Ai fini del biennio ex art. 2751 bis n. 2 c.c. occorre “scindere” le prestazioni del legale compiute nei vari gradi di giudizio

08 Marzo 2022

La prestazione giudiziale dell'avvocato che sia espletata in più gradi di giudizio viene ad essere suddivisa, ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c., in autonomi incarichi corrispondenti ai singoli gradi di esso (stante l'innegabile collegamento funzionale esistente, all'interno del grado, tra tutte le prestazioni ivi eseguite dal legale), con la conseguenza che il privilegio stesso può essere riconosciuto solo al credito riguardante i compensi relativi alle prestazioni per gli incarichi specifici conclusisi nell'ultimo biennio del rapporto professionale complessivo. agani

Il caso. Un avvocato aveva assistito una società cooperativa in due gradi di giudizio e tre subprocedimenti cautelari prima della dichiarazione di fallimento.

Il legale domandava l'ammissione del proprio credito professionale complessivo al privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c.

Il Tribunale negava però la collocazione al privilegio rilevando che il professionista avrebbe potuto richiedere il compenso già dopo il primo grado di giudizio invece di continuare a maturare ulteriori crediti con la proposizione dell'Appello.

L'attività così scissa non rientrava nel biennio previsto dall'art. 2751-bis n. 2 c.c.

Il legale proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte. L'avvocato sosteneva che la prestazione professionale svolta fosse “unitaria” in forza di un unico mandato conferitogli dallo stesso cliente e protrattosi per due gradi di giudizio e tre subprocedimenti cautelari.

Egli quindi poteva invocare l'art. 2751-bis n. 2 c.c. e chiedere il privilegio per le prestazioni riferibili agli ultimi due anni.

Considerando infatti l'attività come inscindibile e “globale” essa sarebbe certamente caduta nel biennio previsto dalla norma.

L'art. 2751-bis n. 2 c.c. stabilisce che sono assistite da privilegio «le retribuzioni dei professionisti, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l'imposta sul valore aggiunto, e di ogni altro prestatore d'opera dovute per gli ultimi due anni di prestazione».

Secondo il ricorrente il Tribunale aveva erroneamente scisso le singole prestazioni rese prima e dopo il biennio antecedente la dichiarazione di fallimento in contrasto però con i principi di unitarietà dell'incarico professionale e del relativo credito.

Nell'ottica del Tribunale le prestazioni di cui si chiedeva il corrispettivo non potevano rientrare nel biennio citato e da ciò derivava l'esclusione del privilegio.

La Corte rigetta il ricorso dell'avvocato ed esamina i differenti problemi relativi all'individuazione del biennio rilevante ex art. 2751-bis n. 2 c.c. con riferimento alle prestazioni rese da un legale.

Al riguardo è importante capire: 1) quale sia il dies a quo per il computo a ritroso del biennio; 2) quali retribuzioni possano considerarsi dovute ai sensi dell'articolo citato.

Quanto al primo aspetto il Collegio ricorda una prima tesi restrittiva ad avviso della quale il dies a quo decorrerebbe unicamente dalla dichiarazione di fallimento.

Secondo invece un'opinione più “aperta”, oggi prevalente, occorre considerare la data di cessazione della prestazione, a prescindere dall'intervallo di tempo che la separa dalla dichiarazione di fallimento (o dalla procedura esecutiva).

Come devono essere intese invece le “prestazioni dovute”?

Il problema non si pone per le prestazioni circoscritte che si concludono con il compimento di un solo atto.

Più complessa è la situazione se vi sono pluralità di incarichi conferiti dal medesimo cliente allo stesso avvocato.

In questo caso sono esclusi dal privilegio gli incarichi conclusi in data anteriore al biennio precedente la cessazione del complessivo rapporto (in questi termini Cass. n. 1740/2014 e n. 12814/2019).

La Cassazione osserva che tale limite serve per tutelare gli altri creditori ed evitare che il creditore “forte” del privilegio si “adagi” sullo stesso e continui ad assumere incarichi professionali dal medesimo debitore finendo per erodere – con una prelazione non soggetta a particolari forme di pubblicità – la garanzia patrimoniale generica degli altri creditori (così Cass. n. 569/1999).

Nello specifico la Cassazione si interroga su come debba essere intesa l'attività professionale dell'avvocato resa in più gradi di un unico giudizio protrattosi per molti anni.

In particolare, il tema è se si è di fronte ad un incarico unico terminato con l'ultimo grado di giudizio o a distinti incarichi relativi a ciascun grado.

La Suprema Corte ricorda l'opinione dottrinale secondo la quale in simili fattispecie l'attività dell'avvocato è da considerare unitariamente al momento della conclusione della prestazione essendo tutti gli atti inscindibilmente connessi gli uni agli altri.

Ciò in conformità alle stesse norme professionali in tema di liquidazione degli onorari e alle disposizioni del codice civile in tema di compenso (art. 2234 c.c.) e di prescrizione (art. 2957 c.c.).

La conclusione della prestazione si verificherebbe quindi al momento della decisione finale.

Tuttavia, la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che, ai fini dell'applicazione del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c., non è il complessivo rapporto professionale tra cliente e avvocato che deve essere considerato, ma, distintamente, ogni singola prestazione professionale al compimento della quale può essere quantificato il compenso relativo anche alla luce del risultato raggiunto, come avviene ad esempio al termine di ogni grado di giudizio (così Cass. n. 806/2001 e ancora recentemente Cass. n. 13849/2019).

Nel ricorso l'avvocato ha sostenuto che la prestazione fosse unitaria e che il momento per la determinazione dell'onorario relativo coincidesse con il termine dell'attività stessa, cioè con la decisione conclusiva della vicenda.

Di conseguenza, poiché prima di tale momento il credito professionale complessivo non era né liquido, né esigibile, le prestazioni relative non potevano considerarsi “dovute” prima.

In altri termini poiché la retribuzione (a prescindere dal momento dello svolgimento effettivo della prestazione) poteva dirsi “dovuta” solo nel biennio anteriore alla cessazione dell'attività, il ricorrente deduceva che il credito relativo andava collocato al privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c.

Secondo la Corte di Cassazione però i requisiti per l'acquisizione della liquidità ed esigibilità del credito non possono essere automaticamente estesi e applicati per individuare lo spazio temporale del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c.

Secondo il Collegio infatti la ratio della norma rimane quella di limitare la collocazione privilegiata ad un limitato spazio temporale rispetto al momento conclusivo della prestazione e non rispetto al momento in cui il corrispettivo diviene liquido ed esigibile.

In altri termini il privilegio dipende dalla prestazione dell'opera in un determinato periodo di tempo e non dalla liquidità/esigibilità del credito.

In conclusione, l'attività dell'avvocato poteva e doveva essere suddivisa, ai fini del biennio rilevante ex art. 2751-bis n. 2 c.c., in autonomi incarichi corrispondenti ai diversi gradi di giudizio e il privilegio poteva essere riconosciuto solo per le attività specifiche conclusesi nell'ultimo biennio del rapporto professionale complessivo.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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