Vi è discontinuità tra l’abrogato millantato credito corruttivo e il nuovo traffico di influenze illecite
04 Giugno 2024
Massima Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p. - abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. “spazzacorrotti”) - e il “nuovo” reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t) della citata legge. Le condotte, già integranti gli estremi dell'abolito reato di cui all'art. 346, comma 2, c.p., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice. Il caso Ad un detenuto presso la Casa circondariale di Frosinone veniva contestato di avere, nel corso dell'anno 2017, in concorso con un agente della polizia penitenziaria in servizio presso lo stesso carcere e rimasto non identificato, indotto altro detenuto, al quale era stato prospettato l'imminente trasferimento presso altro istituto penitenziario, a promettergli la somma di euro 3.000 al fine di evitare il trasferimento. Il prevenuto veniva condannato in primo grado per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater c.p., con sentenza confermata dalla Corte di appello di Roma che, tuttavia, in accoglimento del ricorso per cassazione interposto dall'imputato, veniva annullata con rinvio (Cass. pen., sez. VI, n. 31138/2022), a fronte di svariati vizi motivazionali e della lacunosa ricostruzione fattuale, tale da aver determinato – secondo la S.C. – una applicazione della legge penale errata, non ritenendosi nella specie raggiunta la prova dell'accordo fra indotto ed induttore e neppure quella dell'abuso dei poteri da parte del pubblico agente, né era stato spiegato in sentenza perché i fatti, ove correttamente accertati, non potessero essere ricondotti ad altre fattispecie di reato, quali la truffa o il traffico di influenze illecite. All'esito del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Roma, in diversa composizione, con sentenza del 25 gennaio 2023 riformava la pronuncia di primo grado riqualificando il fatto contestato in termini di traffico di influenze illecite ai sensi dell'art. 346-bis c.p., ritenuta la continuità normativa tra detta fattispecie e l'abrogato reato di millantato credito già previsto dall'art. 346 c.p. (vigente alla data di commissione del fatto contestato), con rideterminazione della pena inflitta. Avverso tale sentenza proponeva nuovo ricorso per cassazione l'imputato che deduceva, tra l'altro, come in fatti in contestazione fossero antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 3/2019, modificativa dell'art. 346-bis c.p.: posto che la promessa di un interessamento o la mera vanteria non erano sufficienti per la configurazione del reato di cui all'art. 346-bis c.p., il ricorrente sosteneva che non vi era continuità normativa tra le due fattispecie, poiché nel “vecchio” millantato credito non era ricompresa la condotta di chi, mediante artifici o raggiri, riceveva o si faceva dare o promettere denaro (o altra utilità) con il pretesto di dover comprare i favori del pubblico ufficiale. La Seconda Sezione della Cassazione, accertata l'esistenza del contrasto ormai radicatosi nella giurisprudenza di legittimità, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, formulando il seguente quesito: «Se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p.». La questione La questione affrontata dalle Sezioni Unite – a risoluzione di contrasto – riguarda i rapporti tra l'abrogato delitto di millantato credito c.d. “corruttivo”, già previsto dall'art. 346, comma 2, c.p. (che puniva con la reclusione da uno a cinque anni - più gravemente rispetto al millantato corruttivo “semplice” - «Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato»), articolo interamente abrogato dall'art. 1 comma 1, lett. s), legge n. 3/2019 (c.d. “spazzacorrotti”) e la “nuova” figura delittuosa di traffico di influenze illecite, introdotto dall'art. 1, comma 75, della legge n. 190/2012 (c.d. legge “Severino”) e poi modificato dall'art. 1 comma 1, lett. s), legge n. 3/2019, a mente del quale «Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità» […]). La questione ha dato luogo nella giurisprudenza delle sezioni semplici della Corte di legittimità a due indirizzi contrapposti. Un primo orientamento – maggioritario – ritiene che l'esito della successione di leggi penali nel tempo è stato quello della piena continuità normativa tra le due fattispecie di reato, con la conseguenza che il “super-traffico” di influenze illecite, come riscritto nel 2019, ha “inglobato” anche le condotte millantatorie in precedenza sanzionate dall'abrogato art. 346 c.p., laddove la nuova norma equipara la mera vanteria di una relazione (o di un credito) con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente col pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato (Cass. pen., sez. VI, n. 32574/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 20935/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 26437/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 35581/2021; Cass. pen., sez. I, n. 23877/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 22101/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 16467/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 1869/2021; Cass. pen., sez. VI, 12 n. 1659/2020; Cass. pen., sez. VI, n. 51124/2019; Cass. pen., sez. VI, n. 17980/2019). Secondo questo divisamento, che ravvisa il fenomeno dell'abrogatio sine abolitione conformemente alle intenzioni del legislatore storico del 2019, le differenze tra due norme diacronicamente considerate – ossia: la previsione della punibilità anche del soggetto che intenda trarre vantaggi da tale influenza ai sensi del nuovo art. 346-bis, comma 2, c.p. (non prevista nella pregressa ipotesi millantatoria, nell'ambito della quale, anzi, l'“acquirente di fumo” assumeva la veste di vittima del reato) e la non perfetta coincidenza dei destinatari della millanteria ovvero del traffico (l'abrogato art. 346 aveva riguardo al credito millantato presso il «pubblico ufficiale e l'impiegato che presti un pubblico servizio», mentre nel vigente art. 346-bis c.p. rileva la possibilità di condizionare il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio, a prescindere dal fatto che si tratti di un «impiegato») – sarebbero del tutto marginali, tali da non incidere sulla struttura comune delle due fattispecie. Secondo l'opposto orientamento giurisprudenziale – minoritario – vi è, invece, discontinuità normativa tra il vecchio reato di millantato credito, abrogato dalla legge “spazzacorrotti”, e il vigente delitto traffico di influenze illecite, novellato dalla stessa legge, in quanto in quest'ultima fattispecie non risulta compresa la condotta di chi, mediante artifizi e raggiri, riceve (o si fa dare o promettere) denaro (o altra utilità) «col pretesto» di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato (o doverlo comunque remunerare): condotta, quest'ultima, che, in considerazione dell'intervenuta abrogazione dell'art. 346 c.p., integra semmai il generale delitto di truffa di cui all'art. 640 comma 1, c.p. (Cass. pen., sez. VI, n. 11342/2023; Cass. pen., sez. VI, n. 49657/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 23407/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 28657/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 5221/2020). Questo diverso approccio interpretativo valorizza la non esatta corrispondenza tra la condotta in precedenza prevista dalla norma abrogata e quella attualmente inglobata nel comma 2 dell'art. 346-bis c.p., nella parte in cui è stato riprodotto il sintagma «sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'art. 322-bis c.p., indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri, denaro o altra utilità (...) per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sui funzioni o dei suoi poteri»: la mancata riproposizione del termine «pretesto», contenuto nella precedente ipotesi di reato, o di altro termine di natura equipollente (che fondava il carattere autonomo della fattispecie di reato di cui all'art. 346 comma 2, c.p. secondo Cass. pen., sez. un., n. 12822/2010), farebbe escludere l'identità strutturale tra la norma abrogata e quella di nuova introduzione, non potendosi, a tal fine, apprezzare il riferimento della nuova norma al vanto di «relazioni asserite», che non è condotta sovrapponibile a quella posta in essere con l'inganno. Le soluzioni giuridiche Le Sezioni Unite con la sentenza in commento, dopo aver ripercorso l'evoluzione normativa che ha contrassegnato i delitti di millantato credito e di traffico di influenze illecite, come pure le ragioni storiche che hanno condotto all'introduzione di quest'ultima fattispecie, consacrando la tesi della discontinuità normativa statuiscono che le condotte millantatorie, già integranti gli estremi dell'abolito reato di cui all'art. 346, comma 2, c.p., non potendo rientrare nel nuovo reato di traffico di influenze illecite di cui al vigente art. 346-bis c.p., possono semmai configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo, attesa la diversità di beni giuridici), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice. Per risolvere il quesito in argomento – riguardante una peculiare ipotesi di successione di leggi penali nel tempo caratterizzata dall'abrogazione di una disposizione e dalla contestuale modifica del contenuto di altra già esistente – la Corte regolatrice, nella sua più autorevole composizione, premette di non potere fare affidamento sulla sola verifica del bene giuridico tutelato o delle modalità dell'offesa qualificanti ciascuna delle norme poste a raffronto, ovvero sulla regola della c.d. doppia punibilità in concreto, in quanto caratterizzata da margini troppi ampi di incertezza. In continuità con la pregressa giurisprudenza massimamente nomofilattica, il S.C. ribadisce che l'unico criterio utilizzabile è quello fondato sul formale confronto strutturale tra le fattispecie incriminatrici in confronto, da compiere con un'esegesi letterale e logico-sistematica dei modelli astratti di reato in avvicendamento cronologico, accertando se l'intervento legislativo più recente abbia assunto «carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando radicalmente una precedente figura di reato», ovvero ne abbia consentito la sopravvivenza, «non incidendo sulla struttura della stessa» (così già Cass. pen., sez. un., n. 24468/2009, Rizzoli; Cass. pen., sez. un., n. 25887/2003, Giordano)». Ad avviso delle Sezioni Unite, la scelta del legislatore del 2019 di abrogare per intero l'art. 346 c.p. e contestualmente di modificare, allargandolo, il contenuto dell'art. 346-bis c.p., ha comportato un fenomeno (non già di abrogatio sine abolitione ma) di abolitio criminis con riferimento ai fatti di millantato credito c.d. “corruttivo” già puniti (peraltro più gravemente rispetto al millantato credito c.d. “semplice”) dal capoverso dell'art. 346 c.p., nell'ambito del quale «il reato era monosoggettivo, in quanto la disposizione era tutta “concentrata” sulla condotta dell'unico soggetto di cui era prevista la punizione», mentre la controparte (l'acquirente di “fumo”) era raffigurata come soggetto danneggiato, perché tratto in inganno dalla vanteria di un'inesistente relazione col pubblico agente, i cui favori il venditore di fumo si proponeva di comprare. Invece, «nella figura prevista dal “nuovo” art. 346-bis c.p., il reato è, al contrario, normativamente plurisoggettivo, perché si sanzionano - con la stessa pena - entrambe le parti di una intesa, sia il trafficante di influenze che “vanta una relazione asserita”, sia il committente che dà o promette denaro o altra utilità. L'illecito si atteggia come reato-contratto e il medesimo trattamento sanzionatorio riservato ad entrambi i coautori, compreso il privato che paga o che promette di pagare, è ragionevolmente compatibile con i principi costituzionali di materialità e di offensività solamente ritenendo che il committente, lungi dall'essere un soggetto ingannato, è consapevole che il trafficante non ha (ancora) una relazione effettiva con il pubblico agente». Ulteriore elemento sintomatico di discontinuità normativa è costituito – spiega la sentenza in commento (§ 4.5) – dalla differente formulazione letterale delle due fattispecie criminose:
Per il plenum di Piazza Cavour la considerata difformità lessicale tra le due fattispecie si riconnette alle rispettive diverse rationes giustificatrici dell'intervento punitivo sicché è ragionevole ribadire che «il legislatore del 2019, inserendo nell'art. 346-bis c.p. la formula “vantando relazioni [...] asserite”, senza riproporre il sintagma “col pretesto” presente nella figura del millantato credito c.d. “corruttivo”, abbia voluto far riferimento non alla ipotesi del soggetto tratto in inganno dal mediatore (che resta, in tal modo, espunta dall'ambito del penalmente rilevante, a norma dell'art. 2, comma 2, c.p.), ma a quella di colui che partecipa a pieno titolo ad una intesa criminosa. Soggetto punibile, al pari del “trafficante”, perché, pur consapevole che la relazione con il pubblico funzionario è ancora inesistente e solo “vantata”, decide di fare affidamento sulla potenziale capacità del mediatore di instaurare quel “rapporto affaristico”: in tal modo concorrendo a determinare quella effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto, che, in una lettura costituzionalmente orientata, è l'unica condizione che può legittimare l'omogeneo trattamento sanzionatorio per entrambi i correi». Infine, poiché molte sentenze che hanno contribuito alla formazione dell'indirizzo oggi fatto proprio dalle Sezioni Unite alla riconosciuta discontinuità normativa fanno derivare l'automatica “reviviscenza” della fattispecie generale dell'art. 640 c.p. (così ad es. Cass. pen., sez. VI, n. 11342/2023; Cass. pen., sez. VI, n. 23407/2022; Cass. pen., sez. VI, n. 28657/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 5221/2020), il Collegio riunito opera – nell'ultima parte della sentenza (§ 5) – un'importante puntualizzazione, valevole per le vicende pregresse avvenute prima dell'entrata in vigore della “spazzacorrotti” (31 gennaio 2019), per le quali la Corte nega la possibilità di una “automatica” riespansione applicativa della truffa, laddove risulti che i fatti siano stati addebitati all'imputato e siano stati accertati in base alla sola disposizione a suo tempo prevista dall'abrogato art. 346, comma 2, c.p. e siano mancate una formale contestazione e un accertamento anche degli elementi specializzanti riconducibili al reato di cui all'art. 640 c.p. Difatti, la rilevata l'assenza di una relazione di specialità unilaterale tra la norma incriminatrice abrogata dell'art. 346, comma 2, c.p. e quella di cui all'art. 640 c.p. a ben vedere «impedisce di ravvisare gli estremi di quella continuità normativa che, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., consentirebbe al giudice di riqualificare i fatti, già integranti gli estremi di una fattispecie incriminatrice speciale oramai abolita, ai sensi di altra norma generale preesistente e tornata ad essere applicabile. Tale conclusione è coerente con le valutazioni offerte dalle Sezioni Unite Rizzoli, le quali, nell'esaminare un analogo caso di successione di leggi penali nel tempo, hanno asserito che, mentre «l'abrogazione di una norma incriminatrice determina certamente una situazione di c.d. abrogatio sine abolitione se la scelta legislativa mantiene fermo il disvalore delle classi di fatti conformi alla detta norma, riportandole implicitamente alla disciplina prevista da altra norma preesistente, in rapporto di specialità con la prima [...], non è [invece] riconducibile nell'ambito della previsione di cui al quarto comma dell'art. 2 c.p.» il differente caso della applicazione di una norma preesistente riguardante una ipotesi di reato strutturalmente diversa da quella abrogata: situazione nella quale «opera certamente [...] il disposto del secondo comma dell'art. 2 c.p., quanto alla fattispecie soppressa, non trovando la medesima, nel suo aspetto strutturale essenziale, riscontro in altra norma dell'ordinamento» (Cass. pen., sez. un., n. 24468/2009, Rizzoli)». Dunque, pur se il fatto commesso in epoca anteriore all'entrata in vigore della novella legislativa del 2019 (quindi fino al 30 gennaio 2019) poteva astrattamente corrispondere ad entrambe le fattispecie incriminatrici, l'abolizione della fattispecie di millantato credito c.d. corruttivo comporta che l'imputato può essere chiamato a rispondere del delitto di truffa nel solo caso in cui nel processo siano stati formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie. Ad analoga soluzione pervengono le Sezioni Unite per le condotte successive all'entrata in vigore della legge n. 3/2019 (quindi dal 31 gennaio 2019) che restavano, e restano tuttora, punibili ai sensi dell'art. 640 c.p., in presenza di tutti i relativi elementi costitutivi, purché formalmente contestati all'imputato e accertati in fatto nel processo. Osservazioni Quest'ultima puntualizzazione relativa alla possibile (non automatica) riqualificazione dei fatti “millantatori” sotto la figura generale della truffa, quanto ai procedimenti in corso relativi ai fatti pregressi, trova un ulteriore limite dato dalla necessaria presenza della condizione di procedibilità. Mentre il millantato credito, pur quando proteggesse (anche) la sfera giuridica (patrimoniale e non) del soggetto ingannato dal millantatore, era sempre procedibile d'ufficio (in quanto volto a proteggere gli interessi primari della pubblica amministrazione), la truffa, nell'ipotesi-base dell'art. 640, comma 1, c.p., è procedibile a querela di parte (e non sembrano ravvisabili le ipotesi aggravanti del capoverso che fanno scattare la procedibilità ex officio): quindi, a fronte di contestazione già elevata per traffico di influenze illecite (ovvero di condanna di primo grado intervenuta per questo titolo di reato), un'eventuale riqualificazione in truffa (semplice) da parte del giudice della cognizione suppone non solo la necessità che «siano stati formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della diversa fattispecie» - come giustamente esige la sentenza in commento (§ 5) – ma, anzitutto, che sia rinvenibile, in atti, una valida querela tempestivamente sporta da parte del soggetto indotto in errore che abbia subito un ingiusto danno. Il che, rispetto ai fatti pregressi, sembra in concreto implausibile, considerata l'opacità e la viscosità del terreno socio-criminologico in cui si ergeva (anche) il previgente millantato credito nell'ambito di quella vastissima area che abbraccia la periferia esterna della corruzione in senso lato, da sempre caratterizzata da una notoria “omertà” di tutti coloro che vi partecipano, a qualunque titolo (faccendieri, trafficanti, procacciatori d'affari, facilitatori, favoriti, acquirenti di fumo...). Dunque, sulla (teorica) riqualificazione del fatto millantatorio come truffa (semplice) – nei procedimenti pendenti – sembra prevalere (in concreto) la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela. |