Sospensione condizionale della pena concessa in violazione di legge: può il giudice dell’esecuzione revocarla quando la causa ostativa era nota al giudice di appello?

03 Ottobre 2024

Quando la sentenza di primo grado abbia concesso all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena in violazione di legge, ed il giudice di appello, in assenza di impugnazione o sollecitazione del pubblico ministero sul punto, non ne abbia disposto ex officio la revoca, la stessa può comunque essere disposta in executivis. Ecco le motivazioni delle Sezioni Unite.

Questione controversa

La questione controversa riguarda il potere del giudice dell'esecuzione di revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena che il giudice di primo grado abbia illegittimamente riconosciuto in presenza di una causa ostativa, e che il giudice di appello, pur emergendo dagli atti in carteggio l'esistenza della causa ostativa, non abbia revocato.

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento «È legittima la revoca in executivis della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell'art. 164, comma 4, c.p. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d'appello, che non sia stato investito dell'impugnazione del pubblico ministero né, comunque, di formale sollecitazione di questi in ordine all'illegittimità del beneficio, atteso che il potere di revoca che, in tal caso, il giudice d'appello può esercitare anche d'ufficio, ha natura meramente facoltativa e surrogatoria rispetto a quello del giudice dell'esecuzione. (In motivazione la Corte ha osservato che, in tal caso, ove il giudice di appello non si sia pronunciato, a seguito di impugnazione o richiesta del pubblico ministero ovvero d'ufficio, sulla questione relativa alla sussistenza della causa ostativa al riconoscimento del beneficio, non si forma giudicato preclusivo del potere di revoca in fase esecutiva)» (così, ex plurimis, Cass. pen., sez. I, 9 luglio 2021, n. 39190).

Secondo questo orientamento, il giudice di appello, revocando su impulso del pubblico ministero o di ufficio il beneficio erroneamente concesso dalla sentenza impugnata, esercita un potere facoltativo e surrogatorio rispetto a quello del giudice dell'esecuzione, la cui competenza a disporre la revoca, in alternativa e in autonomia rispetto al giudice della cognizione anche di appello, è espressamente prevista dall'art. 674 comma 1-bis, c.p.p.

Dunque, l'omissione di una tale - pur possibile - statuizione da parte del giudice della cognizione non farebbe venire meno la competenza autonoma ordinariamente riconosciuta al giudice dell'esecuzione, non essendo valutabile quale implicita acquiescenza idonea a precludere la possibilità di revoca in sede esecutiva: ed invero, in difetto di impugnazione da parte del pubblico ministero o di sollecitazione ad esercitare d'ufficio il potere di revoca, non può sostenersi che la relativa questione sia stata oggetto di una valutazione implicita, quando il giudice di appello nella sua sentenza non abbia fatto alcun cenno alla sospensione condizionale o ai suoi presupposti applicativi, né a precedenti ostativi alla sua concessione (1).

Secondo l'opposto e minoritario orientamento, «È illegittima la revoca in executivis della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell'art. 164, comma 4, c.p., in presenza di una causa ostativa nota al giudice d'appello, anche se non sia stato investito dell'impugnazione o da formale sollecitazione del pubblico ministero in ordine all'illegittimità del beneficio, non essendo precluso al giudice dell'impugnazione il potere di revoca, esercitabile anche d'ufficio» (così, da ultimo, Cass. pen., sez. V, 20 dicembre 2023, dep. 2024, n. 2144).

Sarebbe, dunque, decisiva la circostanza che le cause ostative al riconoscimento del beneficio fossero documentalmente note al giudice della cognizione: ed invero, se il certificato penale presente negli atti del giudizio di appello illustrava i precedenti ostativi alla concessione del beneficio, il potere di revoca, esercitabile anche d'ufficio ed in termini doverosi, «realizza senz'altro il presupposto dell'inclusione della questione della revocabilità del beneficio nel perimetro valutativo del giudice», dovendosi, altresì, intendere la mancata impugnazione da parte del pubblico ministero sul punto quale elemento dimostrativo dell'acquiescenza dell'ordinamento alla concessione del beneficio e quale dato rafforzativo dell'effetto preclusivo per un successivo intervento di revoca del giudice dell'esecuzione (2).

(1) Cass. pen., sez. I, 24 marzo 2023, n. 29876; Cass. pen., sez. I, 23 marzo 2023, n. 26061; Cass. pen., sez. I, 24 marzo 2023, n. 18245; Cass. pen., sez. I, 14 ottobre 2022, dep. 2023, n. 6270; Cass. pen., sez. I, 14 settembre 2022, n. 46910; Cass. pen., sez. I, 17 maggio 2022, n. 36362; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 2022, n. 25199; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 2022, n. 25198; Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 2022, n. 13192; Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2022, n. 9500; Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2022, n. 9498; Cass. pen., sez. I, 9 luglio 2021, n. 39190; Cass. pen., sez. I, 15 settembre 2021, n. 36518; Cass. pen., sez. I, 8 aprile 2021, n. 24103; Cass. pen., sez. V, 1 dicembre 2020, dep. 2021, n. 84; Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2020, n. 31998; Cass. pen., sez. I, 17 ottobre 2019, dep. 2020, n. 917; Cass. pen., sez. 1, 12 luglio 2019, n. 30709; Cass. pen., sez. I, 10 maggio 2019, n. 30710; Cass. pen., sez. III, 24 ottobre 2017, n. 56279.

    

(2Cass. pen., sez. V, 20 dicembre 2023, dep. 2024, n. 2144; Cass. pen., sez. V, 7 marzo 2022, n. 22134; Cass. pen., sez. V, 9 luglio 2020, dep. 2021, n. 23133; Cass. pen., sez. I, 16 gennaio 2018, n. 19457.

Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. I, 22 febbraio2024, n. 10390

I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione del condannato al quale la corte d'appello, quale giudice dell'esecuzione, aveva revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione di legge, vantando il ricorrente cinque precedenti condanne a pena detentiva, due delle quali a pena condizionalmente sospesa.

Il ricorrente si doleva del fatto che il giudice dell'esecuzione si fosse pronunciato nonostante il giudice della cognizione avesse avuto a disposizione, negli atti in carteggio, il certificato penale riportante le pregresse condanne: non essendosi pronunciato sul punto, era venuto a consumarsi - con l'implicito avallo alla erronea decisione del giudice di prime cure - il potere di revocare quel beneficio in executivis.

La Prima Sezione ha dato atto del contrasto venutosi a creare nella giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni, rilevando che il primo orientamento ha valorizzato il dictum e le motivazioni sviluppate da Cass. pen., sez. un., 23 aprile 2015, n. 37345, secondo cui «Il giudice dell'esecuzione può revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione dell'art. 164, comma 4, c.p. in presenza di cause ostative, a meno che tali cause non fossero documentalmente note al giudice della cognizione. A tal fine il giudice dell'esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio», e che, per converso, i sostenitori del secondo orientamento hanno, tra l'altro, rilevato che la Corte EDU ha ripetutamente statuito che la riapertura di una determinata procedura, a fini di emenda di errori riconducibili al pubblico ministero, postuli che si vadano a correggere esclusivamente errori commessi in favore del destinatario della pretesa punitiva, e che la Corte costituzionale (sentenza n. 363/2007) ha lasciato intendere che la revoca in executivis del beneficio sarebbe possibile solo nel caso in cui le ragioni della caducazione non fossero note al giudice della cognizione, ravvisandosi, in caso contrario, problemi di giudicato, divenendo il ricorso in questione un nuovo straordinario mezzo di impugnazione contra reum, svincolato da limiti temporali.

Il ricorso è stato, pertanto, rimesso alle Sezioni Unite, alle quali è stato rivolto il seguente quesito: «Se sia legittima la revoca in executivis della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell'art. 164, comma 4, c.p. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d'appello, che non abbia esercitato ex officio il potere di revoca o che non sia stato investito dell'impugnazione del pubblico ministero, né, comunque, di formale sollecitazione di questi in ordine all'illegittimità del beneficio».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 30 maggio 2024, hanno dato al quesito loro sottoposto risposta «affermativa».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2024, n. 36460

La Corte, ripercorso il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, ha precisato che esso investe il caso, previsto dall'art. 168 comma 3, c.p., di revoca della sospensione condizionale riconosciuta in violazione dell'art. 164 comma 4, c.p., che fa divieto di applicazione della sospensione condizionale più di una volta, salvo il potere del giudice della nuova condanna di accordarla comunque se la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata in precedenza, non superi i limiti di cui all'art. 163 c.p.

Ciò posto, la Corte ha ritenuto necessario sgombrare il campo da un equivoco di fondo, che «inficia l'impostazione del tema ad opera di entrambi gli orientamenti in esame»: la natura obbligatoria della revoca del beneficio deve essere intesa esclusivamente nel senso che «il giudice, sia di cognizione che di esecuzione, deve pronunciarla senza poter svolgere alcuna valutazione discrezionale», ma non anche nel senso che essa possa essere disposta prescindendo dalle «ordinarie scansioni processuali che definiscono l'ambito di cognizione e di decisione dei giudici nei vari gradi del giudizio». Ed invero, nel suo precedente intervento in argomento, il massimo consesso nomofilattico (Cass. pen., sez. un., 23 aprile 2015, n. 37345) aveva già escluso che «il vizio della sentenza che abbia concesso la sospensione condizionale in violazione dei limiti di cui all'art. 164, ultimo comma, c.p. sia conoscibile in sede di impugnazione oltre i limiti della devoluzione. Dalla sua lettura si ricavano, anzi, elementi a sostegno della tesi secondo cui il giudice di appello, al pari del resto del giudice di legittimità, può intervenire soltanto nel rispetto delle regole che ordinariamente definiscono il suo campo di cognizione».

Il sistema costruito dal legislatore prevede, dunque, che il giudice della cognizione possa intervenire esclusivamente nei limiti del devoluto, e che al giudice dell'esecuzione sia riconosciuto un potere di intervento («altrimenti non configurabile») quando il giudice dell'impugnazione non si sia pronunciato perché non gli è stata devoluta la cognizione sul tema («non è configurabile un potere di revoca svincolato dalla necessaria premessa che il punto sia stato devoluto»).

Correlativamente, le Sezioni Unite hanno chiarito che «La valutazione, espressa o implicita che sia, per precludere l'esame della questione in sede esecutiva deve sostanziarsi in un apprezzamento delle condizioni ostative alla concessione del beneficio. Apprezzamento che deve essere reale ed effettivo perché, pur quando implicito, deve trovare attestazione in una statuizione che possa far dire che quella valutazione, seppur erronea, sia stata fatta»: una tale situazione non sussiste quando il giudice dell'impugnazione, al quale la specifica questione non sia stata devoluta, «non sia in alcun modo intervenuto e non abbia adottato alcuna decisione da cui trarre fondatamente che abbia conosciuto delle cause legittimanti la revoca».

Peraltro, sottolinea la Corte, in una situazione del genere non si dispone di elementi certi per comprendere se dietro al silenzio del giudice dell'impugnazione - che era nelle condizioni di revocare il beneficio e non lo ha fatto - si nasconda un errore percettivo o un errore di valutazione, «distinzione questa di indubbia importanza, dato che l'errore meramente percettivo non crea alcuna preclusione al successivo esame della questione in esecuzione»:  ed invero, «ove il giudice della cognizione, pur avendo il potere di decisione, rimanga in silenzio e nella sentenza non si rinvengano elementi per desumere che almeno implicitamente abbia preso in considerazione una determinata questione, l'errore non è valutativo, ma, appunto, di percezione, per non essersi il giudice reso conto dell'esistenza di un nodo critico su cui intervenire risolutivamente. E questo tipo di errore, per l'assoluta mancanza di contenuto valutativo seppure un potere di decisione vi sia, non impedisce che della questione si occupi il giudice dell'esecuzione».

Il profilo dirimente è, dunque, costituito dall'esistenza o meno di un potere di cognizione in capo al giudice di appello pur in assenza di una devoluzione sul punto della sospensione condizionale: ed invero, «il giudice di appello si pronuncia ordinariamente nell'ambito della materia devoluta con l'atto di impugnazione e conosce fuori dei punti della decisione a cui si riferiscono i motivi proposti a condizione che la legge estenda specificamente il suo ambito cognitivo oltre i confini segnati dalla parte impugnante«; una tale condizione non ricorre nel caso di specie (l'art. 597 comma 5, c.p.p., che consente al giudice di appello di applicare anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, è norma di stretta interpretazione, derogando alla regola generale dell'effetto devolutivo, sicché non consente di argomentare l'esistenza dell'opposto potere di revocare il beneficio oltre il devoluto), né può essere implicitamente ricavata dalla natura meramente dichiarativa del provvedimento di revoca del beneficio concesso in violazione di legge.

Sulla base di queste considerazioni, le Sezioni Unite hanno risolto la questione controversa statuendo il principio di diritto secondo cui «è legittima la revoca, in sede esecutiva, della sospensione condizionale della pena disposta in violazione dell'art. 164, comma 4, c.p. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d'appello, a cui il punto non sia stato devoluto con l'impugnazione».

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