Caso Cospito: incostituzionale il divieto di prevalenza della lieve entità del fatto sulla recidiva reiterata in relazione al delitto di strage “politica”
05 Giugno 2023
Massima
La pena dell'ergastolo prevista dalla fattispecie di strage “politica” (art. 285 c.p.) non può escludere il bilanciamento con la circostanza della lieve entità del fatto (ex art. 311 c.p.), in deroga al divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata sancito ex art. 69, comma 4, c.p. Alla luce dei fondamentali principi della pena (artt. 3, 25, comma 2 e 27, comma 3, Cost.) deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata (art. 69, comma 4, c.p.) nella parte in cui preclude, in caso di recidiva reiterata, l'ordinario bilanciamento delle circostanze attenuanti del reato che, se ritenute esclusive o prevalenti dal giudice, comportano la sostituzione della pena dell'ergastolo con quella della reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 c.p.).
Il caso
La sentenza in commento è stata originata dal giudizio di legittimità costituzionale sollevato in via incidentale dalla Corte d'Assise d'Appello di Torino, sezione seconda, nella complessa vicenda giudiziaria di Alfredo Cospito, un anarchico insurrezionalista detenuto in carcere dal 14 settembre 2012 e che deve scontare una pena di 30 anni di reclusione per effetto di condanne definitive che l'hanno riconosciuto capo e organizzatore della FAI (Federazione anarchica informale), per diversi reati tra i quali l'associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (ex art. 270-bis c.p.), attentato con finalità terroristiche o di eversione, con esito di lesioni personali (ex art. 280, comma 2, c.p.), istigazione a delinquere (art. 414 c.p.). Durante l'esecuzione della pena, veniva disposta nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere per il delitto di strage “politica” (ex art. 285 c.p.), oggetto di un procedimento pendente davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Torino, in cui Cospito, già recidivo, è coimputato per un altro delitto non colposo (c.d. recidiva reiterata, ex art. 99, comma 4, c.p.), per avere attentato, la notte tra il 2 e il 3 giugno 2006, contro la sicurezza dello Stato mediante il collocamento e la deflagrazione di ordigni presso la scuola allievi Carabinieri di Fossano; fortuitamente, l'attentato non causò morti o feriti, ma solo limitati danni a cose. Quest'ultimo aspetto induceva la Corte torinese procedente a ravvisare l'attenuante della lieve entità del fatto (ex art. 311 c.p.), che, se ritenuta prevalente o equivalente all'aggravante della recidiva reiterata a carico dell'imputato, comporterebbe la sostituzione della pena dell'ergastolo con quella della reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 c.p.); la prevalenza dell'attenuante è però preclusa dal divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, introdotto dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli), nell'art. 69, comma 4, c.p. Per tale ragione la Corte d'Assise d'Appello sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. – come modificato dalla legge ex Cirielli – per violazione di plurimi principi costituzionali della pena, come vedremo in seguito. La suddetta questione veniva sollevata nel giudizio di rinvio conseguente alla sentenza della Corte di cassazione n. 38184/2022 che aveva parzialmente annullato la precedente pronuncia della Corte d'Assise d'Appello di Torino, sezione prima, limitatamente alla qualificazione della fattispecie di reato ascritta a Cospito, da ricondursi non già a strage “comune” (art. 422 c.p.), ma a strage “politica” (art, 285 c.p.). La questione
Secondo il giudice a quo, l'art. 69 comma 4, c.p. (come modificato dalla legge ex Cirielli) contrasterebbe, in primo luogo, con il principio di uguaglianza (ex art. 3 Cost.), che condurrebbe all'irragionevole equiparazione sul piano sanzionatorio – e, nel caso concreto, trattandosi del delitto di strage “politica”, alla condanna all'ergastolo – di fatti di rilievo penale profondamente diversi alla luce della citata attenuante ex art. 311 c.p. In secondo luogo, la disposizione censurata violerebbe il principio di offensività (ex art. 25, comma 2, Cost.), poiché impedisce al giudice di applicare la circostanza attenuante contemplata dall'art. 311 c.p. che ha una funzione di riequilibrio della sanzione in relazione al caso concreto; funzione che sarebbe preclusa dalla perpetuità della pena prevista per il reato di strage “politica” (ex art. 285 c.p.). In terzo luogo, sussisterebbe un contrasto con la funzione rieducatrice della pena (ex art. 27, comma 3, Cost.), perché la pena perpetua non consentirebbe di irrogare una pena proporzionata alla concreta condotta del reo, compromettendo la sua predetta imprescindibile funzione. La rilevanza della questione sollevata dal giudice remittente consiste nel fatto che un'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata (ex art. 99, comma 4, c.p.), comporterebbe che Cospito verrebbe punito con una pena più favorevole di durata compresa tra i 20 e i 24 anni di reclusione, e non già con l'ergastolo. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo richiama numerose declaratorie di parziale illegittimità costituzionale che hanno colpito l'art. 69, comma 4, c.p., tutte accomunate dalla necessità di far aderire la citata disposizione ai predetti principi costituzionali, (v., ad esempio: sentenza n. 251/2012, per fatti di “lieve entità” in materia di stupefacenti; sentenza n. 105/2014, in tema di ricettazione di particolare tenuità; sentenza n. 106/2014, in tema di violenza sessuale di particolare tenuità), e, più di recente, la sentenza n. 143 del 26 maggio 2021, particolarmente significativa, con la quale i giudici della Consulta hanno censurato l'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui precludeva il bilanciamento dell'attenuante di lieve entità del fatto (ex art. 311 c.p.) in relazione alla fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione punito con reclusione da venticinque a trent'anni (ex art. 630 c.p.). Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale, nella sentenza in commento, ricostruisce innanzitutto le soluzioni giuridiche che la consolidata giurisprudenza ha fatto proprie per risolvere alcuni dubbi interpretativi che la legge ex Cirielli aveva posto nel modificare l'aggravante della recidiva rispetto all'originaria disciplina introdotta dal decreto legge 11 aprile 1974 (convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220). In particolare, gli interpreti si chiedevano se l'inasprimento del regime sanzionatorio della recidiva ex art. 99 c.p. (semplice, aggravata e reiterata), non comportasse altresì la sua obbligatoria applicazione nella forma reiterata (art. 99, comma4 c.p.); tali dubbi venivano successivamente fugati dalla giurisprudenza costituzionale nel senso della non obbligatorietà della recidiva reiterata, neppure nella forma reiterata e specifica (art. 99, comma 5, c.p.). Fatta questa preliminare osservazione, la Corte evidenzia che è rimasto però operante un particolare meccanismo che connota la recidiva reiterata (ex art. 99, comma 4 c.p.), in virtù del quale è vietato far prevalere le attenuanti sulla recidiva reiterata nel giudizio di bilanciamento (ex art. 69, comma 4, c.p.). Un simile meccanismo è previsto dall'ordinamento penale per una serie di circostanze aggravanti, cosiddette “privilegiate”, sottratte alla disciplina ordinaria del bilanciamento di circostanze (come ad esempio, il divieto di bilanciamento previsto per le aggravati della finalità mafiosa ex art. 416-bis.1c.p.; l'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento democratico ex art. 270-bis.1 c.p.), e si giustifica quando il giudice, in via preliminare e discrezionale, ritiene che debba in concreto applicare l'aumento di pena per tale circostanza aggravante. Nel caso oggetto del giudizio a quo, osserva tuttavia la Corte, non è più configurabile una preliminare e discrezionale valutazione sull'aumento di pena, perché, dopo la pronuncia di annullamento con rinvio della Corte di cassazione n. 38184/2022, sono coperti dal giudicato sia la qualificazione giuridica dei reati contestati (e innanzitutto quello, più grave, di cui all'art. 285 c.p.), sia il giudizio di penale responsabilità, in particolare, dell'imputato, sia la sua condizione di recidivo reiterato ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p. La riqualificazione del reato da parte della Corte di cassazione – strage “politica” ex art. 285 c.p. (punita con l'ergastolo) e non già strage “comune” ex art. 422 c.p. senza uccisione di persone (punita con la reclusione non inferiore a quindici anni) – comporta, quindi, il necessario dispiegarsi dell'automatismo recato dalla disposizione censurata: anche nel concorso di circostanze attenuanti il giudice non può che irrogare la pena edittale fissa dell'ergastolo. La “fissità”, ma anche “l'unicità” e “indefettibilità” della pena perpetua (ex art. 285 c.p.), proprio a causa del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, comporta un effetto di “sterilizzazione” di qualsiasi diminuente dal bilanciamento delle circostanze, assumendo le sembianze di una pena “senza speranza”; scarso rilievo assume il fatto che l'ordinamento preveda, durante l'esecuzione della pena, il beneficio della liberazione condizionale al condannato all'ergastolo che abbia scontato almeno ventisei anni di reclusione (art. 176 c.p.), considerato lo squilibrio esistente tra la pena perpetua e qualsiasi altra pena temporanea conseguente ad un giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato. Tutto ciò comporta, in conclusione, l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui preclude l'ordinario bilanciamento delle circostanze attenuanti del reato che, se ritenute esclusive o prevalenti dal giudice, comportano la sostituzione della pena dell'ergastolo con quella della reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 c.p.). Un simile meccanismo viola i principi costituzionali che presidiano la commisurazione della pena, ossia i principi di uguaglianza (art. 3 Cost), di offensività della condotta del reo (art. 25, comma 2, Cost.) e della proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3, Cost.). Osservazioni
In via preliminare, occorre osservare che la C. cost., ogniqualvolta sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la censurata disposizione nel suo complesso, le ha dichiarate inammissibili (v. ad esempio, sentenza 14 giugno 2007, n. 192), mentre non ha esitato ad accoglierle – con la tecnica dell'accoglimento parziale – quando investivano il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata di singole circostanze attenuanti (Marinucci-Dolcini). Questo “panorama” giurisprudenziale è chiaro al giudice a quo che, nell'ordinanza di remissione, non censura l'intera disposizione (ex art. 69, comma 4, c.p.), ma ne rileva le criticità, sul piano della rilevanza e non manifesta infondatezza, con riferimento al divieto di prevalenza dell'attenuante del fatto di lieve entità (ex art. 311 c.p.). Ciò premesso, la Corte costituzionale, con la sentenza in commento, affronta la complessa problematica che verte sul piano della commisurazione della pena, cercando di trovare un possibile bilanciamento tra la “fissità” e “indefettibilità” della pena perpetua contemplata per la fattispecie di strage “politica” (ex art. 285 c.p.), che rischierebbe di essere applicata all'imputato nel giudizio a quo, per effetto del divieto di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante della recidiva reiterata(ex art. 69, comma 4, c.p.) e i principi costituzionali della pena (artt. 3, 25, comma 2 e 27, comma 3, Cost.) che devono ispirare la sua commisurazione. Per effetto del divieto di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante della recidiva reiterata(exart. 69, comma 4, c.p.), al giudice a quo è precluso, una volta ritenuta prevalente o equivalente l'attenuante della lieve entità del fatto (ex art. 311 c.p.) sull'aggravante della recidiva reiterata a carico dell'imputato, di sostituire la pena perpetua “fissa” e “indefettibile” con quella di reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 c.p.). La Corte ritiene che l'unico modo per evitare all'imputato un trattamento sanzionatorio in peius è quello di ammettere la possibilità di un bilanciamento della suddetta aggravante con l'attenuante obbligatoria, di natura oggettiva, del fatto di lieve entità (ex art. 311 c.p.), che opererebbe un “riequilibrio” nella commisurazione della pena, al fine di garantire la “speranza” all'imputato che la pena non diventi “senza fine”. Questa “speranza” si traduce in una pena che non sia ingiustificatamente diversa in peius rispetto ad altri condannati e, nel contempo, proporzionata al grado di (lieve) offensività del fatto, per non essere percepita in antitesi alla fondamentale funzione rieducatrice della pena sancita dalla Carta fondamentale. Per tale ragione, si comprende perché il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata non possa costituire un ostacolo alla valutazione discrezionale del giudice nell'ordinario bilanciamento di circostanze che costituisce uno degli “assi portanti” del sistema penale. Ne discende, in conclusione, che l'unico strumento per “contemperare” la salvezza della disposizione censurata dal giudice a quo e le esigenze di commisurazione della pena ispirate ai predetti principi costituzionali sia la declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. Riferimenti
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