Prevale l’attribuzione legale del domicilio all’imputato detenuto rispetto all’obbligo di elezione di domicilio
19 Ottobre 2023
Massima Nell'eventualità in cui l'imputato sia detenuto – e tale status si evinca in qualche modo dall'atto di impugnazione - al momento della proposizione dell'impugnazione, sia per il titolo di reato per cui si è proceduto che per altro titolo, non opera il portato dell'art. 581 comma 1-ter c.p.p., introdotto dalla cd. riforma Cartabia, che richiede che l'atto di impugnazione contenga sempre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione o una elezione di domicilio della parte che l'ha proposto, poiché tale disposizione non può dirsi speciale rispetto all'obbligo di procedere alla notificazione degli atti a mani proprie dell'imputato detenuto, generalmente previsto dall'art. 156 c.p.p. Il caso Il Tribunale di primo grado riteneva l'imputato, detenuto per il delitto per cui si era proceduto, penalmente responsabile e lo condannava alla pena ritenuta equa. La Corte d'appello – con ordinanza pronunziata nel contraddittorio tra le parti - dichiarava inammissibile l'appello per violazione di quanto disposto dall'art. 581 comma 1-ter c.p.p., così come riformulato dall'art. 33 comma 1 lett. d) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150; segnatamente per la mancanza, nel ricorso in appello, di una dichiarazione o di una elezione di domicilio ad opera dell'appellante. Impugnando per cassazione l'ordinanza di inammissibilità, l'imputato denunziava un error in procedendo della Corte territoriale, nella misura in cui un'eventuale dichiarazione o elezione di domicilio sarebbero state superflue, visto lo status di detenuto dell'appellante che si evinceva ictu oculi dall'atto di impugnazione, e l'occorrenza che la notificazione del decreto di citazione in appello avvenga sempre a mani proprie e nel domicilio legale del detenuto, ovvero presso il luogo di esecuzione della detenzione. La questione La questione involge il tema dell'antinomia tra il domicilio legale contemplato, per tutte le notificazioni agli imputati detenuti, a qualsiasi titolo, dall'art. 156, commi 1 e 4 c.p.p., e l'onere di elezione o di dichiarazione di domicilio previsto, per gli imputati liberi, dall'art. 581 comma 1-ter c.p.p., ai fini della notificazione del decreto di citazione in appello. Può essere considerata inammissibile un'impugnazione interposta da un detenuto – quando tale status si evinca dall'atto di impugnazione – che sia priva di alcuna dichiarazione o elezione di domicilio, oppure tale iniziativa è preclusa dall'obbligo di notificazione degli atti (quindi anche del decreto di citazione in appello) a mani proprie e presso il luogo di detenzione previsto per tutti gli imputati detenuti dall'art. 156 c.p.p.? Si può cioè ritenere che l'art. 581 comma 1-ter c.p.p., così come riformulato dall'art. 22 d.lgs. n. 150/2022, abbia natura di lex specialis rispetto all'art. 156 c.p.p.? Sul piano sovranazionale, occorre accertare se una declaratoria di inammissibilità violi o meno l'art. 6 CEDU, che garantisce il pieno rispetto del diritto di accesso effettivo ad ogni decisione che involga il merito di un'accusa penale. Le soluzioni giuridiche Secondo un recentissimo arresto della Suprema Corte di cassazione «la nuova disposizione di cui all'art. 581, comma 1-ter c.p.p. (introdotta dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 150/2022, ed in vigore per le impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del citato d.lgs.) - che richiede, a pena d'inammissibilità, il deposito, unitamente all'atto d'impugnazione, della dichiarazione od elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio - non opera anche nel caso in cui l'imputato impugnante sia detenuto» (Cass. pen., sez. II, n. 3335/2023, Quattrocchi). La Corte d'appello è stata invece di contrario avviso, avendo opinato l'inammissibilità di un ricorso in appello privo dell'elezione di domicilio prevista dall'art. 581 comma 1-ter c.p.p., pur considerando come lo status di detenuto venisse all'evenienza del Giudice di seconde cure dalla sola lettura dell'atto di impugnazione. La Suprema Corte di cassazione ha posto a base del proprio argomentare interpretativo il principio – già espresso tre anni orsono dal massimo consesso nomofilattico – in forza del quale le notificazioni all'imputato detenuto vanno sempre eseguite, mediante consegna di copia alla persona, nel luogo di detenzione, anche in presenza di una dichiarazione o di una elezione di domicilio, dovendo tale disciplina trovare applicazione anche nei confronti dell'imputato detenuto in luogo diverso da un istituto penitenziario e, qualora lo stato di detenzione risulti dagli atti, anche nei confronti del detenuto “per altra causa” (Cass. pen., sez. un, n. 12778/2020, Rv. 278869 – 01). La risposta allo specifico quesito sottoposto ad esame è stata pertanto la seguente: deve essere ribadito che la nuova disposizione di cui all'art. 581, comma 1-ter c.p.p. (introdotta dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 150/2022, ed in vigore per le impugnazioni proposte avverso sentenze pronunziate in data successiva a quella di entrata in vigore del citato d.lgs.) – che richiede, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente all'atto di impugnazione, della dichiarazione od elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio – non opera anche nel caso in cui l'imputato impugnante sia detenuto. Tale soluzione chiarificatrice è stata fornita in forza di un'interpretazione sia teleologica che sistematica della disposizione in esame. In particolare, il ragionamento della Suprema Corte trae origine dall'evenienza che il legislatore del 2022 della cd. riforma Cartabia, nell'introdurre – a pena di inammissibilità dell'impugnazione – l'obbligo per la parte privata di eleggere o di dichiarare il proprio domicilio nell'atto di impugnazione, abbia inteso voler evitare che, per notificare il decreto di citazione in appello previsto dall'art. 601 comma 3 c.p.p., si rallenti la celebrazione del giudizio di impugnazione. Partendo da tale premessa esegetica, la Suprema Corte associa, in combinato disposto, la disposizione in esame agli art. 161 comma 1 c.p.p. e art. 156 comma 1 c.p.p., che in tal modo contribuiscono a disegnare un sistema normativo in forza del quale il legislatore ha inteso circondare lo status detentionis di particolare cautela e garanzie, volte a consentire sempre un'effettiva partecipazione alle proprie sorti processuali per un imputato privo della libertà personale. In altri termini, laddove risulti dagli atti processuali che l'impugnante sia detenuto, deve trovare sempre applicazione la notificazione dell'impugnazione presso il luogo ove è in esecuzione la detenzione. Ciò in quanto – essendo certa la reperibilità dell'imputato - le modalità procedimentali di ricerca e di notificazione godono di maggiore celerità e sono più agevoli, consentendogli, attraverso l'obbligo di notifica a mani proprie della citazione in appello, un esercizio maggiormente consapevole ed effettivo del diritto di difesa costituzionalmente garantito, tanto più imprescindibile quanto più pregnante è la restrizione della libertà personale. Un sistema quello delineato dal Legislatore del 2022 attraverso cui è ridotta l'eventualità che il domiciliatario, pur dotato di un rapporto fiduciario con l'imputato, rischi di non comunicargli esaustivamente o tempestivamente atti che lo riguardano, in tal modo determinando il rischio di un esercizio inadeguato o tardivo del diritto di difesa. Di conseguenza, l'osservanza dell'onere di elezione di domicilio, nell'atto di impugnazione, per un imputato detenuto resterebbe – secondo la Suprema Corte di Cassazione - un adempimento meramente formale, nella misura in cui l'appellante e il ricorrente privi di libertà personale hanno comunque e in ogni modo un diritto soggettivo processuale alla notifica a mani proprie e nel luogo di detenzione, posto a garanzia di un esercizio pieno ed effettivo del diritto costituzionale di difesa. Al contempo, la Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha affrontato un'altra questione, definendola sulla base di corollari del principio affermato. La quaestio concerne l'osservanza effettiva - anche nel giudizio di appello - dell'art. 6 CEDU che impone il rispetto di un diritto di accesso pieno ed effettivo alla funzione pubblica della giustizia quando essa concerna il merito di una qualsiasi accusa penale. Ebbene, secondo la sentenza in esame, se l'art. 581 comma 1-ter c.p.p. trovasse applicazione anche per gli imputati detenuti, esso si troverebbe in contrasto con l'interpretazione dell'art. 6 CEDU appena citato fornita da costante Giurisprudenza sovranazionale, secondo cui i Giudici nazionali devono evitare un'interpretazione eccessivamente formale delle norme processuali, e tendere a non pregiudicare l'equità del procedimento e a consentire l'accesso ad una difesa nel merito delle accuse sfociate in un procedimento penale. Osservazioni Dal punto di vista pratico, il filone interpretativo in esame si caratterizza per imporre che le notificazioni all'imputato detenuto vadano sempre eseguite nel luogo di detenzione e mediante consegna di una copia alla persona, anche se trattasi di notificazioni successive alla prima e anche se il destinatario sia detenuto per altra causa. Va posto allora un plauso alla decisione in esame, poiché concilia pregevolmente l'esigenza di celerità di celebrazione dei procedimenti a contenuto impugnatorio con la garanzia di un esercizio pieno ed esaustivo del diritto di difesa e con la tutela delle libertà individuali dell'imputato. Riferimenti Bassi, Parodi, La riforma del sistema penale, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021; Grilli, Le notificazioni penali: notificazioni, comunicazioni, avvisi nel nuovo Codice di procedura penale, Giuffrè, 1990. |