La revisione nel processo de societate

Ciro Santoriello
01 Giugno 2023

Per la Suprema Corte occorre fare i conti con la previsione dell'art. 8 del d.lgs. 231/2001 ed il principio dell'autonomia dell'illecito dell'ente.
Massima

In caso di revisione della sentenza avente ad oggetto la responsabilità dell'ente per contrasto di giudicato – art. 630 comma 1 lett. a c.p.p. – ove in separato giudizio si sia pervenuti alla assoluzione della persona fisica per il reato presupposto, è sempre necessario verificare se la ricorrenza del fatto illecito sia stata accertata, discendendo la inconciliabilità del giudicato solo dalla negazione del fatto storico e non anche dalla mancata individuazione del suo autore. Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 8 d.lgs. 231/2001, la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato.

Il caso

La Corte di appello di Campobasso dichiarava inammissibile l'istanza di revisione, proposta ai sensi degli artt. 630, 633 c.p.p. e 73 d.lgs. 231/01, di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa nei confronti di una società. L'istanza veniva proposta dalla persona giuridica per la risoluzione del conflitto, ex art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p., tra la predetta sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti dell'ente e la successiva sentenza pronunciata nei confronti degli imputati persone fisiche, i quali erano mandati assolti dal reato di cui all'art. 590, comma 3, c.p. per insussistenza del fatto.

La Corte territoriale ha rigettato l'istanza, osservando la mancata ricorrenza dei presupposti applicativi dell'istituto della revisione. In proposito ha richiamato il consolidato principio stabilito in sede di legittimità, in base al quale, in caso di contrasto tra giudicati, è possibile la revisione soltanto ove vi sia inconciliabilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle due sentenze, negando la sussistenza del requisito.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa lamentava la circostanza che l'orientamento citato nella ordinanza è inconferente rispetto al caso di specie poiché riferito ad ipotesi di conflitto di giudicati risultanti da sentenze pronunciate nei confronti di persone fisiche. Con riferimento alle ipotesi di revisione di sentenze pronunciate nei confronti dell'ente, invece, dovrebbe a dire della difesa ritenersi ammissibile la richiesta di revisione della sentenza di patteggiamento a carico dell'ente collettivo a fronte di una pronuncia irrevocabile del giudice penale che escluda la sussistenza del reato presupposto, posto che l'addebito all'ente collettivo andrebbe sicuramente escluso nel caso in cui la persona fisica autrice dell'illecito penale sia stata assolta "perché il fatto non sussiste", mancando in tal caso il presupposto del regime di responsabilità disciplinato dal d.lgs. 231/2001.

In sostanza, la giurisprudenza richiamata dai giudici di merito non rileverebbe con riferimento alla disciplina in tema di responsabilità da reato dell'ente collettivo, il cui accertamento si fonda su un modello di imputazione che, seppur mutuato da quello penalistico, è peculiare, prevedendo l'affermazione di responsabilità solo in caso di ricorrenza del presupposto della commissione di un fatto che costituisce reato. Nel caso di specie, con la sentenza di assoluzione dei due imputati-persone fisiche - rispettivamente delegato dal datore di lavoro alla sicurezza e custode dello stabilimento - il Tribunale aveva accertato che il reato di lesioni colpose - che costituiva in questo caso il c.d. reato presupposto della responsabilità della società - non sussiste e quindi doveva ritenersi insussistente anche l'illecito dell'ente, tipizzato, come detto, dalla legge proprio sulla commissione di un reato presupposto da parte di un soggetto funzionalmente legato all'ente.

L'assoluzione delle persone fisiche con la formula "perché il fatto non sussiste" dunque escluderebbe l'accertamento di quegli elementi oggettivi che dovrebbero caratterizzare il reato-presupposto. Si tratta, infatti, di una formula che statuisce l'assenza del reato-presupposto contestato ed in mancanza del reato presupposto, pertanto, nessuna responsabilità può essere addebitata all'ente.

La questione

L'istituto della revisione, nell'ambito del processo de societate, è disciplinato dall'art. 73 d.lgs. n. 231 del 2001, il quale, richiamando l'art. 630 c.p.p., prevede la possibilità che venga richiesta la revisione del processo allorché «fatti stabiliti a fondamento della sentenza e del decreto penale di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza penale di condanna». Nonostante la norma parli di “sentenza” si ritiene che l'istituto della revisione possa operare anche in caso di pronuncia del decreto penale di condanna: Gallucci, Le impugnazioni, in AA.VV. (a cura di Lattanzi), Responsabilità da reato degli enti, II, Torino 2022, 331; Belluta, Le impugnazioni, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, 385).

Secondo la dottrina, in sede di processo verso gli enti, l'impugnazione straordinaria sembra essere finalizzata esclusivamente alla risoluzione dei contrasti prodotti dalla coesistenza di sentenze pronunciate nei confronti di soggetti diversi e non solo del medesimo soggetto, diversamente nel codice di procedura penale (Gaito, La procedura per accertare la responsabilità degli enti, in AA.VV., Manuale di procedura penale, Bologna 2008, 674).

Non a caso, ai sensi dell'art. 72 d.lgs. n. 231/2001, le impugnazioni formulate dall'imputato e dall'ente si estendono reciprocamente anche alla parte non proponente, fatta eccezione per quelle fondate su motivi esclusivamente personali – si pensi, ad esempio, all'ammontare della pena, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nei confronti dell'imputato o all'impugnazione dell'ente in cui ci si dolga dell'erronea imputazione del reato ecc. Affinché operi l'effetto estensivo è comunque necessario che l'altra parte non abbia presentato impugnazione o che la stessa non sia stata dichiarata inammissibile; parimenti non si produrrà alcun effetto estensivo nel caso in cui sia stata proposta impugnazione e questa sia stata decisa nel merito con passaggio in giudicato della pronuncia. Si ricorda, inoltre, che l'eventuale effetto estensivo dell'impugnazione proposta da uno dei coimputati non può dar luogo a sospensione dell'esecuzione a carico degli altri coimputati non impugnanti in relazione alla medesima sentenza passata in giudicato: il principio opera anche con riferimento al procedimento de quo laddove l'impugnazione – in caso di processo simultaneo – sia stata proposta dal solo imputato persona fisica e quale che sia la sanzione applicata alla persona giuridica.

Quanto all'art. 8 d.lgs. n. 231/2001, tale disposizione, per quanto rileva in questa sede, dispone che “la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato” chiarendo, come si legge nella relazione governativa, «in modo inequivocabile come quello dell'ente sia un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato. Secondo il legislatore, dunque, ancorché il reato costituisca l'elemento qualificante e legittimante il riconoscimento della responsabilità dell'ente, le vicende che determinano la concreta punibilità del delitto individuale, a partire dalla stessa individuazione e imputabilità dell'autore materiale, non devono riguardare la persona giuridica, in quanto relative a situazioni soggettive della persona fisica (si pensi alla mancanza della colpevolezza, al difetto di imputabilità o alla morte), all'adozione di strategie processuali (ad esempio il ricorso al patteggiamento o all'oblazione) o alle altre eventuali vicende estintive (quali la sospensione condizionale della pena, il perdono giudiziale o la prescrizione).

Sulla base di questa impostazione, la fonte di responsabilità della società non coincide con l'adozione della condotta criminosa da parte del singolo ma la ricomprende giacché il delitto è solo uno degli elementi che formano l'illecito amministrativo da reato, che a sua volta costituisce una fattispecie complessa, in cui il crimine rappresenta il presupposto fondamentale, accanto alla qualifica della persona fisica ed alla sussistenza di un interesse o di un vantaggio del o per l'ente. Da ciò, per quanto di interesse in questa sede, la scelta coerente di richiedere, per la punibilità della persona giuridica, l'accertamento circa la commissione di un reato nell'interesse o a vantaggio di quest'ultima ma non la compiuta identificazione del soggetto responsabile.

D'altro canto, è indiscutibile che alcune tipologie di illeciti, denominati genericamente come “reati di impresa”, pur se realizzati sotto il profilo dell'assunzione della condotta penalmente rilevante da una persona fisica, sono comunque intesi ad arrecare un vantaggio ad enti collettivi, all'interno dei quali il singolo responsabile dell'illecito si trova ad agire; di conseguenza, considerato che la commissione di questi delitti non appare solitamente frutto di una scelta autonoma ed individuale del soggetto-persona fisica, ma risulta essere strumentale al raggiungimento di un obiettivo criminoso della societas, un'efficace politica criminale impone che accanto al reo venga in qualche modo sanzionato anche l'ente a vantaggio o nell'interesse del quale il primo delinque o delle cui strutture egli si avvale nel suo comportamento criminale. Al contempo, tuttavia, al raggiungimento di questo obiettivo il più delle volte può risultare d'ostacolo la circostanza che — proprio perché il crimine matura all'interno di un ente collettivo, sulla base di deliberazioni e scelte ripartite fra più soggetti in ragione della suddivisione di competenze decisionali — l'individuazione della persona fisica effettivamente responsabile dell'illecito delittuoso presupposto della responsabilità aziendale non possa essere raggiunta — specie se si deve garantire il rispetto dei giustamente severi standard probatori del processo penale. Proprio per evitare questa conclusione, si è introdotto il principio della generale autonomia della responsabilità della società rispetto alle sorti della persona fisica che consente — per quanto di interesse in questa sede — di sanzionare l'ente anche nell'ipotesi in cui rimanga ignoto l'autore del reato presupposto.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

La ragione della decisione è rinvenibile tanto in considerazioni relative alle specificità del caso di specie che in ragione della disciplina in tema di responsabilità degli enti collettivi.

Non è ritenuta erronea la premessa di partenza del ricorso della difesa, secondo cui il contrasto di giudicati, cui si riferisce l'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. sussiste anche tra l'accertamento contenuto in una sentenza di patteggiamento e quello contenuto in una sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario. In effetti, l'art. 629 c.p.p., come modificato dalla I. 12 giugno 2003, n. 134, prevede espressamente la revisione "delle sentenze emesse ai sensi dell'art. 444, comma 2" (Cass. pen., sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2635, in Mass. Uff., n. 249621). Parimenti condivisibile risulta la conclusione secondo cui la procedura di revisione, anche nell'ipotesi in parola, possa essere attivata nell'ambito della responsabilità amministrativa degli enti, dovendosi estendere agli enti tutte le garanzie previste per il condannato in quanto compatibili, come previsto dall'art. 35 d.lgs. 231 del 2001.

Tuttavia, la Cassazione, respingendo le censure difensive, ricorda il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il giudizio di revisione non può essere fondato sulla incompatibilità di due giudicati, a meno che non vi sia prova che tale incompatibilità riguardi il fatto storico. In tema di revisione, infatti, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630, comma primo, lett. a), c.p.p., deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze, non alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni; ne consegue che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto e, pertanto, non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti (Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2017, n. 8419), non essendo quindi ammessa la revisione della sentenza di condanna fondata sugli stessi dai probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione, in quando la revisione giova ad emendare l'errore sulla ricostruzione del fatto e non sulla valutazione del fatto (Cass. pen., sez. VI, 5 gennaio 2017, n. 488). Posto ciò, viene fatto osservare come nel caso in esame la "inconciliabilità" fra le pronunce non si riferisca ai "fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna” in quanto il fatto storico è rappresentata dalla esistenza di un infortunio occorso sul luogo di lavoro a seguito della caduta di un portone scorrevole, non correttamente assicurato alle guide, che aveva cagionato lesioni gravi al dipendente, ma si è escluso che i due imputati rivestissero una posizione di garanzia, e l'assoluzione dei due indagati (delegato dal datore di lavoro alla sicurezza e custode dello stabilimento) è giustificata sulla base del fatto che costoro non rivestivano una posizione di garanzia, quanto meno rispetto all'accaduto. In sostanza, nonostante il dispositivo della decisione di merito possa far pensare altrimenti, il giudice di prime cure non ha negato l'esistenza delle lesioni derivate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro ma ha solo escluso che la stessa fosse ascrivibile a responsabilità degli imputati.

Alla luce di questa precisazione, diventa rilevante la consolidata giurisprudenza secondo cui «in tema di responsabilità da reato degli enti ex d.lgs. 231/2001, all'assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest'ultimo non consegua automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente per la sua commissione, poiché tale responsabilità, ai sensi dell'art. 8 d.lgs. n. 231/2001, deve essere affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato» (Cass. pen., sez. V, 4 aprile 2013, n. 20060). Questo principio deve, a dire della Cassazione, operare anche nel caso sottoposto al suo giacché l'accadimento dell'infortunio sul lavoro è stato accertato nella pronuncia assolutoria, rimanendo non individuate le figure dei responsabili dell'accaduto e di conseguenza, sebbene la responsabilità dell'ente disegnata dal d.lgs. 231/01, dipenda dal reato della persona fisica, funzionalmente legata all'ente, non si può addivenire alla revoca della sentenza di patteggiamento, perché difettano i presupposti dell'istituto.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione in commento presenta profili di interesse, più che in relazione al tema della revisione nell'ambito del processo alle società, con riferimento alla possibile applicazione della menzionata previsione di cui all'art. 8 d.lgs. n. 231/2001.

Secondo i primi commentatori di questa norma, la stessa sarebbe risultata priva di effettivi spazi di operatività e ciò in quanto — pur potendosi in astratto sostenere la plausibilità di una condanna dell'ente in mancanza della individuazione della persona fisica responsabile dell'illecito commesso nell'interesse della società — nella prassi una conclusione del genere non avrebbe mai potuto trovare realizzazione in considerazione delle modalità con cui il legislatore ha definito la responsabilità da reato dell'ente collettivo (Paliero, La responsabilità penale della persona giuridica: profili strutturali e sistematici, in De Francesco (a cura di), La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, Torino, 2004, 23).

Una prima ragione per cui non sarebbe configurabile la condanna di una società in assenza della previa dichiarazione di colpevolezza di una persona fisica è determinata dal fatto che è circostanza decisiva per indirizzare le modalità di svolgimento del successivo giudizio nei confronti della persona giuridica, giacché, a seconda che responsla individuazione di costei e del ruolo — apicale o subordinato — che riveste nell'organismo collettivo abile per il reato sia ritenuto un soggetto posto in posizione dirigenziale o un soggetto sottoposto all'altrui direzione, mutano l'onere della prova circa la sussistenza della colpa organizzativa, l'incidenza causale dell'omessa vigilanza sulla condotta delittuosa e la possibilità di escludere l'inosservanza degli obblighi di vigilanza in caso di adozione ed attuazione del modello organizzativo — gestionale.

In secondo luogo, la determinazione del singolo responsabile dell'illecito influenza altri profili rilevanti della decisione circa la colpevolezza della società. Si pensi, ad esempio, alla circostanza che l'individuazione dell'autore del reato è essenziale per decidere se applicare o meno le sanzioni interdittive — in quanto laddove il reato risulti commesso da persone soggette all'altrui direzione la severa misura punitiva può essere disposta solo se si dimostri che «la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative», secondo quanto dispone l'art. 13, comma 1, lett. a) del decreto. Si consideri ancora come dalla identificazione del reo possano «derivare conseguenze per la valutazione della gravità del fatto dell'ente, nell'ambito della quale gravità rientra anche il grado di colpevolezza dell'autore del reato» (Vinciguerra, La struttura dell'illecito, in Vinciguerra-Ceresa Gastaldo-Rossi, La responsabilità dell'ente per il reato commesso nel suo interesse, Padova, 2004, 13).

Infine, vi sono elementi che fondano la responsabilità dell'ente i quali, pur se non rientrano direttamente nel merito del giudizio avverso l'imputato persona fisica, sono di frequente oggetto di necessario accertamento nel relativo processo. Si pensi alla circostanza che il reato sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente: non pare sostenibile che il giudice penale, al momento di verificare la responsabilità del singolo per un determinato illecito, non cerchi di comprendere anche la ragione della condotta criminosa, così accertando ad esempio se la stessa è stata tenuta (esclusivamente o unitamente ad altre ragioni) al fine di avvantaggiare la società di appartenenza, ma una tale valutazione non può essere formulata se non si individua chi ha agito in termini delinquenziali. Si consideri ancora il profilo della colpa di organizzazione: non è seriamente sostenibile che nel giudizio nei confronti della persona fisica non vengano esaminate le modalità con cui la stessa ha agito, se ha goduto di complicità o favori nell'ambito dell'azienda, se la sua condotta sia stata o meno ostacolata (Cass. pen., sez. VI, 15 giugno 2022, n. 23401, che, pur con riferimento alla diversa ipotesi dell'intervenuta prescrizione del reato presupposto commesso dalla persona fisica, ha affermato che «in tema di responsabilità degli enti in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 231/2001, deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso, con verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato». Nello stesso, senso Cass. pen., sez. VI, 9 ottobre 2020 n. 28210; Cass. pen., sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192; Cass. pen., sez. VI, 25 ottobre 2017, n. 49056).

La decisione in commento rappresenta una sorta di superamento di queste riflessioni e si pone in continuità con la pronuncia Cass. pen., sez. V, 7 luglio 2016, n. 28229. Tuttavia, mentre quest'ultima decisione faceva riferimento ad un episodio di corruzione, la sentenza in commento ha ad oggetto la responsabilità dell'ente derivante da un reato colposo, ipotesi in relazione alla quale il richiamo all'art. 8 citato pare decisamente più congruo posto che in tali circostanze l'evento del reato — non è attribuibile all'iniziativa di un singolo né rappresenta la conclusione di un procedimento volitivo riferibile in via esclusiva ad una persona fisica ma piuttosto — costituisce l'esito di una serie di inefficienze organizzative della società da cui consegue il verificarsi del fatto delittuoso (per approfondimenti Santoriello, Responsabilità da reato degli enti. Problemi e prassi, Milano 2023, 112).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.