La natura del termine per presentare l'istanza di mediazione secondo la Cassazione
24 Gennaio 2022
Massima
Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, commi 2 e 2-bis d. lgs. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione. Il caso
Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il giudice istruttore disponeva una consulenza grafologica e affidava l'incarico al consulente. A seguito di una successiva istanza, avente ad oggetto le scritture di comparazione, sospendeva i termini stabiliti per il deposito della relazione di CTU e fissava udienza per la comparizione delle parti. In quest'ultima udienza il giudice prorogava il termine previsto per il deposito della relazione del CTU e rinviava la causa all'udienza del 21 settembre 2016, prescrivendo altresì che le parti esperissero, dopo il deposito della consulenza tecnica, ai sensi del d.lgs. 28/2010, art. 5, comma 2, il tentativo di mediazione delegata; assegnava a tale scopo il termine di 15 giorni dal deposito dell'elaborato del CTU, con avviso alle parti che, in mancanza, il giudizio sarebbe divenuto improcedibile. La consulenza d'ufficio veniva depositata il 1 febbraio 2016, in anticipo rispetto al termine che era stato assegnato a tal fine dal giudice (26 febbraio 2016), senza comunicazione di ciò alle parti nè ad opera del ctu nè della cancelleria. Scaduto il termine di quindici giorni assegnato dal giudice senza che nessuna delle parti avesse introdotto la mediazione, la parte opposta Caio depositava, il 25 marzo 2016, istanza di anticipazione dell'udienza del 21 settembre 2016 e il giudice, in accoglimento di essa, anticipava l'udienza all'8 giugno 2016. L'opponente Tizio introduceva la mediazione in data 17 maggio 2016. Con ordinanza del 3 giugno 2016 il giudice istruttore, che aveva nel frattempo ricevuto in data 31 maggio 2016 dalla parte opponente istanza di differimento della udienza di prosecuzione della causa, motivata dalla necessità di concludere la mediazione, confermava l'udienza, originariamente fissata, del 21 settembre 2016. Il giudizio di primo grado proseguiva sino alla pronuncia della sentenza con cui il tribunale dichiarava l'improcedibilità della domanda. La Corte di Appello confermava la decisione di primo grado. Avverso quest'ultima decisione proponeva ricorso per Cassazione Tizio lamentando, per quel che rileva in questa sede, tra gli altri profili, la sua erroneità: - per aver ritenuto il termine previsto del d.lgs. 28/2010, art. 5, comma 2, quale termine endoprocessuale mentre, in realtà, ad esso non si applicherebbe la disciplina prevista dall'art. 152 c.p.c. e l'effettivo esperimento del procedimento di mediazione vale a sanare la sua eventuale tardività; - per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la censura proposta dagli appellanti in ordine al carattere indeterminato del termine di quindici giorni per l'avvio della mediazione, per essere stato, nel caso di specie, il termine agganciato non ad una data certa ma a quella di effettivo deposito della CTU. La Suprema Corte, nell'accogliere il ricorso, afferma il principio di cui alla massima sopra riportata. La questione
Con la sentenza in commento la Suprema Corte affronta per la prima volta la questione, invero assai controversa nella giurisprudenza di merito, della natura del termine quindicinale che il giudice assegna, ai sensi dell'art. 5, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. 28/2010, per la presentazione dell'istanza di mediazione quando dispone l'esperimento di tale tipo di procedura stragiudiziale (si tratta della c.d. mediazione demandata dal giudice o mediazione obbligatoria ope iudicis). A ben vedere la questione è identica anche nel caso in cui il giudice assegni il medesimo termine per l'esperimento del procedimento di mediazione quando questa sia prevista come condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi del comma 1-bis del d. lgs. 28/2010. Le soluzioni giuridiche
Come ricorda anche la decisione in esame sulla specifica questione della natura del termine assegnato dal giudice per l'esperimento della mediazione si sono formati orientamenti divergenti. Secondo un primo indirizzo esso ha natura processuale e, non essendo espressamente qualificato come perentorio, va qualificato come ordinatorio (Trib. Pavia 14 ottobre 2015; Trib. Firenze 4 giugno 2015; Trib. Brindisi 21 gennaio 2020 ed anche il Protocollo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione dell'osservatorio del Tribunale civile di Verona Valore Prassi, par. 5A); secondo un altro orientamento invece si tratta di un termine perentorio (Trib. Varese 20 giugno 2012; Trib. Padova 18 aprile 2018; Trib. Spoleto 19 dicembre 2019; App. Bari 6 ottobre 2021, che ha anche affermato che il termine di cui al secondo comma dell'art. 5 deve ritenersi comunque assegnato in forza di tale previsione seppure non sia stato esplicitamente menzionato nel provvedimento del giudice). Quest'ultimo indirizzo muove dalla premessa secondo cui la perentorietà di un termine, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civ., 23 settembre 2014, n. 19980), può desumersi, anche in via interpretativa, tutte le volte in cui, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso deve essere rigorosamente osservato (Trib. Lecce 3 marzo 2017). Peraltro, secondo entrambi gli indirizzi sopra citati, l'inosservanza del termine determina l'improcedibilità della domanda giudiziale. E' stato infatti chiarito che, anche se si attribuisce natura ordinatoria al termine in esame, l'interessato, per non incorrere nella declaratoria di improcedibilità, deve presentare al giudice un'istanza di proroga prima della sua scadenza, in applicazione dell'art. 154 c.p.c. La sua inerzia determinerà invece gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedendo la concessione di un nuovo termine e determinando l'improcedibilità della domanda giudiziale (Trib. Ravenna, 22 luglio 2019). Un terzo indirizzo ritiene invece che il termine per l'avvio del procedimento di mediazione non ha natura processuale, con conseguente inapplicabilità dell'art. 152 c.p.c., mentre avrebbe natura perentoria il termine fissato dall'art. 6, comma 1, d.lgs. 28/2010 per lo svolgimento del procedimento di mediazione, che il giudice non potrebbe superare e al quale occorrerebbe fa riferimento per stabilire se sia stata osservata o meno la condizione di procedibilità (App. Milano 7 giugno 2017; Trib. Vasto 27 settembre 2017; App. Milano 4 luglio 2019; App. Firenze, 13 gennaio 2020; Trib. Tempio Pausania 19 luglio 2021). Osservazioni
La Cassazione avalla l'ultimo degli orientamenti citati nel paragrafo precedente. La Suprema Corte giunge infatti innanzitutto ad escludere che il termine assegnato per la presentazione dell'istanza di mediazione abbia natura perentoria, sulla base dei medesimi argomenti cui erano ricorse le decisioni da ultimo citate e così riassumibili: - l'art. 5, comma 2, del d.lgs. 28/2010, non prevede espressamente l'improcedibilità come conseguenza dell'inosservanza del termine quindicinale per l'attivazione del procedimento di mediazione demandata (impropriamente qualificata come delegata dalla Suprema Corte); - poiché l'attivazione della mediazione demandata non costituisce una attività giurisdizionale risulterebbe impropria l'applicazione di termini perentori in mancanza di una espressa previsione in tal senso; - l'adozione della sanzione della decadenza richiede una previsione espressa, non desumibile dalla disciplina sulla mediazione; - la natura non perentoria del termine per l'esperimento della mediazione trova conforto nella previsione che il giudice deve fissare una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo di durata della mediazione, fissato in tre mesi dall'art. 6 del d. lgs. 28/2010; - anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perchè tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo. Dal complesso delle predette indicazioni, secondo la sentenza in commento, si dovrebbe desumere che il legislatore ha inteso ricollegare l'improcedibilità al mancato esperimento dell'intero procedimento di mediazione, sotto forma quantomeno del primo incontro, stante il disposto dell'art. 5, comma 2-bis, del d. lgs. 28/2010, e non alla sola inosservanza del termine per la presentazione della corrispondente istanza. La Cassazione peraltro lascia intendere che, perché sia soddisfatta la condizione di procedibilità, la mediazione deve concludersi nel termine di tre mesi, anche qualora la parte interessata la promuova oltre il termine di quindici giorni assegnatole dal giudice. Lo si evince dal passaggio della pronuncia in cui si legge che «ove l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi dell'art. 6 d.lgs. 28/2010, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge». Tale ricostruzione che, a ben vedere, riguarda anche la mediazione obbligatoria ope legis non persuade per varie ragioni. E' indubbio che, come riconosce la sentenza in commento, il d. lgs. 28/2010 non qualifichi il termine per la presentazione dell'istanza di mediazione e che nemmeno ricolleghi espressamente nessuna conseguenza processuale alla sua inosservanza. Le stesse lacune presenta però l'art. 6, comma 1, che fissa in tre mesi la durata del procedimento di mediazione, tanto che in giurisprudenza vi sono opinioni discordi circa la sua natura (secondo Trib. Imperia 11 settembre 2020 e App. Milano 28 giugno 2017 è perentorio, mentre secondo Trib. Monza 26 luglio 2021 è ordinatorio atteso che non è espressamente qualificato come perentorio). Alla luce di tale incertezza la sentenza in esame avrebbe allora dovuto spiegare da quale dato normativo o sistematico ricavi la natura perentoria del secondo dei predetti termini e l'improcedibilità quale conseguenza della sua inosservanza. In realtà una puntuale indicazione a smentita di simili conclusioni si rinviene nella relazione ministeriale al d.lgs. 28/2010. In essa si legge, infatti, a commento dell'art. 6, comma 1, che: «La Commissione giustizia del Senato ha chiesto, sul punto, di precisare la natura perentoria del termine e le conseguenze della sua violazione. Entrambi i suggerimenti non sono stati accolti sia perché la perentorietà è qualificazione che si addice ai termini processuali, quale non è quello in esame, cui dunque non si applica la sospensione feriale di cui alla l. 742/1969; sia perché le conseguenze dello spirare del termine sono già indicate nella ripresa dell'iter processuale». Ora, tali precisazioni chiariscono che il termine in questione non ha natura processuale e che, alla sua scadenza, il processo è destinato, in linea di massima, a proseguire. Si è detto in linea di massima perché nulla impedisce che, se la mediazione non si fosse conclusa entro la data alla quale il giudice ha rinviato la causa nell'assegnare il termine per presentare l'istanza di mediazione, le parti chiedano, necessariamente di comune accordo, di differire la prosecuzione del giudizio. Il d. lgs. 28/2010 non prevede nessuna conseguenza processuale per una simile scelta ed anzi essa potrebbe favorire l'esito conciliativo della lite se le parti sono effettivamente entrate in mediazione senza arrestarsi al primo incontro. Tale sviluppo, del resto, è stato prefigurato nella medesima relazione sopra citata che afferma che «in tale ipotesi la mediazione avrà base puramente volontaristica» e «non sono ragionevolmente prospettabili atti processuali che ne possano impedire il buon esito per il breve differenziale temporale descritto» (la relazione si riferisce alla versione originaria dell'art. 6, comma 1, che prevedeva un termine di durata della mediazione di quattro mesi). Per cogliere invece la natura del termine assegnato dal giudice per l'avvio della mediazione obbligatoria (ex lege o ex officio) occorre verificare quale sia la sua funzione. In una simile prospettiva è arduo negare che sia un termine processuale perché serve ad attivare un procedimento che, pur avendo natura non giurisdizionale, costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale e, per tale ragione, può ritenersi soggetto a sospensione feriale a differenza del periodo di durata della mediazione, il solo dei due che viene citato dall'art. 7 del d. lgs. 28/2010. Se così è non si può sfuggire all'alternativa di considerarlo o ordinatorio o perentorio. Inoltre, come è stato osservato, la sua previsione «risponde alla esigenza di garantire certezza dei tempi di definizione della procedura di mediazioneaffinché la parentesi extraprocessuale, che si apre con l'emissione della ordinanza di rimessione delle parti in mediazione, possa chiudersi entro la data di rinvio del processo» (Trib. Vasto 27 settembre 2017). Di ciò si rinviene un puntuale riscontro nel disposto dell'art. 6, comma 2, del d.lgs. 28/2010, che precisa che il periodo di tre mesi decorre «dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della domanda di mediazione». Da tale previsione si evince come il legislatore abbia strutturato l'istituto in una sequenza costituita, senza soluzione di continuità da: concessione del termine da parte del giudice; presentazione dell'istanza di mediazione e svolgimento del procedimento. Ed allora solo il rispetto del termine per presentare l'istanza di mediazione può assicurare l'osservanza, invero solo tendenziale per quanto si è detto sopra, del termine di durata della mediazione e solo la prospettiva di incorrere nella improcedibilità della domanda è funzionale allo scopo. |