Abbreviato: inutilizzabili le dichiarazioni spontanee dell'indagato non inserite in un atto da lui sottoscritto
15 Giugno 2023
Massima
Le dichiarazioni spontanee rilasciate alla polizia giudiziaria dalla persona sottoposta ad indagine devono essere inserite in un verbale da lui debitamente sottoscritto: solo in tal modo, infatti, è possibile verificarne la genuinità e la riferibilità all'effettiva volontà del dichiarante; in caso contrario, non sono utilizzabili nemmeno in sede di giudizio abbreviato. Il caso
Il GUP presso il Tribunale di Palermo, all'esito del giudizio abbreviato, condannava i prevenuti alla pena ritenuta di giustizia avendoli considerati responsabili del reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/90. La sentenza veniva riformata in grado di appello solo in punto di pena, con conferma di tutte le altre statuizioni. Gli imputati proponevano ricorso per cassazione. Uno dei due, in particolare, eccepiva la violazione dell'art. 606, lett. c), c.p.p. in relazione agli artt. 63, 64 e 350 c.p.p., osservando come i giudici di merito avessero erroneamente ritenuto utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria al momento dell'arresto, ma non anche inserite in un verbale da lui sottoscritto: il mancato rispetto di quanto previsto dagli artt. 351 e 357 c.p.p., infatti, ne avrebbe dovuto determinare l'inutilizzabilità anche in sede di giudizio abbreviato. La questione
La questione di cui si è occupata la Corte di cassazione nel provvedimento in commento è la seguente: il giudice dell'abbreviato può prendere in considerazione ai fini della decisione anche le dichiarazioni spontanee rilasciate dall'imputato nel corso delle indagini, riportate nel verbale di arresto e nella comunicazione di polizia giudiziaria, ma non anche da lui sottoscritte? Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella nota sentenza n. 16 del 2000, Tammaro, il giudice deve garantire la legalità del procedimento probatorio anche nel giudizio abbreviato, pur trattandosi di un rito a prova contratta di stampo inquisitorio. Pertanto, mentre non rilevano né l'inutilizzabilità fisiologica della prova (che riguarda i casi di prove assunte secundum legem, ma diverse da quelle acquisite nel dibattimento in base all'art. 526 c.p.p., si pensi ad esempio alle sommarie informazioni testimoniali), né le ipotesi di inutilizzabilità relativa (stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale), va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell'inutilizzabilità cosiddetta patologica, concernente gli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento. Il principio è stato positivizzato dalla legge n. 103/2017 (cd. riforma Orlando) che ha introdotto il comma 6-bis dell'art. 438 c.p.p., a mente del quale «la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell'udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio». Occorre verificare, quindi, se le dichiarazioni spontanee rilasciate dall'indagato nel corso delle indagini preliminari, che non siano conformi a quanto disposto dagli artt. 351 e 357 c.p.p. (come nel caso di cui si discute), possano venire a far parte o meno della piattaforma conoscitiva del giudice del giudizio abbreviato. Le soluzioni giuridiche
In base a quanto stabilito dalla sesta sezione penale della Corte di cassazione con sentenza n. 29941/2022 (citata anche nel ricorso dell'imputato), le dichiarazioni spontanee rilasciate dall'indagato devono trovare confezione formale in un verbale che sia dal medesimo anche sottoscritto, a riprova della sua volontà di renderle liberamente. Non è sufficiente, pertanto, che siano riportate o riassunte nella comunicazione di notizia di reato ovvero nel verbale di arresto non sottoscritto dall'interessato: in tale ipotesi, infatti, devono considerarsi inutilizzabili anche nell'ambito del giudizio abbreviato (sul punto si veda anche Cass. pen., sez. VI, n. 14843/2021, Ferrante). Le dichiarazioni spontanee, ad ogni modo, non devono essere necessariamente inserite in un autonomo verbale, potendo anche essere riportate all'interno di un verbale di perquisizione o di sequestro, sempre purché quest'ultimo venga sottoscritto dall'indagato. Inoltre, secondo un orientamento di legittimità volto a valorizzare l'effettiva e controllabile volontà dell'indagato sentito senza le garanzie (Cass. pen.,sez. IV, n. 2124 del 27.10.2020, Minauro), le sue dichiarazioni posso essere utilizzate nel giudizio abbreviato se emerge con chiarezza che sono state rese senza alcuna coercizione o sollecitazione. La Corte di cassazione nel caso in esame ha comunque respinto il ricorso: ha ritenuto, infatti, immune da vizi motivazionali il percorso argomentativo seguito dai giudici della Corte di appello nella sentenza impugnata, giacché la responsabilità del prevenuto era stata ricostruita prescindendo dalle sue dichiarazioni spontanee (come detto non riportate in un verbale da lui sottoscritto) e basandosi, viceversa, sulla valutazione di una serie di altri elementi emersi a suo carico nel corso delle indagini. Osservazioni
La pronuncia in commento consente di esaminare un tema, quello dell'utilizzabilità nel giudizio abbreviato delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato in assenza del suo difensore, sul quale la giurisprudenza di legittimità ha registrato posizioni oscillanti (per un esame più esaustivo dell'argomento e, in generale, per un'analisi approfondita della casistica degli atti utilizzabili in sede di rito sommario sia consentito rinviare a Degl'Innocenti-De Giorgio, Il giudizio abbreviato, Giuffré Francis Lebefevre, 2023, IV edizione). Le dichiarazioni previste dal settimo comma dell'art. 350 c.p.p., infatti, sono tipicamente annoverate fra i casi di “inutilizzabilità relativa” della prova, quindi non vi è dubbio che possano essere prese in considerazione in sede di giudizio abbreviato (cfr. Cass. pen., sez. V, 15 marzo 2018, n. 32015). Tuttavia, occorre comunque vagliarne la genuinità, allo scopo di verificare che l'indagato, non assistito dal suo difensore nel momento in cui le rilascia, non abbia subito alcun condizionamento da parte dalla polizia giudiziaria. In caso contrario verrebbero violati i principi enucleati nell'art. 63 e 350 c.p.p. e si darebbe luogo, quindi, a una prova contra legem, certamente inutilizzabile ai sensi del comma 6-bis dell'art. 438 c.p.p. Di segno contrario, comunque, Cass. pen., sez. III, 8 gennaio 2020, n. 9354, secondo cui le dichiarazioni liberamente rese alla polizia giudiziaria dall'indagato sottoposto a perquisizione, ai sensi dell'art. 350, comma 7, c.p.p., sono utilizzabili nel giudizio abbreviato anche nel caso in cui egli si rifiuti di sottoscrivere il verbale in cui sono contenute, «non potendosi da ciò solo desumere la loro non spontaneità, ed essendo invece necessario che, a sostegno di tale prospettazione, siano dedotti dalla difesa elementi concreti». Giova rammentare, ad ogni buon conto, le osservazioni svolte da acuta dottrina (Parodi, Geolocalizzazione e tabulati: quale disciplina? in IUS Penale (ius.giuffrefl.it)) a commento della sentenza n. 15836 dell'11.1.2023 della VI sezione penale della Corte di cassazione (che ha affrontato il tema dell'utilizzabilità nel giudizio abbreviato dei dati dei tabulati relativi alla geolocalizzazione): come insegna la Corte costituzionale (in particolare la sentenza n. 34/1973), le attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono fondare atti processuali a carico di chi abbia subito attività costituzionalmente illegittime, e tale principio vale anche nel caso in cui l'imputato, avendo scelto di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato, abbia rinunciato al diritto di difendersi provando. Di conseguenza quando viene in considerazione, come nel caso di specie, un diritto costituzionalmente garantito come il diritto di difesa, occorre tutelare in ogni caso la persona sottoposta ad indagini, soprattutto quando versa in condizioni di particolare vulnerabilità (le dichiarazioni rilasciate “a caldo” al momento dell'arresto, senza assistenza di un legale e interfacciandosi unicamente con la polizia giudiziaria, ne costituiscono un classico esempio). Più in generale, in ordine all'inutilizzabilità disposta dal secondo comma dell'art. 63 c.p.p. in merito alle dichiarazioni rese, come persona informata sui fatti, da soggetto in concreto destinatario di indagini, si veda Cass. pen., sez. II, 29 aprile 2009, n. 34512, secondo cui «l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi sin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentito come indagato è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, pur se è stato disposto il giudizio abbreviato». Secondo Cass. pen., sez. un., 9 ottobre 1996, n. 1282, Campanelli, invece, restano al di fuori della sanzione dell'inutilizzabilità comminata dall'art. 63, comma 2, c.p.p. le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi con quello in ordine al quale esistevano fin dall'inizio indizi a suo carico; rispetto a questi, infatti, «egli si trova in una posizione di estraneità e assume la veste di un testimone; restano escluse altresì dalla sanzione dell'inutilizzabilità, alla stregua della ratio della disposizione, ispirata alla tutela del diritto di difesa, le dichiarazioni favorevoli al soggetto che le ha rese». Se, viceversa, le dichiarazioni spontanee concernono persone coinvolte nel medesimo procedimento o in un procedimento collegato, si ritiene che non possano costituire una prova a loro carico (cfr. Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 2003, n. 25992, Piu), anche se sul punto sono registrati orientamenti difformi. Secondo Cass. pen., sez. I, 23 settembre 2008, n. 40050, infatti, nel giudizio abbreviato possono essere utilizzate nei confronti del coimputato, chiamato in reità o in correità, le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dal soggetto che ancora non ha formalmente assunto la qualità di sottoposto a indagine, e ciò « ;sia perché la richiesta del rito speciale costituisce un'implicita rinuncia al dibattimento e quindi all'esame in contraddittorio della persona che ha rilasciato le dichiarazioni spontanee, sia perché l'art. 350, comma settimo, c.p.p. ne preclude l'utilizzazione nella sola sede dibattimentale ;»; dello stesso tenore Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2010, n. 10643, per la quale le dichiarazioni rese dall'indagato in assenza del difensore, alla cui assistenza l'indagato stesso abbia rinunciato, sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato nei confronti dei coimputati, in quanto qualificabili come dichiarazioni spontanee, sottratte alle regole generali per l'interrogatorio previste dall'art. 64 c.p.p. In ogni caso, devono considerarsi pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni che l'imputato abbia spontaneamente reso, pur in assenza di difensore, dopo aver ricevuto l'avviso di cui all'art. 63, comma 1, c.p.p. ; (cfr. Cass. pen., sez. VI, 19 febbraio 2016, n. 24374). In conclusione, occorre evidenziare come il principio affermato nella sentenza in commento rivesta indubbia importanza nell'elaborazione della strategia difensiva dell'imputato, tanto più alla luce delle modifiche introdotte dalla cd. riforma Cartabia (per un quadro riassuntivo del nuovo panorama normativo in tema di riti alternativi si veda Trinci, Osservazioni sparse sui riti speciali “cartabiani” in IUS Penale (ius.giuffrefl.it)). L'avvocato, infatti, deve saper orientare le sue scelte anche in considerazione dell'utilizzabilità degli atti di indagine: là dove la prova di accusa si basi esclusivamente su prove assunte contra legem, l'opzione del giudizio abbreviato non deve intendersi quale meramente contenitiva, ma finalizzata al contrario ad ottenere l'assoluzione dell'assistito. In presenza di un caso di inutilizzabilità solo fisiologica o relativa della prova, viceversa, può rivelarsi preferibile affrontare il dibattimento, rinunciando al possibile beneficio dello sconto di pena in caso di condanna (e della potenziale ulteriore riduzione in sede esecutiva introdotta dal comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p.), ma tentando di sovvertire nel contraddittorio delle parti l'incidenza negativa di una prova raccolta nel corso delle indagini. |