Reddito di cittadinanza: omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata ad ottenere il beneficio
14 Dicembre 2023
Massima Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all'art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, conv. in l. 28 marzo 2019, n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura inferiore. Il caso La Corte d'appello confermava la condanna emessa per i reati previsti dall'art. 640, comma 2, c.p. e dall'art. 7d.l. 4/2019, per aver l'imputato attestato nella dichiarazione ISEE un valore del proprio patrimonio immobiliare inferiore a quello reale, al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, inducendo così in errore l'INPS, che, in forza di tale dichiarazione, erogava all'imputato la somma di € 4.431,78. Con un primo motivo di doglianza il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge riferito all'art. 7 d.l. 4/2019 e agli artt. 42 e 43 c.p. e il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, non essendovi alcun elemento da cui desumere che l'intenzione dell'imputato fosse quella di ottenere un beneficio altrimenti non dovuto, atteso che, anche dichiarando il valore immobiliare omesso (l'imputato, in particolare, aveva omesso di dichiarare nel proprio patrimonio immobiliare ai fini ISEE la quota del 50% di sette terreni in comproprietà con il coniuge, quantificabile in oltre 22.000 euro), avrebbe avuto comunque diritto a percepire il sussidio. Sostiene, infatti, il ricorrente che in ossequio al principio dell'offensività concreta, il delitto in parola dovrebbe ritenersi sussistente solo quando l'intenzione dell'agente sia quella di conseguire attraverso dichiarazioni false o incomplete un beneficio altrimenti non dovuto. Inoltre, l'organo giudicante non avrebbe compiuto i necessari approfondimenti in ordine alla consapevolezza e volontarietà della contestata omissione. In particolare, per l'imputato l'elemento intenzionale del reato previsto dall'art. 7, primo comma, d.l. 4/2019 dovrebbe ritenersi integrato solo nell'ipotesi in cui non sussistano le condizioni in capo all'istante per accedere al beneficio e si verta perciò in ipotesi di illegittimo godimento del medesimo. La terza sezione penale della Cassazione – sul rilievo della esistenza di un contrasto di legittimità - ha rimesso alle Sezioni Unite le seguenti questioni: «se integrano il delitto di cui all'art. 7 d.l. 28 gennaio 2019 n. 4, convertito con modificazione nella legge 28 marzo 2019 n. 26: a) le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, ovvero b) se il mendacio o le omissioni dichiarative rilevino nei soli casi in cui l'intento dell'agente sia solo quello di conseguire, per il tramite delle stesse, un beneficio altrimenti non dovuto» ( Cass. pen., n. 2588/2023). La questione La questione in esame è la seguente: il mendacio penalmente rilevante ai sensi dell'art. 7 del d.l. n. 4/2019 deve incidere sulla sussistenza in concreto delle condizioni per l'ammissione al beneficio? Le soluzioni giuridiche Le Sezioni unite, con la pronuncia che qui brevemente si annota, hanno risolto il problema della configurabilità della fattispecie prevista dall'art. 7, comma 1, d.l. n. 4/2019, allorquando, nella dichiarazione finalizzata al conseguimento del reddito di cittadinanza, siano dal richiedente riportate false indicazioni (o omesse informazioni rilevanti) in ordine alla sua condizione patrimoniale e reddituale, indipendentemente dalla rilevanza del mendacio ai fini del superamento delle soglie fissate ex lege per il conseguimento del beneficio. L'art. 7 d.l. n. 4/2019 sanziona coloro che, pur sprovvisti dei requisiti di legge, accedano alla misura presentando falsa documentazione o rendendo false dichiarazioni (comma 1), ovvero coloro che continuino a percepire il beneficio economico quando tali requisiti siano venuti meno (comma 2). In relazione all'individuazione delle falsità rilevanti ai sensi dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 4/2019, la Corte di cassazione ha elaborato contrapposti orientamenti interpretativi. Secondo un primo orientamento integrano il delitto in esame le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza, indipendentemente dall'effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio (Cass. pen., n. 5289/2019; Cass. pen., n. 2402/2020; Cass. pen., n. 30302/2020; Cass. pen., n. 33808/2021; Cass. pen., n. 33431/2021; Cass. pen., n. 5309/2021; Cass. pen., n. 2588/2022). Per tale orientamento, la sanzione penale prevista dall'art. 7 del d.l. 4/2019 costituirebbe la reazione da parte dell'ordinamento ad una forma di violazione del patto di leale cooperazione intercorso fra il cittadino e l'amministrazione e, come tale, non dovrebbe fare riferimento all'effettivo raggiungimento dello scopo (rappresentato dalla percezione del reddito). Più in particolare, la disciplina del RDC sarebbe correlata, nel suo complesso, al generale “principio antielusivo”, per cui la punibilità del reato si rapporta non solamente al pericolo di profitto ingiusto, ma, soprattutto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Con la conseguenza che il cittadino che aspiri ad ottenere il beneficio - o che già lo percepisca - avrebbe l'obbligo di comunicare all'ente erogatore qualunque circostanza modificativa delle proprie condizioni patrimoniali o reddituali, a prescindere dalle conseguenze che tali variazioni hanno sul concreto diritto a percepire il RDC. Tale posizione è analoga a quanto elaborato in tema di reati di falso nelle dichiarazioni sostitutive e, più in particolare, al reato di cui all'art. 95 d.p.r. n. 112/2002 che sanziona le omissioni o le false dichiarazioni nelle indicazioni e comunicazioni finalizzate ad ottenere l'ammissione al gratuito patrocinio (Cass. pen., sez. un., n. 6591/2008, che ha riconosciuto la sussistenza del reato previsto dall'art. 95 d.p.r. 112/2002 quando vengano rese false indicazioni ovvero vengano omesse informazioni dovute nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio). Un secondo indirizzo giurisprudenziale interpreta in modo restrittivo l'art. 7 d.l. n. 4/2019, ritenendo sussistente il reato in parola solo quando le condotte di mendacio siano finalizzate ad ottenere il beneficio del RDC, e il richiedente in concreto non ne avrebbe diritto o ne avrebbe diritto in misura minore; in altre parole sarebbero penalmente rilevanti le false dichiarazioni nel caso in cui la percezione del sussidio risulti indebita, nell'an o nel quantum (Cass. pen., n. 44366/2021; Cass. pen., n. 29910/2022). Tale formante muove dalla constatazione che il riferimento alla materia di ammissione al beneficio del patrocinio giudiziario a spese dello Stato dei non abbienti non è corretto. Infatti, l'art. 95, d.p.r. n. 115/2002 non richiama mai, a differenza dell'art. 7 citato, il fatto che attraverso di esse si sia perseguito il fine di accedere indebitamente ad un beneficio; e con l'utilizzo dell'avverbio “indebitamente” il legislatore avrebbe invece inteso proprio fare riferimento non tanto ad una volontà di accesso al beneficio messa in atto non iure – e, quindi, in assenza degli elementi formali che avrebbero consentito l'erogazione – quanto ad una volontà diretta ad un conseguimento di esso contra jus– in assenza degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento. Secondo questo indirizzo giurisprudenziale risulterebbe, pertanto, più in linea con il principio di offensività ritenere che con l'espressione “al fine di ottenere indebitamente il beneficio” il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità ovvero dalla incompletezza delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza. Sarebbe, pertanto, doverosa una specifica indagine in ordine alla legittimità sostanziale dell'accesso del soggetto richiedente il beneficio, dovendosi attribuire rilevanza penale ai soli casi di mendacio in cui l'intenzione dell'agente fosse quella di ottenere un beneficio diversamente non dovuto. Osservazioni La pronuncia in commento offre una soluzione più in linea con la previsione testuale del dolo specifico, consistente nel fine di ottenere indebitamente il beneficio, ricostruendo la fattispecie come reato di pericolo concreto. In particolare, la previsione del termine “ indebitamente ” richiede il dolo specifico dell'agente. Infatti, deve considerarsi “indebita” tanto l'erogazione non dovuta in assenza del mendacio, quanto l'ipotesi di ottenimento del RDC in misura superiore rispetto a quanto spettante in assenza del mendacio. Sicché, è senz'altro preferibile la soluzione ermeneutica che fa rientrare nell'ambito applicativo delle fattispecie richiamate solo le condotte di mendacio finalizzate ad ottenere il beneficio del RDC di cui il richiedente non abbia diritto o abbia diritto in misura minore (e che considera, invece, prive di rilevanza penale tutte quelle condotte di falso che non abbiano inciso, in concreto, sull'ottenimento di un beneficio indebito). Il giudice della nomofilachia muove dal principio di offensività (in concreto ) che impone, in sede di sussunzione del fatto nella fattispecie incriminatrice astratta, di farvi rientrare solo quelle condotte in concreto offensive del bene o interesse che la norma tende a tutelare. A tal proposito si ricorda come le fattispecie previste dall'art. 7 d.l. 4/2019 abbiano natura plurioffensiva, in quanto alla tutela della pubblica fede tipica dei reati di falso si affianca l'interesse a salvaguardare la volontà della PA con specifico riguardo alla distribuzione delle risorse finanziarie. Appare evidente come le false dichiarazioni (o omissione di informazioni dovute) a cui consegua l'ottenimento di un beneficio in concreto non spettante al richiedente e quelle che consentano l'ottenimento del RDC in misura superiore rispetto a quanto dovuto appaiano lesive del bene giuridico della pubblica fede, e comportino un'alterazione nella distribuzione delle risorse finanziarie. Diversamente, la condotta di falso (resa ai fini dell'ottenimento del RDC), che non incide sulla sussistenza in concreto delle condizioni per l'ammissione del beneficio, non comporta certamente un'alterazione nella distribuzione delle risorse finanziarie: infatti, quanto verrebbe ottenuto in conseguenza delle false dichiarazioni (o omissioni) corrisponde esattamente a quanto si sarebbe potuto ottenere in assenza del mendacio (con la conseguenza che la falsità non porterebbe alcun effettivo nocumento per l'ente erogatore). In secondo luogo, milita a favore dell'orientamento più garantista un argomento teleologico che fa perno sulla ratio legis sottesa all'introduzione delle fattispecie previste dall'art. 7 citato: in particolare, la previsione dell'elemento soggettivo del dolo specifico consistente nella finalità di ottenere indebitamente il beneficio suggerisce di restringere l'ambito applicativo della fattispecie ai soli casi in cui il soggetto attivo del reato agisca per ottenere un sussidio di cui non abbia in concreto diritto (o abbia diritto in misura inferiore rispetto a quanto ottenuto in conseguenza del mendacio). A ciò si aggiunge un argomento letterale , costituito dal disposto dell'art. 7, comma 2, del d.l. n. 4/2019 , che sanziona l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di «altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio». In dottrina si è osservato che proprio l'endiadi “dovute e rilevanti” suggerisce una limitazione dei confini applicativi della fattispecie considerata ai soli dati che abbiano un'effettiva incidenza sull'ammontare del reddito di cittadinanza o sulla prosecuzione della sua erogazione. Si deve poi rilevare come l'interpretazione più estensiva, che fa rientrare nell'ambito applicativo della fattispecie anche le ipotesi di c.d. falso innocuo, avrebbe posto alcune aporie di sistema in relazione ai principi di ragionevolezza-eguaglianza – poiché verrebbero parificate sul piano sanzionatorio le condotte di falso commesse per ottenere una provvista pubblica di cui non si avrebbe diritto e condotte ai confini dell'inoffensività, ovvero le false dichiarazioni per ottenere un beneficio comunque dovuto – e di sussidiarietà – poiché verrebbe inflitta la più grave delle sanzioni (quella penale) ad un soggetto effettivamente indigente, per il quale la misura è stata prevista e di cui ha in concreto diritto nella misura percepita. Infine, si evidenzia come la soluzione adottata dalle sezioni unite ha il pregio, di carattere pratico, di evitare la proliferare di procedimenti penali nei confronti di soggetti che, in concreto, avevano diritto a ottenere il beneficio (nella misura percepita); procedimenti che, verosimilmente, si concluderebbero con una pronuncia assolutoria: infatti, nel caso considerato, sarebbe molto arduo fornire, in concreto, la prova del dolo specifico richiesto dalla norma , poiché si dovrebbe provare il perseguimento da parte del percettore del RDC della finalità di ottenere indebitamente il beneficio economico, a fronte del mancato conseguimento di alcun vantaggio indebito . Riferimenti P. Brambilla, La rilevanza penale delle false dichiarazioni nella richiesta per l'ottenimento del reddito di cittadinanza: l'ordinanza che rimette la questione alle Sezioni unite, in sistemapenale.it; M. Carani, Una prima lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, in Cassazione Penale, 2021, 1297 ss.; A. Cisterna, La Cassazione punisce l'omessa comunicazione della sopravvenuta custodia in carcere del figlio del percettore del reddito di cittadinanza, in www.llpenalista.it; A. De Lia, “Ossi di seppia?”. Appunti sul principio di offensività, in Archivio Penale, 2, 2019. |