L'autonomia del giudice delegato in sede di verifica dei crediti rispetto al giudice civile

16 Dicembre 2022

La questione affrontata nella pronuncia in commento involge il tema dei compiti del giudice della prevenzione nella procedura di verifica dei crediti. Per la Cassazione prevale l'accertamento interno al procedimento di prevenzione.
Massima

La Seconda Sezione penale, in tema di misure di prevenzione reali, ha affermato che la separazione dei beni assoggettati a sequestro o a confisca di prevenzione determina, in ragione dell'autonomia dell'accertamento endo-prevenzionale, la devoluzione al giudice delegato dal tribunale di prevenzione della verifica ex artt. 52 e ss. d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dei crediti e dei diritti dei terzi, sicché, ove siano pendenti giudizi di impugnazione ai sensi dell'art. 98 l. fall., relativi a crediti e a diritti inerenti a rapporti oggetto del sequestro di prevenzione, prevale l'accertamento interno a tale procedimento.

Il caso

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice della prevenzione, adito in esito alle opposizioni al provvedimento del giudice delegato in ordine alla formazione dello stato passivo, ammetteva con riserva una serie di crediti “in attesa che si concluda il giudizio civile”, ovvero rigettava l'opposizione stante l'esito della domanda in primo ed in secondo grado in sede civile.

Impugnando per cassazione il decreto del Tribunale di prevenzione, si interpellava la Suprema Corte in relazione al potere-dovere del giudice penale di decidere nel merito le domande di accertamento dei crediti e dei diritti dei terzi, censurando la scelta effettuata dal Tribunale di prevenzione di non compiere l'autonomo accertamento impostogli dalla legge, demandandolo al giudice civile. La Sezione Seconda, in accoglimento dei motivi di gravame, annullava il provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Roma.

La questione

La questione involge il tema dei compiti del giudice della prevenzione nella procedura di verifica dei crediti. Il titolo IV del Codice antimafia, e i relativi artt. 52 ss., mira a introdurre una parentesi, non già esclusivamente cognitoria, ma ibridamente cognitorio-esecutiva, funzionale all'accertamento ed all'immediata realizzazione dei diritti da terzi vantati, ancorché non direttamente sui beni stessi, comunque nei confronti del proposto, sul rilievo della loro appartenenza al suo patrimonio.

Del resto, l'intero titolo IV disciplina la “tutela dei terzi”, accordando rilevanza a posizioni soggettive propriamente privatistiche poste in relazione all'interesse pubblico sotteso all'espropriazione di beni che di per sé si colorano di quella medesima pericolosità sociale che è rimproverata al proposto.

In definitiva, l'ordinamento tutela gli interessi privati e il valore dell'affidamento nei rapporti giuridici, il quale assurge al rango di interesse pubblico concorrente a quello sotteso all'espropriazione.

Obiettivo della normativa in tema di misura di prevenzione, sia antecedente sia successiva al d.lgs. n. 159/2011, è il contemperamento delle esigenze dei creditori del proposto, che aspirano a soddisfarsi sul patrimonio di costui con il contrapposto interesse dello Stato ad acquisire beni di provenienza illecita per scindere ogni legame con i reati ad essi connessi. Il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi è stato rinvenuto nella buona fede del creditore, nella sua ignoranza del carattere non lecito dell'attività condotta dal debitore. Per tale ragione il d.lgs. n. 159/2011 espressamente contempla come requisito per la tutelabilità delle ragioni che i creditori vantino sui beni sottoposti a sequestro o confisca, la dimostrazione della buona fede, che non può presumersi e deve essere dimostrata dal titolare del diritto; più in particolare, gli artt. 52, 57, 58 e 59 e ss. del cod. antimafia disciplinano l'accertamento - nello stesso procedimento di prevenzione, con delibazione dunque affidata al giudice penale - e la soddisfazione concorsuale – previa verifica appunto della buona fede degli istanti e formazione dello stato passivo e del piano di riparto – dei crediti vantati da terzi.

Allo stesso tempo l'ordinamento, secondo quanto previsto dal comma 1 dell'art. 45 del cod. antimafia, garantisce la tutela dei diritti dei terzi entro i limiti e le forme previste in tema di accertamento dei diritti dei terzi (art. 57 ss. cod. antimafia).

L'interrogativo risolto mediante la sentenza in commento riguarda il tema se possa il giudice della prevenzione spogliarsi del dovere di procedere a detto accertamento qualora, contestato (nell'an e/o nel quantum), dinanzi al giudice civile, il credito per cui sia stata presentata domanda di ammissione, questi si sia già pronunciato, quantunque con sentenza non ancora definitiva.

Come può notarsi, l'argomento interseca una problematica di più ampio respiro e cioè – anche sotto l'ulteriore profilo dell'accertamento del credito del terzo – l'autonoma valutazione del giudice della prevenzione.

Le soluzioni giuridiche

In primis occorre rilevare che l'ordinamento in tanto accorda tutela ai terzi in quanto, tuttavia, le relative forme siano realizzate alla stregua del Codice antimafia ed entro il procedimento di prevenzione, con una esplicita riserva in capo al giudice della prevenzione.

Secondo una prima pronuncia della Corte Costituzionale (n. 94 dell'11 febbraio 2015), indirettamente occupatasi degli art. 52 ss. Codice antimafia, tale ultimo testo unico ha «introdotto un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla successiva formazione di una «piano di pagamento», secondo scadenze mutuate in larga misura dei corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare, specificando inoltre che la disciplina di cui agli art. 52 ss. rappresenti il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono: da un lato l'interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall'altro l'interesse pubblico ad assicurare l'effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell'attività illecita».

Tali conclusioni sono state riprese nella sentenza n. 26 del 27 febbraio 2019, ove la Consulta ha evidenziato che «la giusta esigenza di evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione può essere soddisfatta attraverso la verifica delle condizioni già imposte in via generale dal d.lgs. n. 159/2011, art. 52 per il soddisfacimento dei diritti di credito dei terzi».

La sentenza della Seconda sezione qui in commento rileva come la stessa analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale consenta di evidenziare che il titolo IV costituisce espressione di un ponderato bilanciamento, operato direttamente dal legislatore, tra i due contrapposti interessi: quello dei creditori, da una parte e quello dello Stato, dall'altra. Tale bilanciamento, estrinsecato mediante la verifica dei crediti di cui all'art. 59 Codice antimafia, sarebbe idoneo ad impedire manovre collusive tra l'eventuale creditore “di comodo” e il proposto debitore, stante l'esistenza di più penetranti strumenti accertativi della sede di prevenzione.

La Suprema Corte, pertanto, afferma che l'accertamento dei diritti dei terzi, dinanzi al giudice della prevenzione, costituisce il modo vincolato di realizzare la loro tutela, passando attraverso le “forme” del titolo IV del Codice antimafia.

All'uopo, si fa richiamo anche alla disciplina dei rapporti della verifica dei crediti così come modificata dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161 rispetto a quella fallimentare. Infatti, l'introdotta separazione dei beni assoggettati a sequestro o confisca di prevenzione produce l'effetto dell'ineludibile devoluzione della verifica dei relativi crediti e diritti in capo al giudice delegato del tribunale di prevenzione, nell'ambito del procedimento di cui agli artt. 52 ss. codice antimafia, anche a costo di duplicare (ma gli ambiti, i poteri e gli scopi appaiono affatto diversi) dell'attività del giudice delegato del tribunale fallimentare (cfr. per entrambi i casi di sequestro di prevenzione anteriore e successivo alla sentenza dichiarativa di fallimento, l'art. 63, commi 4 e 5, e art. 64, comma 2, l.fall.), con la conseguente specificazione (ovviamente in relazione al solo caso di sequestro successivo) che, se sono pendenti giudizi di impugnazione ex art. 98 l.fall. “con riferimento ai crediti e ai diritti inerenti ai rapporti relativi per cui interviene il sequestro”, a prevalere è l'accertamento endo-prevenzionale, atteso che il tribunale fallimentare deve sospendere il giudizio sino all'esito del procedimento di prevenzione (così disponendo l'art. 64, comma 4, l.fall.).

Osservazioni

Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento della Corte di legittimità, laddove si esclude che il Giudice della prevenzione possa spogliarsi dell'accertamento in favore del giudice civile o, detta altrimenti, che l'accertamento di questi possa prevalere o “fare stato” nel contesto “antimafia”.

Ai sensi del comma 2 dell'art. 58, infatti, si impone ai creditori di cui all'articolo 52 di presentare domanda di ammissione contenente, alla stregua della lett. b) la determinazione del credito di cui si chiede l'ammissione allo stato passivo, e alla stregua della lett. c) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, con i relativi documenti giustificativi.

Sicché, nonostante nella prima fase la domanda sia deformalizzata dinanzi al giudice delegato, è comunque sottoposta ad un criterio di accertamento diverso da quello, ad impulso di parte, tipico del giudizio civile ordinario. Deve osservarsi, infatti, che il giudice delegato può assumere anche d'ufficio le opportune informazioni, coerentemente con la natura pubblicistica dell'intero procedimento di prevenzione; ed inoltre, la domanda, non interrompendo la prescrizione né impedendo la maturazione di termini di decadenza nei rapporti tra il creditore e l'indiziato o il terzo intestatario, si rileva non essere diretta nei confronti del proposto. Quest'ultimo, infatti, non acquista affatto la qualità di parte nella procedura di verifica: invero, secondo quanto previsto dell'art. 57 Codice antimafia, gli “interessati” destinatari dell'immediata notificazione del decreto dell'udienza di verifica dei crediti, si identificano con i soli “creditori” che hanno depositato tempestive istanze di accertamento dei rispettivi diritti, con partecipazione facoltativa del p.m. e dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati.

La Cassazione, pertanto, oblitera la relegazione del proposto fuori dalla prevenzione reale a seguito di opposizioni e delle impugnazioni alla verifica dei crediti: si spiega, all'uopo, che l'amministratore giudiziario non si sostituisce al proposto, né conseguentemente ne assume la rappresentanza, men che meno processuale, ancorché in relazione ai soli rapporti involgenti il bene vincolato.

Ciò a differenza di quel che accade nel fallimento, ove il curatore si sostituisce al fallito e ne assume la rappresentanza segnatamente processuale.

Deve, pertanto, ribadirsi l'autonomia della prevenzione rispetto ad accertamenti, non definitivi o definitivi, esterni, in relazione ai quali il giudice della prevenzione non è vincolato.

Del resto, nella prevenzione - in seno alla quale, né nella fase della verifica né in quella delle opposizioni ed impugnazioni, si realizza alcuna coincidenza soggettiva ex latere debitoris con il giudizio extra-prevenzionale, perché né il proposto né l'amministratore giudiziario, che non si sostituisce al proposto, sono parti – il giudice applica regole procedimentali sue proprie, lontane dall'iniziativa od eccezione di parte tipica del processo civile.

La Corte di legittimità evidenzia l'inesistenza di alcun vincolo derivante finanche dal giudicato civile, che consentirebbe al giudice della prevenzione di godere di piena autonomia di giudizio sotto il vessillo degli interessi pubblicistici connaturati al procedimento di prevenzione.

A ben guardare, l'assunto esposto nella sentenza appare in linea con lo specifico assetto normativo che il legislatore ha impresso al codice antimafia.

L'autonomia dell'accertamento di prevenzione - che ha connotati differenti da quello svolto dal giudice fallimentare – deriva esplicitamente dal capo III del codice antimafia, il cui contenuto ha previsto e disciplinato i rapporti con le procedure concorsuali, sia nel caso in cui la dichiarazione di fallimento sopraggiunga al sequestro e sia nel caso opposto, cioè quando il sequestro sia ad essa successivo. In entrambi i casi, con sfumature procedurali differenti, al giudice della prevenzione è assegnato il compito della verifica “in proprio” (come previsto, ad esempio, dal comma 2 dell'art. 64 codice antimafia). Peraltro, ove il sequestro (o la confisca) riguardi solo alcuni beni attinti già dalla procedura fallimentare, essi verranno esclusi dalla massa e devoluti esclusivamente alle iniziative della sede di prevenzione (art. 63 comma 4 e art. 64 comma 1). Nel caso in cui, invece, il sequestro (o la confisca) abbraccino l'intera massa, il Tribunale dichiarerà chiuso il fallimento ai sensi del comma 6 dell'art. 63 o del comma 7 dell'art. 64, con prevalenza, ancora, della sede di prevenzione.

Detta struttura legislativa elide il rischio di contrasto tra possibili differenti accertamenti svolti nelle due sedi, giacché espressamente attribuisce al giudice della prevenzione il compito di svolgere «la verifica dei crediti e dei diritti inerenti ai rapporti relativi ai suddetti beni» (art. 63 comma 4); e ciò «ancorché (essi siano stati) già verificati dal giudice del fallimento» (art. 64 comma 2).

Sotto tale angolo visuale, può osservarsi come il legislatore abbia espressamente introdotto nella struttura del rito di prevenzione il principio dell'autonoma valutazione appannaggio del relativo giudice, il quale non solo “può” prescindere dagli accertamenti svolti dal magistrato fallimentare ma “deve” svolgere verifiche proprie, applicando il più stringente filtro valutativo imposto dal codice antimafia. I due accertamenti, non essendo equipollenti, non sono fungibili.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.