Il bilancio non può essere l'oggetto materiale della bancarotta fraudolenta documentale

14 Febbraio 2023

Nella pronuncia in commento la Suprema Corte di cassazione mette a confronto il reato di bancarotta documentale e quello di bancarotta societaria da falso in bilancio.
Massima

Secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, il reato di bancarotta fraudolenta documentale non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di “libri” e “scritture contabili”, prevista dalla norma di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 l.fall.

Mentre eventuali omissioni nel bilancio, sussistendone i presupposti, possono integrare la bancarotta impropria da reati societari.

Il caso

La Corte di Appello di Firenze confermava la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta documentale all'amministratore di una società dichiarata fallita.

Contro la sentenza di condanna veniva proposto ricorso per Cassazione da parte della difesa che censurava la motivazione della Corte d'Appello, in quanto i giudici di merito avrebbero erroneamente ricompreso i bilanci tra scritture contabili cui fa riferimento l'art. 216, comma 2 l.fall.

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento annullava la sentenza della Corte d'Appello, ritenendo fondato il ricorso proposto dal difensore, Avv. Carlo Marchiolo, perché il bilancio non rientra nella nozione di “libri” e “scritture contabili”.

La questione

Il tema riguarda il consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. pen., 10 settembre 2021, n. 109; Cass. pen., sez. V, 19 giugno 2018, n. 42568; Cass. pen., sez. V, 20 settembre 2019, n. 49141) secondo il quale il bilancio non può costituire l'oggetto materiale della condotta che integra il reato di bancarotta fraudolente documentale.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento non fa che riaffermare il rispetto del principio di legalità: cioè il rispetto del nomen iuris richiamato dalla norma.

Il reato di bancarotta fraudolenta documentale, disciplinato dall'art. 216 comma 1 n. 2 l.fall., prevede tra le varie modalità esecutive della condotta, oltre alla sottrazione e alla distruzione, la falsificazione «in tutto o in parte con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili».

L'ipotesi delittuosa fa riferimento ai libri e alle scritture contabili, senza alcun richiamo, come è previsto dalla fattispecie di bancarotta semplice documentale, ai libri e alle altre scritture contabili “prescritte dalla legge”.

Risultano, quindi, essere l'oggetto materiale del reato di bancarotta documentale i libri obbligatori previsti per l'imprenditore individuale dall'art. 2214 c.c.: cioè il libro giornale, il libro degli inventari e il libro dei beni ammortizzabili.

A questa prima categoria si aggiunge quella richiamata dal II comma dell'art. 2214 c.c. che viene definita come quella delle scritture relativamente obbligatorie, in funzione della natura e delle dimensioni dell'impresa.

Non rientrano tra i libri e le altre scritture contabili i libri sociali disciplinati specificamente dall'art. 2421 c.c. quali, ad esempio, il libro dei soci, il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale.

Nonostante una giurisprudenza risalente (Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 1993, Virgili ed altri, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1994, pag. 1156) avesse ritenuto che nella nozione dei “libri e delle altre scritture contabili”, richiamate dall'art. 216 l.fall., dovessero rientrare anche i libri sociali obbligatori previsti dall'art. 2421 c.c., di recente la giurisprudenza ha escluso che possano costituire l'oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale i libri sociali richiamati dall'art. 2421 c.c. (Cass. pen., sez. V, 23 novembre 2006, n. 182, in Cass. pen., n. 1181/2008).

Infatti questi documenti, essendo destinati a rappresentare i fatti relativi all'organizzazione interna dell'impresa, non incidono sulla ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società, non rappresentando contabilmente fatti gestionali, con la riserva, come ricorda la Cassazione, che possano rivelarsi idonei a rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società fallita.

Ad esempio la giurisprudenza ha escluso che la mera falsificazione del verbale del Consiglio di Amministrazione, qualora non incida direttamente sull'alterazione del quadro contabile, possa integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Così come non si può ricomprendere nella nozione di libri o di altre scritture contabili, richiamate dall'art. 216 comma 1 n. 2 l.fall., la falsificazione o l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, trattandosi di documenti destinati a tutelare esclusivamente gli interessi fiscali dello Stato (Cass. pen., sez. V, 24 marzo 2010, n. 11279).

Alle stesse conclusioni è ormai pervenuta una giurisprudenza costante in tema di bilancio.

Nella vicenda oggetto della sentenza in commento, i giudici di merito, nonostante il difensore avesse espressamente contestato la possibilità di ricomprendere il bilancio tra le scritture contabili, si erano limitati ad affermare che oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale è qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa e quindi anche del bilancio.

La giurisprudenza della Corte di cassazione, invece, ha più volte posto in evidenza come il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216 l.fall. non possa avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di libri e scritture contabili previste dalla norma di cui all'art. 216 comma 1 m. 2 l.fall.

Infatti, osserva la Cassazione (Cass. pen., sez. V., 6 marzo 2017, n. 13072; Cass. pen., sez. V, 10 settembre 2021, n. 109), l'art. 2214 c.c. che è la norma inserita nel paragrafo delle scritture contabili al comma 1 fa esclusivo riferimento ai libri obbligatori quali il libro giornale e quello degli inventari, mentre al secondo comma le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa.

La norma non menziona il bilancio che peraltro non può essere fatto rientrare nell'ipotesi del secondo comma dell'art. 2214 c.c., cioè tra queste ultime scritture di natura eventuale e condizionata, a differenza del bilancio.

Il bilancio si pone a chiusura dell'inventario attraverso il conto dei profitti e delle perdite, serve a rappresentare la situazione finanziaria, economica e patrimoniale della società, sicché è da escludere che possa rientrare nel novero delle scritture rilevanti ai fini della bancarotta fraudolenta documentale.

Osservazioni

La sentenza in commento, nel ribadire che il reato di bancarotta fraudolenta documentale non possa avere ad oggetto il bilancio, segnala invece come eventuali omissioni nel bilancio, sussistendone i presupposti, possano integrare la fattispecie di bancarotta impropria da reato societario.

Prima della riforma della fattispecie di bancarotta fraudolenta societaria, prevista dall'art. 223 comma 2 n. 1 l.fall., i rapporti tra questa fattispecie e quella di bancarotta fraudolenta documentale non avevano sollevato particolare interesse, attesa l'identità strutturale di entrambe le fattispecie che, ai fini della consumazione non richiedevano il verificarsi dell'evento, trattandosi di fattispecie di pericolo.

L'art. 4 d.lgs. 11 aprile 2002 n. 61, nel riformulare il reato di bancarotta societaria (art. 223 comma 2 n. 1 l.fall.), ha introdotto un elemento di distinzione fondamentale rispetto alla bancarotta fraudolenta documentale, rappresentato dal dissesto, quale evento cagionato da uno dei reati societari, richiamati dall'art. 223 l.fall.

È intuibile, quindi, la necessità di distinguere l'una ipotesi dall'altra, soprattutto perché la bancarotta fraudolenta documentale, mantenendo la sua natura di reato di pericolo, si perfeziona con la messa in opera di una delle modalità previste dall'art. 216 comma 1 n. 2 l.fall., cioè sottraendo, distruggendo o falsificando in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori i libri e le altre scritture contabili o tenendole in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, senza che sia richiesto che da questa condotta debba scaturire un evento-dissesto.

L'obbligo della documentazione contabile, richiamato dall'art. 2214 c.c., svolge una funzione determinante sia durante la vita dell'impresa, sia soprattutto nella fase in cui, intervenuto il fallimento, è necessario ricostruire i vari aspetti che hanno caratterizzato la gestione sociale ed in particolare "la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari". Anche questa norma, tutelando la trasparenza contabile, intende tutelare soprattutto gli interessi patrimoniali dei creditori, al fine di evitare che la spoliazione dei beni, attuata dall'imprenditore durante la vita dell'impresa, possa realizzarsi.

L'art. 2214 c.c. descrive i libri obbligatori e le scritture contabili su cui può cadere la bancarotta fraudolenta documentale, prevedendo come obbligatori il libro giornale ed il libro degli inventari, nonché le altre scritture "relativamente obbligatorie" (Pedrazzi, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale dell'impresa, Bologna, 2003, 138) richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa, oltre a conservare per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite.

Ma non basta, perché accanto alle scritture contabili obbligatorie, la legge penale fallimentare prende in considerazione anche le scritture contabili facoltative, quali in particolare il registro delle fatture emesse, il libro matricola, il libro paga, le scritture ausiliari di magazzino.

La fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale descrive nella prima parte una serie di ipotesi alternativamente previste, quali la sottrazione, la distruzione, la falsificazione (da intendersi in chiave ideologica), delle scritture contabili che guardano alle modalità della condotta (Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 140), mentre nella seconda parte pone l'accento sul risultato dell'impedimento della ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

La norma richiede un dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un pregiudizio ai creditori.

Come osserva efficacemente Pedrazzi (Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 141) «lo scopo di recare pregiudizio ai creditori non può che riferirsi ad un falso contabile strumentale ad un disegno di spoliazione dei creditori, la bancarotta documentale deve cioè perseguire attraverso l'offesa alla trasparenza contabile un risultato ultimo di sottrazione di attività o di gonfiamento di passività, anticipando finalisticamente una bancarotta patrimoniale». Ad analogo risultato mira la tenuta delle scritture contabili in guisa da non rendere possibili la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, i cui destinatari sono gli organi della procedura fallimentare, cui compete tale ricostruzione.

Se è vero che la nozione di comunicazione sociale, cui fa riferimento nell'ambito della bancarotta societaria il reato di falso in bilancio, non si identifica con quella di libri o altre scritture contabili, nella prassi giudiziaria accade con sempre maggiore frequenza che fatti, che in realtà integrano il reato di false comunicazioni sociali, vengono ad essere, abusivamente, collocati – come nel caso della sentenza in commento - nella fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, soprattutto in casi di falsificazione di fatture per operazioni inesistenti, che vengono utilizzate dall'amministratore per ottenere anticipazioni presso il sistema bancario.

In realtà se le fatture ideologicamente false vengono registrate nel registro delle fatture e quindi vengono a far parte o meglio alimentano i ricavi del conto economico che, come recita l'art. 2423 c.c., è una delle componenti, al pari dello stato patrimoniale e della nota integrativa, del bilancio, la falsità penalmente rilevante non può che essere quella regolata dal reato di false comunicazioni sociali.

Anche perché - giova ripeterlo - lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, cui si richiama l'art. 216 comma 1 n. 2 l.fall., si riferisce necessariamente a quei falsi contabili, finalizzati esclusivamente a porre in essere la spoliazione dei beni sociali, che il falso, strumentalmente, tende a conservare nella disponibilità dell'imprenditore fallito, sottraendoli invece a quella degli organi della procedura concorsuale (Bricchetti-Targetti, Bancarotta e reati societari, Milano, 2003, 86 ss.).

Quando, invece, come nei casi richiamati, la falsità, che pure interessa le scritture contabili per poi essere recepita nel bilancio, ha lo scopo di fornire una rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società diversa da quella reale per ottenere credito o addirittura evadere il fisco, non può fermarsi alle scritture contabili, dando vita in caso di fallimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, ma viene ad essere assorbita, in virtù di una naturale progressione, nel reato di falso in bilancio o in quello di frode fiscale (Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 455).

Con l'inevitabile conseguenza che gli amministratori della società dichiarata fallita, che abbiano posto in essere una serie di falsità nelle scritture contabili che a loro volta sono state recepite nel bilancio, determinandone la falsità, dovranno rispondere solo di bancarotta fraudolenta societaria, in quanto il reato di falso in bilancio abbia cagionato o concorso a cagionare il dissesto.

Peraltro si ritiene in dottrina (Cocco, Disciplina del fallimento, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo-Paliero, Padova, 2002, 1271) che «se il falso in scritture contabili si concreta nel falso in una delle comunicazioni sociali contemplate dagli artt. 2621-2622 c.c. e causi sia il dissesto che l'impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari... deve escludersi il concorso formale tra i due reati e la sola norma applicabile è l'art. 223 comma 1 l.fall. in relazione all'art. 216 n. 2 giacché l'art. 223 comma 1 n. 1 pare porre una tutela sussidiaria al primo». La soluzione è da condividere, perché da un lato conferma la prevalenza dell'art. 223 II co. n. 1 nell'ipotesi di conflitto apparente, nel senso che, se il falso in bilancio ha provocato solo il dissesto e non anche l'impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari, è solo il reato di bancarotta fraudolenta societaria (art. 223 comma 2 n. 1 l.fall.) che dovrà trovare applicazione, dall'altro non sembra che nella pratica il caso prospettato si verifichi con frequenza.

Osservazioni

La corretta soluzione fornita dalla Cassazione, che riconferma come il reato di bancarotta fraudolenta documentale non possa avere ad oggetto il bilancio, porta ad escludere dal reato di cui agli artt. 216-223 l.fall. quelle falsità che, pur interessando le scritture contabili, si riflettono poi sul bilancio, concorrendo a rappresentare la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società che possono integrare il reato di bancarotta societaria, se dal falso in bilancio sia derivato il dissesto.

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