L’incerto confine tra manifesta e mera infondatezza ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione
27 Marzo 2024
Massima Il giudice di legittimità, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso, non è chiamato ad una delibazione del tutto discrezionale sulla mera o manifesta infondatezza dei motivi, ma è tenuto a considerare se i motivi risultano, o meno, caratterizzati da evidenti errori di diritto. Il caso La fattispecie che ha dato luogo alla pronuncia in esame riguarda un imputato condannato dal giudice di primo grado, con sentenza confermata dalla Corte di Appello, per il delitto di ricettazione di piante provento di furto. In particolare, nella denuncia presentata dal proprietario, era stato precisato che si trattava di trenta carrelli di fiori per un importo complessivo di € 30.000. Nel vivaio dell'imputato erano state tuttavia rinvenute soltanto alcune piante. Proponendo ricorso per cassazione, la difesa, senza contestare la penale responsabilità del prevenuto per il reato ascritto, lamentava la mancata concessione dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 648, comma 4, c.p. a causa del travisamento della prova in ordine al valore della merce, dato che era stato preso in considerazione l'intero valore della merce sottratta anziché il ben più modesto valore delle piante rinvenute presso l'imputato. Il Procuratore Generale aveva concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame sulla ipotesi lieve del delitto di ricettazione. La questione In quali casi il ricorso per cassazione può ritenersi manifestamente infondato? La questione è particolarmente delicata, in quanto la distinzione tra manifesta infondatezza e mera infondatezza dei motivi di ricorso comporta l'instaurazione o meno del rapporto processuale di impugnazione, con rilevanti conseguenze sul piano pratico. Una fra tutte, la preclusione di rilevare e dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione o altre cause di non punibilità, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Infatti, l'art. 606, comma 3, c.p.p., stabilisce che «il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati». Quali sono, dunque, i criteri per stabilire se un motivo di ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza? Le soluzioni giuridiche La giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione da sempre ha avvertito l'importanza dell'individuazione di criteri per distinguere i casi di manifesta infondatezza dei motivi di ricorso da quelli meramente infondati. Già le Sezioni Unite, in una risalente sentenza, ebbero ad osservare che «il discrimine tra manifesta infondatezza e (semplice) infondatezza dei motivi è incerto e pone il giudice di fronte a una scelta talvolta opinabile» (Cass. pen., sez. Un., 11 novembre 1994, Cresci). Più recentemente, la stessa Corte costituzionale ha qualificato come “scivoloso” il crinale della distinzione tra manifesta infondatezza e mera infondatezza dei motivi di ricorso con conseguente costituzione, o meno, del rapporto processuale di impugnazione (C. cost., 27 febbraio 2019, n. 25). Tanto più in considerazione delle possibili implicazioni in ordine al rispetto dei principi dell'equo processo, della presunzione d'innocenza nonché della certezza del diritto, garantiti dall'art. 6 della Convenzione EDU e dagli artt. 25,27 e 111 Cost., che potrebbero risultare violati da un sistema nel quale l'estinzione di un reato per prescrizione dovesse dipendere non soltanto dal decorso del tempo, ma anche da una valutazione del giudice sulla fondatezza o meno dei motivi di ricorso. La necessità di specificare i confini tra manifesta infondatezza e mera infondatezza delle doglianze è stata evidenziata in una importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, 22 novembre 2000, n. 32, laddove si è affermato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. In particolare, si è rilevato che «la manifesta infondatezza dei motivi resta definita sulla base di una cognizione sommaria, con effetti di stretto diritto processuale consistenti nel precludere l'accesso al rapporto di impugnazione». La Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione che si riveli “ictu oculi priva di ogni consistenza” o che si limiti a riproporre pedissequamente una questione già dichiarata non fondata in assenza di nuovi motivi che possano indurre a modificare la precedente decisione (C. cost., 16 marzo 1963, n. 32; C. cost., 4 marzo 1970, n. 37; C. cost., 20 gennaio 1971, n. 8). Nella giurisprudenza di legittimità, il tema è stato in particolare esaminato nella già citata sentenza a Sezioni Unite n. 32/2000, ove è stato chiarito che l'aggettivo “manifesta” evoca “la significazione di palese inconsistenza delle censure” e che la “manifesta infondatezza” si traduce nella “proposizione di censure caratterizzate da evidenti errori di diritto nell'interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle volte contrastata da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l'opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell'ordinamento, solo per indicare le più frequenti ipotesi di applicazione dell'art. 606, comma 3, secondo periodo. Fino a profilare – sul piano funzionale – come costante la pretestuosità del gravame, non importa se conosciuta o no dallo stesso ricorrente”. Successivamente, la Suprema Corte, ribadendo che il giudice, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso, non può certo essere chiamato ad una arbitraria delibazione quanto alla mera o manifesta infondatezza dei motivi, ha enucleato una casistica cui attenersi nella valutazione. In particolare, la questione è stata compiutamente esaminata in Cass. pen., sez. II, 8 gennaio 2019, n. 17281 e Cass. pen., sez. II, 12 marzo 2019, n. 19411, nelle quali si evidenzia che, con riferimento ai vizi di inosservanza od erronea applicazione di legge, sono manifestamente infondati i motivi caratterizzati da evidenti errori di diritto nell'interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso e che, con riferimento ai vizi di motivazione, risultano manifestamente infondati motivi di ricorso che attribuiscono alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso da quello reale. Esemplificativamente, il ricorso è da ritenersi inammissibile per manifesta infondatezza nei seguenti casi:
La sentenza in commento si colloca pienamente nel solco del sopra menzionato orientamento giurisprudenziale. Dopo un'attenta disamina e il puntuale richiamo ai criteri enunciati dalla giurisprudenza in ordine alla valutazione della manifesta infondatezza ai fini della decisione sulla ammissibilità o meno del ricorso, sopra riportati, esclude che possa essere manifestamente infondato il ricorso dell'imputato avente ad oggetto l'esclusione dell'ipotesi attenuata di cui al capoverso dell'art. 648 c.p. per vizio di motivazione, avendo la Corte di Appello fatto riferimento al valore complessivo del carico sottratto alla ditta proprietaria anziché a quello della merce rinvenuta presso l'imputato. Considerato quindi correttamente instaurato il rapporto processuale, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Al riguardo, viene evidenziato che l'impugnazione della sentenza esclusivamente sul punto riguardante il riconoscimento di una circostanza attenuante non preclude al giudice del gravame di rilevare eventuali cause di estinzione del reato, posto che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli. La mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell'imputato non basta a far acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata quando, per quello stesso capo, il ricorrente abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena. Ciò è conforme al costante orientamento giurisprudenziale. In tal senso: Cass. pen., sez. un., 19 gennaio 2000, n. 1; Cass. pen., sez. II, 16 ottobre 2014, n. 50642; Cass. pen., sez. V, 7 maggio 2019, n. 26409; Cass. pen., sez. II, 21 aprile 2022, n. 19320. Osservazioni Il tema della inammissibilità del ricorso per cassazione ha una rilevanza davvero significativa. Basti pensare, come risulta dall'Annuario statistico 2023 della Cassazione penale, che, nel corso di tale anno, ben il 71,2% dei ricorsi è stato dichiarato inammissibile, di cui il 60,9% dalla Settima Sezione ed il restante 39,1% dalle altre Sezioni, dalla Prima alla Sesta. Da cosa può dipendere un così alto numero di ricorsi dichiarati inammissibili? Molti risultano inammissibili ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., perché proposti senza indicare quale sia il vizio lamentato ovvero per motivi diversi da quelli indicati nel comma 1 del medesimo art. 606, c.p.p. Altri ancora, per mancata osservanza dei requisiti di forma dell'impugnazione prescritti a pena di inammissibilità dall'art. 581, comma 1, c.p.p. Ad esempio, la denunzia cumulativa e promiscua “della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione”, non potendosi attribuire al giudice di legittimità la funzione di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di utile scrutinio (Cass. pen., sez. I, 22 settembre 2015, n. 39122; Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 11463); il “difetto di autosufficienza del ricorso”, che si verifica allorché il ricorrente, nel dedurre il vizio di travisamento della prova in relazione a determinati atti del processo, omette di indicarli specificamente nei motivi di gravame, riprodurli integralmente o allegarne copia (fra le altre, Cass. pen., sez. IV, 28 giugno 2017, n. 18335; Cass. pen., sez. IV, 12 gennaio 2021, n. 3937); il “frazionamento di un numero abnorme di motivi concernenti gli stessi capi di imputazione ed i medesimi punti oggetto della decisione”, dal momento che “l'eccessiva prolissità e verbosità del ricorso rende confusa l'esposizione delle doglianze e difficoltosa l'individuazione delle questioni sottoposte al vaglio dell'organo dell'impugnazione” (Cass. pen., sez. VI, 10 febbraio 2017, n. 10539). Ulteriore causa frequente di inammissibilità del ricorso per cassazione è il difetto di specificità dei motivi, come prescritto dall'art. 581, comma 1, lett. d), c.p.p. (ex plurimis: Cass. pen., sez. IV, 8 giugno 2016, n. 34834; Cass. pen., sez. III, 5 marzo 2020, n. 17186; Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 11463). L'inammissibilità del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, comporta varie preclusioni. Pacificamente preclusa è la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., tra cui la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (fra le tante: Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 2014, n. 53138; Cass. pen., sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32; Cass. pen., sez. VII, 19 novembre 2021, n. 43883). Inoltre, non possono essere dedotte e rilevate ex art. 609, comma 2, c.p.p. le ipotesi di nullità assoluta della sentenza (Cass. pen., sez. III, 14 ottobre 2021, n. 43917, relativa ad una fattispecie di nullità dovuta alla partecipazione di un giudice onorario al collegio giudicante). Parimenti preclusa è la possibilità di rilevare e dichiarare d'ufficio la violazione dell'art. 6 CEDU (Cass. pen., sez. II, 25 febbraio 2014, n. 13233). Così pure la declaratoria di ammissibilità di una questione di legittimità costituzionale (Cass. pen., sez. VI, 15 maggio 2008, n. 22439). Uniche questioni rilevabili dalla Suprema Corte anche in caso di inammissibilità del ricorso sono la abolitio criminis del reato per cui vi è stata condanna (Cass. pen., sez. IV, 21 maggio 2008, n. 25644; Cass. pen., sez. VII, 16 novembre 2011, n. 48054; Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2016, n. 48005; Cass. pen., sez. V, 5 dicembre 2017, n. 8735) nonché l'illegalità della pena (Cass. pen., sez. Un., 31 marzo 2022, n. 38809). E' dunque evidente che l'istituto della inammissibilità del ricorso costituisce un efficace “sistema di filtraggio” idoneo a ridurre il carico di lavoro cui è sottoposta la Cassazione. Ma non sarà che condizioni così rigorose per l'ammissibilità dei ricorsi possano finire per restringere eccessivamente il diritto di difesa nel giudizio di legittimità? La questione è stata affrontata dalla Corte EDU, la quale ha affermato che le cause di inammissibilità, pur mirando allo ‘scopo legittimo' di agevolare la comprensione dei casi sottoposti a giudizio della Corte di cassazione e delle questioni sollevate e di garantire l'esatta ed uniforme interpretazione del diritto, “devono ispirarsi a criteri di proporzionalità” (Corte EDU, sez. I, 5 ottobre 2021, n. 55064). Nonostante la puntualizzazione di criteri univoci enunciata, condivisibilmente, anche nella sentenza in commento e il monito desumibile dalla sopra citata decisione della Corte EDU, la nozione di “manifesta infondatezza” rimane tuttavia alquanto sfumata, lasciando spazio a fin troppo ampi margini di discrezionalità. |