motivazione della decisione. Accogliendo l'appello del P.M., il Tribunale aveva precisato che la clausola di salvezza di cui alla parte iniziale dell'art. 270, comma 1-bis, c.p.p. consente di utilizzare i risultati delle intercettazioni con captatore in relazione ai reati per i quali previsto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato, tra i quali l'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 contestata nel caso di specie. La ricostruzione della corretta interpretazione della norma in sentenza può essere così sintetizzata:
Conseguentemente, in tale seconda ipotesi l'utilizzazione in altro procedimento della conversazione intercettata tra due persone - realizzata anche mediante impiego del captatore - sarà possibile ove sia rilevante e indispensabile per l'accertamento di reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (e, sino all'entrata in vigore del d.l. n. 105/2023, convertito con modificazioni dalla l. n. 137/2023, per i reati di cui all'art. 266, comma 1, c.p.p.). Osservazioni Non possono esservi dubbi sul fatto che la disciplina del captatore informatico è stata inserita nel sistema penale a fronte di una assoluta necessità di adeguamento tecnico anche se per molto aspetti “obtorto collo” (per svariate ragioni) alla luce della straordinaria potenziale efficacia (e pari invasività) di tale strumento. La questione si complica, poi, nel momento in cui la tematica sul captatore deve essere confrontata e calata in relazione alla possibilità di utilizzo in procedimenti diversi, ai sensi dell'art. 270 c.p.p. Di fatto, convergono sul tema affrontato dalla decisione le criticità ontologicamente connesse all'uso del captatore con la profonda revisione (in senso restrittivo, come sopra evidenziato) della disciplina dell'utilizzo delle intercettazioni in procedimenti diversi, iniziato con la sentenza Cavallo e proseguito poi con i numerosi interventi legislativi che- con modalità ed esiti differenti- si sono succeduti. Resta il fatto che il captatore è intrinsecamente uno strumento espressivo di esigenze eccezionali, che, come tali, non possono essere indiscriminatamente “ampliate” per via ermeneutica. Le molte proposte di ridimensionamento dell'utilizzo del captatore si pongono in perfetta sintonia con tali prospettive. La sentenza in oggetto – sulla scorta delle conclusioni del P.G. – affronta le ragioni delle scelte espresse dal legislatore, escludendo la necessità di sollevare la questione di legittimità costituzionale proposta dal Procuratore Generale, che, a fronte della interpretazione prospettata dalla difesa nel ricorso, ipotizzava una palese irragionevolezza, derivante dalla previsione di delitti di non rilevante gravità intercettabili mediante captatore, al di là dei limiti del decreto autorizzativo, e al contempo esclusione di tale possibilità per delitti di rilevante gravità. La tesi della S.C. è chiarissima: «La scelta del legislatore di limitare l'utilizzo in altri procedimenti e fuori della previsione del decreto autorizzativo a delitti di particolare gravità e allarme sociale (quali quelli in materia di criminalità organizzata, terrorismo eccetera, previsti nel decalogo di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. richiamato dall'art. 266, comma 2-bis, c.p.p.) si giustifica in ragione della particolare invasività del mezzo, che consente: nel caso precipuo di conversazioni tra presenti, intercettazioni in incertam personam». In questo senso «è prerogativa del legislatore l'attuazione del bilanciamento di valori costituzionali tra loro contrastanti (il dritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni e l'interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire coloro che delinquono), secondo modalità improntate a criteri di ragionevolezza, pur nell'esigenza di garantire un perseguimento dei fini dell'amministrazione della giustizia (v. C. cost., n. 366/1991)». Riferimenti
|