Mancata valutazione di una prova difensiva che il giudice del rito abbreviato avrebbe dovuto conoscere
15 Maggio 2023
Massima
La mancata allegazione di un atto difensivo al fascicolo del giudizio abbreviato, e la sua conseguente mancata sottoposizione al giudice per la decisione, configura una nullità di ordine generale per la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa dell'imputato, che incide sulla sola sentenza, ma non sull'ordinanza di ammissione del rito. Il giudice del gravame, a seguito della proposizione dell'eccezione e della formulazione di motivi di doglianza, ha l'obbligo di acquisire l'atto difensivo e di valutarlo. Il caso
L'imputato, legale rappresentante della Alfa soc. coop. sociale onlus, veniva condannato dal Tribunale alla pena di mesi 2 e giorni 20 di reclusione per il reato previsto dall'art. 10-bis d.lgs. 74/2000. Il Giudice di prime cure rappresentava che alla data della pronuncia non era stata acquisita al fascicolo del giudizio abbreviato una consulenza tecnica redatta a seguito di indagini difensive, pur tempestivamente depositata dopo la notificazione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. Il Giudice aveva pertanto condannato l'imputato senza poter tenere conto della predetta consulenza tecnica di parte. La Corte di appello, investita della doglianza riguardante la nullità della sentenza per l'omessa valutazione della prova difensiva, rigettava le prospettazioni dell'imputato e confermava la pronuncia del Giudice di prime cure. La Corte evidenziava, inoltre, che la difesa non avrebbe patito alcun pregiudizio dall'omessa valutazione della consulenza tecnica di parte – depositata come allegato ad una memoria che aveva sollecitato il pubblico ministero, già in fase di indagini, a richiedere l'archiviazione – poiché a seguito dell'esercizio dell'azione penale le considerazioni svolte dai tecnici sarebbero state rigettate di fatto dal pubblico ministero PM.
La difesa interponeva pertanto ricorso per cassazione. La questione
La sentenza in commento pone la questione della rilevanza di atti e documenti ottenuti mediante l'espletamento di indagini difensive quando essi siano stati correttamente e tempestivamente prodotti e acquisiti il fascicolo del pubblico ministero, ma non confluiti in quello per il giudizio abbreviato. Vi è dunque una prima questione inerente alla scelta in ordine alla validità o meno della pronuncia emessa dal giudice di prime cure all'esito del rito abbreviato quando lo stesso decidente abbia riconosciuto l'esistenza di una carenza nel fascicolo processuale. In secondo luogo, risolto positivamente il primo interrogativo, la Corte di cassazione deve individuare la tipologia di invalidità da cui sarebbe affetta la sentenza e decidere conseguentemente in relazione al rinvio da effettuare. Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, appare necessario effettuare qualche breve considerazione sul rito speciale che ha generato la vicenda. Infatti, la doglianza difensiva si è incentrata sul ruolo che la consulenza tecnica di parte avrebbe avuto nel far emergere chiaramente (secondo quanto prospettato dalla difesa) la sussistenza della scriminanteex art. 54 c.p. Invero, il contenuto e la rilevanza in concreto della consulenza tecnica assumono, nella decisione della Corte, un ruolo del tutto marginale e comunque secondario. Infatti, la Corte di cassazione concentra la propria attenzione sul fatto che un atto già venuto ad esistenza in sede di indagini non fosse confluito nel fascicolo per il giudizio abbreviato. In tal senso, è necessario rammentare che il rito in questione comporta la possibilità, per l'imputato, di richiedere la definizione del procedimento già in udienza preliminare “allo stato degli atti”, secondo quanto previsto dall'art. 438 c.p.p. Per completezza, è bene evidenziare che, con una recente riforma (art. 1 comma 1 lett. a l. 33/2019), il legislatore ha sancito definitivamente l'impossibilità, per gli autori di reati puniti con la pena dell'ergastolo, di accedere al rito abbreviato, introducendo un comma 1-bis all'art. 438 c.p.p. La scelta di accedere al rito costituisce per l'imputato un vero e proprio diritto, rispetto al quale né il pubblico ministero, né il giudice vantano alcuna discrezionalità, salva l'ipotesi di c.d. abbreviato “condizionato” alla richiesta di un'integrazione probatoria, rispetto alla quale il giudice è chiamato a verificarne la necessità e la conformità alle esigenze di economia processuale tipiche del rito (art. 438 commi 5 e 5-bis c.p.p.). La scelta è evidentemente finalizzata all'ottenimento di una sensibile riduzione della pena irroganda: il giudice, quantificata la pena secondo le modalità ordinarie e in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p., opererà infatti uno “sconto” fisso di un terzo se si procede per delitti e della metà se si procede per contravvenzione. Peraltro, al fine di potenziare l'effetto deflattivo del rito, il legislatore, con l'art. 24, c. 1, lett. c).d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, ha introdotto un nuovo comma 2-bis all'art. 442 c.p.p., prevedendo che «Quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione». Il rito speciale, tuttavia, comporta un sacrificio non indifferente alle ragioni difensive dell'imputato: infatti, egli dovrà accettare che il giudizio venga definito sulla base degli atti raccolti sino a quel momento tanto mediante indagini difensive, ma anche – e soprattutto – dall'organo di accusa. Inoltre, la richiesta di accedere al rito comporta, ai sensi dell'art. 438, comma 6-bis, c.p.p., la «sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice». In particolare, la Corte di cassazione ha precisato che la richiesta di rito abbreviato neutralizza anche la nullità che cada sull'accertamento irripetibile per aver omesso di fornire «[…] l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia […]», tale inadempimento determinando «[…] una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p., fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado, ma che deve ritenersi sanata, ai sensi dell'art. 183 c.p.p., qualora l'imputato formuli una richiesta di rito abbreviato […]» (cfr., fra le tante, Cass. pen., sez. IV, 10 novembre 2021 n. 40550). È doveroso precisare che la sanatoria, per sua stessa ontologia, può riguardare unicamente i vizi che si siano verificati prima della richiesta di rito abbreviato, ma non certo le eventuali nullità che emergano successivamente e che – tutt'al più – incideranno sulla validità della sentenza. In tal senso, ad esempio, la richiesta di rito speciale non potrà certamente sanare il vizio della sentenza che si pronunci sulla base solo di alcuni atti del fascicolo per il giudizio abbreviato anziché di tutti gli atti in esso contenuti sino a quel momento. È dunque pienamente condivisibile l'affermazione della Corte nella sentenza in commento: «… la mancata allegazione delle indagini difensive … che avrebbe[ro] dovuto essere inserite nel fascicolo del giudizio abbreviato, e la [loro] conseguente mancata sottoposizione al giudice per la decisione, concretizza una nullità di ordine generale per la violazione del principio del contraddittorio […] che incide sulla sola sentenza ma non sull'ordinanza di ammissione del giudizio abbreviato […]». In altri termini: l'istanza per definire il procedimento con rito abbreviato non sana il vizio della sentenza che sia stata emessa sulla base di un vaglio parziale degli atti del fascicolo, ma – d'altro canto – la richiesta difensiva è perfettamente valida e, con essa, l'ordinanza ammissiva del rito, che è peraltro atto “dovuto” e privo di discrezionalità, come si è già detto. La Corte precisa inoltre che la nullità della sentenza impone alla Corte d'appello, gravata della decisione sul punto, di procedere alla riforma della sentenza di prime cure, senza doverla annullare e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, in quanto, all'evidenza, non si versa in una delle ipotesi, contemplate espressamente dall'art. 604 c.p.p., nelle quali alla declaratoria di nullità faccia seguito anche la regressione del procedimento al momento in cui la stessa si era verificata. Quale compito spetta dunque al giudice di seconde cure che raccolga le doglianze difensive? Per la Corte di cassazione «[…] l'omessa trasmissione in primo grado della prova contraria della difesa impone alla Corte d'appello, a seguito della proposizione dell'eccezione e della formulazione dei motivi di appello, non solo di acquisirla ma di valutarla, secondo il principio per cui il giudice al quale siano presentati gli elementi di prova raccolti dal difensore ai sensi dell'art. 391bis cod. proc. pen., equiparabili a quelli del pubblico ministero, non può limitarsi ad acquisirli, ma ha l'obbligo di valutarli unitamente a tutte le altre risultanze del procedimento e, ove li disattenda, di esplicitarne le ragioni con adeguato apparato argomentativo […]» (cfr., nello stesso senso, anche Cass. pen., sez. V, 29 luglio 2020 n. 23068). Dunque, in primo luogo, in virtù della specificità del rito speciale, il giudice dovrà pronunciarsi su tutti e solo gli atti presenti «[…] nel fascicolo di cui all'articolo 416 c.p.p., comma 2 e [sulla] documentazione di cui all'art. 419 c.p.p., comma 3, anche [sulle] prove assunte nell'udienza […]» che costituiscono il fascicolo del giudizio abbreviato, in quanto la relativa richiesta «[…] comporta la definizione del processo allo stato degli atti, che determina la formazione della res iudicanda sulla base del quadro probatorio già esistente; ne consegue che nessuna prova, documentale od orale, può essere successivamente acquisita, salva la facoltà dell'imputato, ammesso al giudizio abbreviato, di sollecitare il giudice all'esercizio dei poteri di cui all'art. 441, comma 5, c.p.p. […]» (cfr., ex multis, Cass. pen., sez. IV, 6 dicembre 2016 n. 51950). Anche gli atti delle indagini difensive potranno (rectius dovranno)essere valutati dal giudice del rito solo ove siano stati tempestivamente prodotti prima dell'istanza di definizione del procedimento con giudizio abbreviato: «[…] il principio sopra affermato, in base al quale la produzione di documenti deve avvenire “prima” della richiesta di giudizio abbreviato, opera anche nel caso in cui la documentazione che si intenda produrre rappresenti l'esito di investigazioni difensive […]» (Cass. pen., 6 dicembre 2016 n. 51950 cit.). A tale riguardo, sembra opportuno precisare che tutta la documentazione ottenuta mediante attività investigativa del difensore è «inserita nella parte del fascicolo informatico riservata al difensore. I documenti redatti e depositati in forma di documento analogico sono conservati in originale», secondo quanto previsto dall'art. 391-octies comma 3 c.p.p., modificato dall'art. 20, comma 1, lett. b),d.lgs. n.150/2022. Con la chiusura delle indagini, invece, la documentazione confluisce nel fascicolo del pubblico ministero e, ove tale materiale probatorio sia stato raccolto prima della richiesta di definizione del procedimento nelle forme del rito abbreviato, il giudice ha l'obbligo di pronunciarsi anche su tali risultanze, pena, come detto, la nullità della sentenza. Ma di che nullità si tratta? Come noto, gli interpreti distinguono tre regimi tipologie di nullità degli atti processuali:
Solo le nullità assolute presentano il carattere dell'insanabilità, salvo peraltro l'effetto di “stabilizzazione” che consegue al passaggio in giudicato della sentenza. In altri termini l'irrevocabilità della sentenza opera come sanatoria delle nullità di tipo assoluto. Le nullità a regime intermedio, invece, sono rilevabili anche d'ufficio come le nullità assolute, ma solo entro i termini di cui all'art. 180 c.p.p. Le nullità relative, infine, possono essere rilevate solo su eccezione di parte ed entro gli stringenti termini di cui all'art. 181 c.p.p. Il c. 4 del medesimo articolo statuisce inoltre un principio di “conversione” delle nullità verificatesi nel corso del giudizio in motivi di gravame. Cioè: non solo è necessario eccepire la nullità relativa che si verifichi in una fase antecedente al giudizio e coltivare la specifica eccezione dinanzi al giudice del dibattimento, ove presente, ma, una volta emessa la sentenza, non esiste altro strumento per far valere la nullità se non l'impugnazione della pronuncia stessa. Nel caso di specie, la Cassazione sembra propendere per una qualificazione del vizio che inficia la sentenza di primo grado in termini di nullità a regime intermedio. Infatti, la Corte afferma che la mancata allegazione degli atti difensivi al fascicolo per il giudizio abbreviato costituisce una «[…] nullità di ordine generale per la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa dell'imputato […]». Deve dunque farsi riferimento all'art. 178 c.p.p. che individua i casi in cui la nullità è di ordine generale, senza tuttavia poter ricondurre l'ipotesi in esame alle nullità assolute, tassativamente indicate e tipizzate dall'art. 179 c.p.p. Ne deriva che la nullità per omessa allegazione degli atti difensivi al fascicolo per il giudizio abbreviato rientrerebbe tra le “altre nullità di ordine generale” di cui all'art. 180 c.p.p. Correttamente, inoltre, la Cassazione precisa che non trova applicazione l'art. 604 c.p.p., il quale prevede la trasmissione degli atti al giudice di prime cure – di regola – per vizi che attengano al difetto di contestazione. Tuttavia, la regressione del procedimento può verificarsi anche in relazione ad «una delle nullità indicate nell'art. 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado», secondo quanto previsto dallo stesso art. 604, comma 4 ultimo periodo, c.p.p. È corretta pertanto l'affermazione della Cassazione che nega l'operatività della predetta norma al caso in esame, in quanto la nullità “intermedia” derivante dalla mancata allegazione della consulenza tecnica al fascicolo del giudizio abbreviato non ha determinato la nullità del provvedimento che ha ammesso il rito, il quale è, anzi, «[…] atto dovuto privo di discrezionalità […]». Coerentemente con tali premesse, i Giudici dichiarano fondato il ricorso, a causa della motivazione manifestamente illogica e carente in relazione alla valutazione della consulenza tecnica di parte mai acquisita al fascicolo del giudizio abbreviato. All'accoglimento del ricorso fa seguito l'annullamento della sentenza di appello con rinvio ad altra sezione della stessa Corte distrettuale per un nuovo giudizio. Osservazioni
La sentenza in commento si pone nel solco di una giurisprudenza consolidatasi gradualmente sin dall'introduzione, nel nostro ordinamento, delle disposizioni sulle indagini difensive con l. 7 dicembre 2000 n. 397. Infatti, già con sentenzaCass. pen., sez. II, 9 aprile 2002 n. 13552 la suprema Corte aveva affermato la necessità che il giudice acquisisse e valutasse tutti gli elementi probatori raccolti dal difensore, poiché «[…] equiparabili, quanto ad utilizzabilità e forza probatoria, a quelli raccolti dal pubblico ministero […]» (cfr. Cass. pen., 9 aprile 2002 n. 13552 cit.). Tuttavia, è opportuno svolgere alcune brevi considerazioni relative alla specificità della sentenza in commento. In primo luogo, vero punctum dolensdella sentenza è sì l'omessa valutazione di una prova ottenuta mediante indagini difensive, ma solo in quanto la predetta mancanza si è verificata nel corso di un giudizio abbreviato. La pronuncia, in tal senso, non mostra segni di particolare innovatività, ma applica – correttamente – i principi fondamentali del rito speciale, che si caratterizza per il fatto di essere un giudizio “allo stato (di tutti) gli atti”. Per contro, se non si fosse trattato di un rito abbreviato, la stessa Cassazione ha avuto modo di precisare che non si sarebbe verificata alcuna nullità. In particolare, la Corte ha affermato che l'omessa valutazione di un atto difensivo non determina alcuna nullità, potendo solo influire sulla congruità e correttezza della motivazione della sentenza, e, pertanto, va escluso che il semplice deposito di una memoria difensiva nel corso del procedimento, il cui contenuto non sia oggetto di specifica confutazione da parte del giudice, determini una nullità, in quanto sanzione non prevista dall'art. 121 c.p.p. e, dunque, l'errore in cui sia incorso il giudice «[…] non può essere dedott[o] nei limiti del vizio di violazione di legge di cui all'art. 606 lett. b) c.p.p. potendo invece dare luogo a vizio di motivazione nella misura in cui sia dimostrato che argomenti difensivi rilevanti e decisivi siano stati pretermessi dal giudice del merito […]» (cfr. Cass. pen., sez. II, 16 marzo 2018 n. 14975). Orbene, tale principio può essere utilmente riferito anche al caso di specie, in quanto l'omessa valutazione di risultanze probatorie, pur provenienti dall'attività di indagine difensiva, non integra – per sé sola – una nullità a regime intermedio. Ulteriore conferma di quanto appena detto si rinviene proprio nella disciplina dell'omessa valutazione di elementi probatori acquisiti dall'organo di accusa che, come visto, sin dal 2002 sono equiparati, quanto ad utilizzabilità e forza probatoria, proprio all'attività istruttoria difensiva. Vi è anzi una recente pronuncia di merito, la quale ha sostenuto che l'omessa discovery di una parte degli atti di indagine da parte del PM non produrrebbe alcuna invalidità processuale, in considerazione del principio di tassatività delle cause di nullità e della fase processuale, che impedirebbe anche una dichiarazione di inutilizzabilità degli atti non tempestivamente depositati (cfr. Trib. Reggio Emilia, Ufficio Gip-Gup, 6 maggio 2021 – ord.). L'ordinanza si pone in linea con quelle pronunce che, stante la mancanza di una espressa sanzione da parte dell'art. 416 c.p.p. per l'assenza – nella richiesta di rinvio a giudizio – di alcuni elementi investigativi, escludono che l'omesso deposito di atti di indagine possa essere sanzionato con la nullità della richiesta di rinvio a giudizio. Una disamina delle criticità poste da tale orientamento sarebbe qui fuor d'opera, ma consente di precisare due aspetti: da un lato, si noti l'attenzione che la giurisprudenza pone alla tassatività e tipicità delle cause di nullità degli atti processuali, dalla quale discende l'impossibilità di applicare tale sanzione anche ai casi in cui essa non sia espressamente prevista. In tal senso, dunque, sembra corretto escludere che la mancata valutazione di elementi probatori acquisiti mediante indagini difensive possa, per sé sola, integrare una nullità, potendo – tutt'al più – concretizzare un vizio motivazionale certamente passibile di ricorso per cassazione. In secondo luogo, è necessario evidenziare che salvo il caso in cui – come nella fattispecie – l'omessa valutazione di una prova difensiva discenda proprio dalla mancata allegazione della stessa al fascicolo del giudizio abbreviato, in pressoché tutte le altre ipotesi, la mancata disamina di una risultanza probatoria è spesso sprovvista di apposita sanzione processuale. Si manifesta così una forte tensione tra il rispetto del principio di tassatività delle nullità e l'effettività del diritto di difesa, considerando peraltro che è proprio l'art. 111 Cost. ad imporre che nel giudizio operi un fair play processuale e, da un lato, impedisce il deposito ritardato (o persino il mancato deposito) di atti di indagine – soprattutto se favorevoli all'imputato –, mentre, d'altro lato, richiede che il giudice formi il proprio convincimento sulla base di tutte le risultanze probatorie raccolte, tanto più se provenienti dall'attività di indagine difensiva.
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