Principio di affidamento e colpa grave
09 Agosto 2023
Massima
In tema di esonero della responsabilità sanitaria, può valere il principio dell'affidamento, che è però valevole in relazione all'attività sanitaria in equipe, ovvero alle ipotesi in cui più soggetti, medici e/o paramedici, svolgono attività di cura del paziente in maniera coordinata, congiuntamente, nello stesso contesto spazio-temporale, ovvero in maniera disgiunta, in contesti temporali diversi, realizzando un fenomeno di successione nel tempo nella posizione di garanzia. Tale principio non può quindi valere quando non si sia in presenza di un'azione in equipe, bensì di interventi distinti e svincolati l'uno dall'altro da parte di più sanitari (nella specie, in cui era stata addebitata una colposa omissione di diagnosi è stato escluso alcun rilievo, nell'apprezzamento della condotta del sanitario imputato, le diagnosi formulate da altri medici che prima di lui erano intervenuti, tra l'altro risalenti ad alcuni giorni prima e in un contesto diverso, giacché la condizioni del paziente erano diverse e non equiparabili). Il caso
La Corte di cassazione, con la sentenza in oggetto, viene chiamata a pronunciarsi in merito ad una contestazione per omicidio colposo mossa nei confronti di due pediatri per aver cagionato la morte di un paziente.
In particolare si addebita agli imputati di aver agito, con condotte colpose indipendenti, per colpa dovuta a imprudenza, negligenza e imperizia, in quanto avevano cagionato la morte del paziente di 10 anni, formulando erroneamente una diagnosi di bronchite, omettendo così di disporre il ricovero al fine di sottoporlo ad ulteriori controlli che avrebbero consentito di accertare la vera causa delle difficoltà di respirazione del paziente (ovvero la stenosi tracheale) ed intervenire tempestivamente per rimuoverla con elevata probabilità di completa guarigione.
In un quadro di severa e diffusa bronchite, tale condotta - secondo la ricostruzione accusatoria - aveva portato alla morte del paziente, avvenuta per arresto cardiocircolatorio in conseguenza della stenosi tracheale iatrogena post-intubazione.
La Corte d'appello aveva confermato la penale responsabilità degli imputati. Questi ultimi avevano pertanto proposto due distinti ricorsi avverso la sentenza, non contestando la ricostruzione delle sentenze di merito in ordine alla causa di morte, bensì articolando doglianze in punto di esigibilità di una condotta differente rispetto a quella tenuta.
La Corte di cassazione ha tuttavia dichiarato inammissibili i suddetti, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonché in solido alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili e liquidate in complessivi euro 6.000,00 oltre ad accessori come per legge. La questione
La questione rimessa alla Corte di cassazione riguarda la valutazione del nesso di causa alla luce del principio di affidamento, in una situazione in cui vi potrebbero essere una pluralità di fattori in grado di incidere sotto il profilo causale attribuibili a condotte poste in essere da soggetti diversi. Le soluzioni giuridiche
La suprema Corte nel dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi, ritiene dimostrata la responsabilità penale di entrambi gli imputati sulla base delle evidenze raccolte nel processo e delle conclusioni della perizia disposta in secondo grado. Proprio sulla base di quest'ultima, la Corte ha ritenuto, quale condotta esigibile da entrambi gli imputati, quella di individuare i sintomi dell'occlusione e programmare, nell'arco di pochi giorni, gli esami diagnostici volti a confermare il sospetto di stenosi. Dall'omissione di tale condotta era causalmente derivata la morte, sopraggiunta in un intervallo di tempo tale per cui avrebbe potuto essere scongiurata. A tal proposito, in tema di colpa professionale medica, è infatti principio ribadito nella giurisprudenza di legittimità che l'errore diagnostico si configuri non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (Cass. pen., sez. IV, 17 febbraio 2022, n. 8464, Masone Serena, Rv 282759; Cass. pen., sez. IV, 14 febbraio 2013, n. 13542, Caracciolo, n. m.; Cass. pen., sez. IV, 28 ottobre 2008, n. 46412, Calò, Rv.242250). I fatti per i quali si è proceduto nei confronti dei due medici, sono stati posti in essere sotto la vigenza del d.l. n. 158/2012 (cd. Decreto Balduzzi) convertito nella l. n. 189 dell'8 gennaio 2012, a norma del quale l'esercente della professione sanitaria non è punito se, nonostante abbia rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, versi in colpa lieve. Tale disciplina, come noto, è stata sostituita dalla l. n. 24 dell'8 marzo 2017 (cd legge Gelli Bianco) che ha introdotto l'articolo 590-sexies c.p. a norma del quale: «qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, l'abrogato art. 3 comma 1 d.l. n. 158/2012 si configura come norma più favorevole rispetto all'art. 590-sexies c.p. sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza, sia in caso determinato da colpa lieve per imperizia intervenuta nella fase della scelta delle linee guida adeguate al caso concreto. Pur facendo applicazione della normativa più favorevole, la corte d'Appello ha tuttavia correttamente indicato le ragioni per le quali gli imputati versassero in colpa non lieve, tanto sotto il profilo dell'imperizia (alla luce della violazione delle buone pratiche mediche, per il notevole scollamento tra la condotta tenuta e quella esigibile) tanto quanto sotto il profilo del grado molto elevato di negligenza nell'assunzione del caso clinico. Il giudizio sulla gradazione della colpa è stato formulato, così come imposto dalla giurisprudenza di legittimità, tenendo conto delle specifiche condizioni del soggetto agente, del suo grado di specializzazione, della situazione specifica in cui si è trovato ad operare e della natura della regola cautelare violata (Cass. pen., sez. IV, 11 febbraio 2020, n. 15258, Agnello, Rv. 279242). I giudici di merito hanno dunque valutato la posizione dell'imputata e i profili di c.d. personalizzazione del rimprovero, concludendo che si fosse verificata nel caso di specie quella marcata divaricazione rispetto all'agire appropriato che vale a connotare la colpa come grave. A tal proposito, i giudici di Appello hanno pertanto ancorato il giudizio controfattuale alle conclusioni dei periti, evidenziando che gli esami volti a confermare il doveroso sospetto diagnostico avrebbero potuto essere effettuati in tempi brevi (nell'arco di una giornata), e che l'intervento chirurgico di rimozione della stenosi in un centro pediatrico con esperienza nel settore (presenti in varie città italiane), sarebbe stato praticabile (tenuto conto delle condizioni del paziente), e altresì salvifico con alto grado di razionalità logica, sicché poteva dirsi che la morte, intervenuta a distanza di cinque giorni rispetto alla condotta incriminata, sarebbe stata evitata dal comportamento alternativo corretto. In relazione al motivo inerente la mancata considerazione del ragionevolmente affidamento svolto dagli imputati sul corretto operato dei medici che nei giorni precedenti avevano visitato il bambino e formulato la diagnosi di bronchite e dell'assenza di ragioni per le quali egli si sarebbero dovuti discostare da tale diagnosi, si osserva che il principio dell'affidamento è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla attività sanitaria in equipe, ovvero alle ipotesi in cui più soggetti, medici e/o paramedici, svolgono attività di cura del paziente in maniera coordinata e congiuntamente nello stesso contesto spazio-temporale, ovvero in maniera disgiunta, in contesti temporali diversi, realizzando un fenomeno di successione nel tempo nella posizione di garanzia. Di regola, la plurisoggettività si accompagna ad una suddivisione di compiti, essendo ciascun operante specializzato in una determinata branca medica che deve trovare sbocco nella cura del paziente. Si è quindi sostenuto che, nell'ambito del gruppo, ciascun medico è responsabile per l'errore proprio, avente genesi nella violazione delle regole cautelari specificamente previste per il proprio settore di specializzazione, non potendo muoversi allo stesso alcun rimprovero per non aver previsto e/o non aver posto rimedio all'errore altrui causalmente collegato all'esito infausto (Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 27314, Puglisi, Rv. 270189). Tale principio non può quindi valere quando non si sia in presenza di un'azione in equipe, bensì in relazione a interventi distinti e svincolati l'uno dall'altro da parte di più sanitari, come nel caso in esame, in quanto, nell'apprezzamento della condotta del sanitario imputato, le diagnosi formulate da altri medici che prima di lui erano intervenuti, erano non solo risalenti ad alcuni giorni prima, ma addirittura in un contesto diverso, giacché la condizioni del paziente erano differenti e non equiparabili. In conclusione, il percorso argomentativo adottato è coerente con i dati processuali ed esente da censure sul piano strettamente giuridico quanto a individuazione dei profili di colpa e della esigibilità della condotta imposta dalle buone pratiche mediche (per il notevole scollamento tra la condotta tenuta e quella esigibile), altresì correttamente ravvisando un grado molto elevato di negligenza nella assunzione e trattazione del caso clinico. Osservazioni
La Corte nel caso di specie viene chiamata a pronunciarsi su una vicenda peculiare che vede due medici – chirurghi imputati per omicidio colposo di un paziente deceduto a seguito di un arresto circolatorio in conseguenza di una stenosi tracheale iatrogena post-intubazione in un quadro di diffusa e severa bronchite. La Corte d'appello aveva ripercorso la storia clinica del piccolo paziente (affetto sin dalla nascita da un grave cifoscoliosi ad andamento progressivo, ritardo di sviluppo psico motorio e statuo-ponderale, siringomielia e delezione del cromosoma 12 e sottoposto a ripetuti interventi presso il reparto di Ortopedia e traumatologia, l'ultimo dei quali il 20 settembre), e gli accessi del bambino presso strutture sanitarie il 3 ottobre, l'11 ottobre ed il 15 ottobre a causa di difficoltà respiratore (nel corso dei quali era sempre stata confermata la diagnosi di bronchite), precedenti quello che aveva visto coinvolti i due imputati, pervenendo alla conferma della affermazione della responsabilità di questi ultimi, previo espletamento di una perizia medico legale collegiale con cui era stata chiarita la causa della morte ed erano stati individuati profili di colpa nella condotta dei sanitari causalmente collegati all'evento morte. La Corte territoriale ha ritenuto dimostrata la responsabilità penale di entrambi gli imputati sulla base delle evidenze raccolte nel processo e delle conclusioni della perizia disposta in secondo grado. Attraverso la suddetta perizia si era infatti chiarito che:
Per tali ragioni la Corte ha ritenuto condotta esigibile quella di individuare i sintomi dell'occlusione e di programmare, nel più breve arco di tempo possibile, gli esami diagnostici volti ad accertare la vera causa delle difficoltà respiratorie di cui soffriva il paziente, non potendo addurre, quale giustificazione della mancata condotta dovuta, il principio del ragionevole affidamento, da parte degli imputati, sul corretto operato dei medici che nei giorni precedenti avevano visitato il bambino e avevano formulato la diagnosi di bronchite. Nel settore della responsabilità medica è chiaro come, in un'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, la valutazione in merito alle singole condotte e quindi responsabilità non potrà prescindere dal singolo ruolo rivestito. Pertanto, La valutazione in merito alla responsabilità di ciascun soggetto intervenuto dovrà essere effettuata sulla base della singola condotta e dell'incidenza causale dell'evento. In tema di esonero della responsabilità, può valere il principio dell'affidamento solo in relazione alla attività sanitaria in equipe, ovvero alle ipotesi in cui i più soggetti, medici e/o paramedici svolgono attività di cura del paziente in maniera coordinata e congiuntamente nello stesso contesto spazio – temporale, ovvero in maniera disgiunta, in contesti temporali diversi, realizzando un fenomeno di successione nel tempo nella posizione di garanzia. Il concetto di posizione di garanzia si è sviluppato nell'ambito giurisprudenziale a partire dagli anni ‘50, venendo a costituire un principio generale del sistema penale, in grado di offrire nuove prospettive in funzione delle potenzialità di tutela sociale delle norme aventi ad oggetto la salute e l'integrità fisica dei cittadini. Tale concetto trova il proprio fondamento normativo nell'articolo 40 comma 2 c.p. che prevede che «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo». Si tratta di una clausola di equivalenza di parte generale il cui contenuto viene determinato di volta in volta in base alla sua applicazione rispetto alle singole norme di parte speciale. Si viene così a delineare l'ipotesi della causalità omissiva impropria che, quindi, rappresenta una costruzione giuridica che «consente di ricostruire l'imputabilità oggettiva come violazione di un obbligo di agire, di impedire il verificarsi dell'evento (in violazione del cosiddetto obbligo di garanzia); omissione che provoca l'evento di pericolo o di danno (reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione); contrapposti ai reati omissivi nei quali il reato si perfeziona con la mera omissione della condotta dovuta» (Cass. pen., sez. IV, n. 2778/2013). Ciò premesso si rende necessario procedere a un'integrazione dei criteri giuridico-formali, tradizionalmente utilizzati per individuare gli obblighi di garanzia, con dei criteri materiali, legati alla specifica funzione e al ruolo rivestito da ciascun soggetto agente nella sequenza fattuale che ha portato all'evento. Si tratterebbe quindi di individuare il soggetto che, per la sua posizione dovuta al particolare ruolo che riveste e al rapporto con il soggetto passivo, ha la possibilità di intervento, è che più di ogni altro potrebbe, o avrebbe potuto, evitare il verificarsi dell'evento lesivo. In ambito medico sanitario è fondamentale non solo l'individuazione del soggetto che riveste tale posizione di garanzia nei confronti del paziente ma anche di quali siano le conseguenze e i limiti annessi a questa posizione. È pacifico che il medico che prende in cura, a qualsiasi titolo, un soggetto, viene ad assumere nei suoi confronti una posizione di garanzia anche solo in virtù di un contatto sociale (così, ad esempio, la figura del medico del pronto soccorso) (Cass. pen., sez. IV, n. 43476/2017). Più complessa è, invece, la situazione nel caso di interventi di più sanitari nonché dell'eventuale coinvolgimento del personale infermieristico e paramedico. Nel caso di specie, le diagnosi formulate da altri medici intervenuti precedentemente agli imputati, erano risalenti ad alcuni giorni precedenti e in un contesto diverso, giacché le condizioni del paziente erano differenti e certamente non equiparabili. Per tali motivi il principio di affidamento, nel caso in esame, non può valere, in quanto non solo sono stati posti in essere interventi distinti e svincolati l'uno dall'altro (non trovandosi dunque in presenza di un'azione in equipe), ma la situazione in cui versava il paziente nei giorni precedenti non era paragonabile a quella in cui si trovava nel momento in cui veniva sottoposto alla visita da parte dei due imputati, specialisti pediatri, i quali avrebbero dovuto agire secondo le buone pratiche mediche al fine di poter correttamente accertare il quadro clinico in cui versava il piccolo paziente, intervenendo tempestivamente e scongiurando così il decesso. |