Motivazione atto impositivo e decadenza in tema ICI

Domenico Chindemi
14 Dicembre 2021

Vengono illustrati criteri motivazionali dell'atto impositivo in tema di ICI e i termini di decadenza e prescrizione dell'Ente locale.
Presupposti e soggetto passivo dell'ICI

L'art. 1 del d.lgs. n. 504/1992 prevede che presupposto dell'imposta è “il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa”.

L'art. 2 prevede che, ai fini impositivi, per fabbricato si intende “l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano”. Infine l'art. 8 prevede che l'imposta è “ridotta del 50 per cento per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni”.

Soggetto passivo dell'imposta gravante su un immobile che accede al suolo è il proprietario del terreno il quale, in forza del principio dell'accessione di cui all'art. 934 c.c., acquista a titolo originario ed ipso iure la proprietà della costruzione, senza che rilevi se l'abbia edificata egli stesso o terzi (Cass. n. 20958/2019).

L'accessione è comunemente qualificata come modo di acquisto a non domino, cioè a titolo originario, a favore del proprietario del suolo, senza che in proposito abbia alcun rilievo la volontà del terzo che abbia costruito su suolo altrui, oppure quella del proprietario del suolo stesso. L'accessione opera se la legge o un diverso titolo nulla dispongano in contrario ed è un modo di acquisto della proprietà automatico, a titolo originario.

Si realizza una congiunzione fisica della costruzione con il terreno, che nasce dalla realtà ontologica, senza che abbia in proposito rilievo il titolo di proprietà del terreno o sulla costruzione. Ai sensi dell'art. 935 e segg. del c.c. la circostanza che l'opera sia compiuta dal proprietario del suolo o da terzi è del tutto ininfluente ai fini dell'operatività dell'acquisto per accessione. È stato, altresì, precisato che “il principio dell'accessione, in base all'art. 934 c.c., opera ipso iure al momento in cui la costruzione si incorpora al suolo, sicchè la pronuncia del giudice al riguardo ha natura soltanto dichiarativa” (Cass. n. 5135/1987). La costruzione, anche se realizzata da un terzo, ad esempio il conduttore, entra nel patrimonio del terreno, e diviene di proprietà del proprietario del terreno, sicchè a partire da quel momento il bene – costruzione segue le vicende proprietarie del bene – terreno.

Anche in tema di imposta di registro, si è stabilito che il soggetto che aliena un suolo sul quale un terzo prima della vendita ha realizzato delle opere non può, nel silenzio dell'atto, non trasferire insieme all'area anche l'accessione di cui era divenuto ipso iure proprietario per il solo fatto della costruzione, per cui il valore imponibile del suolo da assoggettare ad imposta di registro va incluso quello del fabbricato che insiste sul terreno, tranne che sussista non un qualsiasi atto scritto di data certa, ma un trasferimento derivativo – traslativo (vendita dell'accessione) o derivativo costitutivo (costituzione di un diritto di superficie), in mancanza del quale opera il principio dell'accessione e la presunzione prevista dalla legge di registro (Cass. n. 5026/1991).

Quindi il contribuente, proprietario del terreno, è tenuto al pagamento dell'imposta comunale sugli immobili in relazione ad un manufatto, acquisito per accessione, anche se abusivo.

Motivazione atto impositivo

Con riferimento alla motivazione dell'atto impositivo è stato più volte affermato dalla S.C. che: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI) l'obbligo di motivazione dell'accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, a contestare efficacemente l'an ed il quantum dell'imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ente impositore nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio di impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva” (Cass. n. 26431/2017; Cass. n. 21571/2004). Ove, pertanto, l'accertamento specifichi detti estremi del rapporto sostanziale, lo stesso deve ritenersi correttamente effettuato. Ciò, pertanto, in coerenza con il carattere di “provocatio ad opponendum” riconosciuto all'avviso di accertamento e, quindi, con l'esigenza che esso consenta al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, onde poterla efficacemente contrastare (Cass. n. 1209/2000, Cass. n. 21571/2004; Cass. n. 14385/2010).

Con specifico riferimento all'ICI, ed in relazione alla determinazione della base imponibile, è stato precisato che: “la motivazione dell'atto di accertamento non può limitarsi a contenere indicazioni generali sul valore del terreno, ma, ai sensi dell'art. 7 della l. n. 212/2000, deve specificare, a pena di nullità, a quale presupposto la modifica del valore dell'immobile debba essere associata, così documentando l'ambito delle ragioni deducibili dall'Amministrazione finanziaria nell'eventuale fase contenziosa e consentendo al contribuente di valutare l'opportunità dell'impugnazione” (Cass. n. 25709/2016), “con specifico riferimento ai parametri indicati dall'art. 5 d.lgs. n. 546/1992” (Cass. n. 2555/2019).

Ne consegue che non è sufficientemente motivato l'avviso di accertamento mancante dello specifico e puntuale riferimento ai parametri vincolanti e tassativi indicati dall'art. 5, del d.lgs. citato (Cass. n. 12658/2016; Cass. n. 2555/2019 cit.).

Pertanto l'avviso di accertamento determina l'imponibile sul valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione. La legge incaca quale modalità per determinare l'imponibile molteplici parametri, quali previsti dall'art. 5 d.P.R. citato, che per le aree fabbricabili devono avere “riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per l'eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi relativi sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratterisiche” e per quanto attiene all'edificabilità, si è chiaramente precisato che questa “non deve essere ipotetica ma effettiva” (Cass. n. 12658/2016; Cass. n. 25709/2016).

L'ente ha la facoltà e non l'obbligo di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili ai fini della delimitazione del potere di accertamento dell'ente stesso (Cass. n. 20872/2010), ai sensi dell'art. 59 del d.lgs. 446/1997, e una eventuale mancanza comporta solo la non assoggettabilità del contribuente incorso in errore alle sanzioni amministrative, difettando nella sua condotta l'elemento psicologico ex art. 5 d.lgs. 472/1997 (Cass. n. 26077/2015).

Occorre, in altri termini, che l'atto contenga una adeguata motivazione, idonea a rendere edotto il contribuente della pretesa impositiva, sia che sia basato sugli stessi dati dichiarati dal contribuente, sia sui criteri indicati dall'art. 5 del d.P.R. 504/1992.

Sull'onere di allegazione della delibera comunale all'atto impositivo vi è contrasto anche nella giurisprudenza di legittimità.

Un indirizzo giurisprudenziale ritiene che “le delibere comunali relative all'applicazione del tributo non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento, ai sensi dell'art. 7 della l. n. 212/2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili al contribuente, ma non anche agli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili” (Cass. n. 30052/2018).

A sostegno di tale orientamento si è ulteriormente precisato che: “l'obbligo di allegazione all'atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto dall'art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), avendo la funzione di rendere comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio e, quindi, non limitate a quelle puramente giuridiche ma comprensive anche dei presupposti di fatto. Ne deriva che sono esclusi dall'obbligo dell'allegazione gli atti irrilevanti a tal fine e gli atti (in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell'avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione”.

Altro orientamento ritiene, invece, anche alla luce dei principi dello Statuto del contribuente (art. 7 l. 212/2000), che l'obbligo motivazionale dell'accertamento possa ritenersi adempiuto tutte le volte che il contribuente sia messo in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, in condizioni di esercitare il diritto di difesa, con cognizione dei fatti, senza dovere ricorrere a ricerche e indagini che non siano di facile attuazione.

Quindi, qualora l'Amministrazione ponga a fondamento dell'atto impositivo delibere comunali deve allegarle o riprodurne il contenuto, nei suoi elementi essenziali, al fine di consentire al contribuente un effettivo esercizio del diritto di difesa, non potendosi l'Ente limitare alla mera indicazione della normativa, soprattutto se secondaria, di riferimento (cfr Cass. 7.2.2005 n. 6201).

Le delibere della giunta Comunale di un Comune di non grandi dimensioni non sono facilmente reperibili da parte del contribuente e il Comune ha l'obbligo di allegarle o riprodurle, quantomeno nella parte di interesse, nell'atto impositivo, al fine di rendere concretamente attuabile il diritto di difesa.

L'art. 7, comma 1 della Legge n. 212/2000, ispirato proprio all'esigenza di rafforzare le garanzie di esercizio del diritto di difesa, ha elevato a requisito essenziale per la validità dell'accertamento, l'allegazione degli atti richiamati nella relativa motivazione.

Alla luce di tali principi deve ritenersi superata una concezione meramente formale e tecnica del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, sostituita dal principio di effettività del contraddittorio costituente elemento caratterizzante non solo della funzione giurisdizionale ma anche dell' attività amministrativa.

I criteri per la determinazione del valore venale del terreno costituiscono elementi essenziali ed indispensabili perché la contribuente possa valutare la pretesa tributaria ed esercitare, quindi, cognita causa, e cioè responsabilmente, il diritto di difesa.

Menzione del responsabile nell'atto impositivo

Priva di rilievo è la denunciata mancanza di indicazione della delibera di nomina del funzionario comunale competente.

Al riguardo va rilevato, infatti, che, in tema di ICI, la delibera di preventiva designazione del funzionario esercente l'attività organizzativa e gestionale dell'imposta, adottata ai sensi dell'art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 504/1992, non deve essere menzionata negli avvisi di liquidazione o di accertamento concernenti detto tributo. Deve presumersi, invero, che l'esercizio della potestà impositiva avvenga nel rispetto dei presupposti di legge, incombendo sul contribuente, che intenda muovere 7 contestazioni al riguardo, l'onere di dedurre e provare l'eventuale assenza o illogicità della delibera medesima (26432 del 08/11/2017; n. 14094/2010).

Decadenza

Occorre accertare il termine iniziale per la dichiarazione da parte del contribuente degli immobili posseduti, da cui computare il termine di decadenza del Comune per la notifica dell'avviso di accertamento ICI.

L' art. 1, comma 161, l. 27.12.2006, n. 296 prevede che “gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d'ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

Tale disciplina aumenta a cinque anni il termine di decadenza, essendo stato abrogato l'art. 1, comma 172 l. 296/2006, con decorrenza 1.7.2007 il previgente art. 71, c. 1. d.lgs 507/1993 che prevedeva il termine triennale di decadenza.

Il comma 171 del medesimo art. 1 l. n. 296/2006 prevede, inoltre, che le nuove disposizioni, tra cui la nuova procedura di accertamento e i relativi termini si applicano anche ai rapporti di imposta precedenti al 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge finanziaria.

Si è affermato, da parte della giurisprudenza della S.C. che “In tema di ICI, ai fini dell'individuazione del dies a quo del termine quinquennale di decadenza del potere di accertamento da parte degli enti locali, previsto dall'art. 1, comma 161, della l. n. 296/2006, occorre distinguere l'ipotesi di omesso versamento dell'imposta (in relazione alla quale deve farsi riferimento al termine entro cui il tributo avrebbe dovuto essere pagato) da quella di omessa dichiarazione (in ordine alla quale deve farsi riferimento al termine entro cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione omessa); pertanto, mentre nella prima ipotesi il primo dei cinque anni previsti dalla norma richiamata è quello successivo all'anno oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato, nella seconda ipotesi esso coincide, invece, con il secondo anno successivo a quello oggetto di accertamento, atteso che il termine di presentazione della dichiarazione scade l'anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta” (Cass. 352//2021).

Inoltre “l'obbligo, previsto dall'art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 504/1992, di dichiarare il possesso degli immobili (o di denunciare le variazioni di quelli già dichiarati) non cessa allo scadere del termine stabilito dal legislatore con riferimento all'inizio del possesso (o, per gli immobili posseduti all'1 gennaio 1993, del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1992) ma permane finché la dichiarazione (o la denuncia di variazione) sia presentata (Cass. n. 27808/2018, Cass. n. 14399/2017).

Decadenza in pendenza di giudizio

L'Ente impositore non può avviare la fase di riscossione coattiva dell'imposta, non esigibile fin tanto che pende il giudizio sull'importo delle rendite catastali, e in tale prospettiva, ai fini dell'individuazione del dies a quo di decorrenza del temine decadenziale di cui all'art. 12, d.Lgs. n. 504/1992, assume rilievo decisivo il momento del “passaggio in giudicato della sentenza che ha definito le rendite catastali”.

Secondo un orientamento il termine decadenziale biennale di cui all'art. 12, d.Lgs. n. 504/1992, entro il quale deve essere formato il ruolo, dopo che l'avviso di liquidazione e/o l'avviso di accertamento siano stati notificati al contribuente, rimane sospeso se pende giudizio sull'importo delle rendite catastali.

Tuttavia va rilevato che l'art. 1 della l. n. 296/2006 ha previsto, in sostituzione di quanto precedentemente disposto dagli artt. 11 e 12 del d.Lgs. n. 504/1992, nuovi termini per la notifica degli avvisi di accertamento e dei ruoli per la riscossione coattiva del tributo, che si applicano, secondo quanto indicato dalla norma transitoria contenuta nel comma 171 del suddetto art. 1, anche a quelle ipotesi in cui sia già intervenuta la notifica dell'accertamento o del ruolo ed il contribuente li abbia impugnati, instaurando un giudizio non ancora concluso al momento dell'entrata in vigore della citata legge (Cass. n. 13066/2017, n. 10958/2011).

Infatti, “la l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, ha riordinato la disciplina dei tributi locali stabilendo, in sostituzione di quanto precedentemente disposto dal d.Lgs. n. 504/1992, artt. 11 e 12, che gli avvisi di accertamento dovevano essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della dichiarazione o del versamento ed i ruoli per la riscossione coattiva entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento era divenuto definitivo; che il comma 171 del medesimo art. 1 sopra citato ha poi previsto l'applicabilità delle cennate disposizioni "anche ai rapporti d'imposta pendenti alla data di entrata in vigore della legge"; che avuto riguardo al tenore letterale ed al significato delle parole usate, deve ritenersi che con esse il Legislatore abbia voluto estendere le nuove regole a tutte le vicende non ancora esaurite, dettando così una disciplina destinata a valere anche per il passato e cioè pure per quei casi in cui fosse già intervenuta la notificazione dell'accertamento o del ruolo ed il contribuente li avesse impugnati, instaurando al riguardo un giudizio non ancora concluso al momento di entrata in vigore della legge” (Cass. n. 10958/2011 citata).

In caso di annullamento di una precedente cartella e di rinnovamento della pretesa, ai fini della decadenza dal potere impositivo dell'Amministrazione finanziaria, l'elevazione da due a tre anni del termine di decadenza dell'ente locale dalla potestà di riscossione dei tributi locali, prevista dall'art. 1, comma 163, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, non ha prorogato ex lege il termine biennale previgente, ma ha introdotto un termine nuovo quanto a durata e decorrenza, individuata dalla definitività dell'accertamento e non più dalla notifica dell'avviso di liquidazione e di accertamento.

Non decade, pertanto, dalla potestà di riscossione l'amministrazione comunale se essa prima che spiri il nuovo termine triennale, provveda a formare e rendere esecutivo il ruolo, a nulla rilevando che, prima dell'entrata in vigore della nuova legge, essa fosse decaduta da tale facoltà alla stregua del termine previgente.

Prescrizione

L'ici definitivamente accertata per mancata impugnazione dell'atto impositivo si prescrive in cinque anni (e non in dieci).

Le S.U. hanno affermato il principio, di carattere generale, secondo cui "la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti - in ogni modo denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo". [Cass S.U. n. 23397/2016]

L'affermazione giurisprudenziale che individua il termine di prescrizione della pretesa fiscale divenuta irrevocabile, per effetto della definizione del procedimento giurisdizionale promosso dal contribuente, in quello decennale, si riferisce alla fattispecie in cui il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è l'atto amministrativo, ma la sentenza.

In tal caso "il diritto alla riscossione di un'imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 (nel testo vigente ratione temporis), bensì al termine di prescrizione decennale previsto dall'art. 2953 c.c. per I actio ludicati." (Cass. n. 9076/2017);

La stessa differenziazione va fatta per il termine di prescrizione maturato dopo la notifica della cartella non opposta, atteso che la definitività data dall'omessa impugnazione non può determinare un mutamento del regime di prescrizione del credito iscritto a ruolo, non essendovi un accertamento giurisdizionale che conduce all'applicazione dell'actio iudicati di cui all'art. 2953 c.c., che decorre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza.

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