Il contrasto giurisprudenziale sull'addizionale regionale per i dirigenti del settore finanziario
02 Dicembre 2021
Premessa
Il legislatore tributario, con l'art. 33 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), ha introdotto un'aliquota addizionale del 10 per cento sugli emolumenti variabili corrisposti ai dirigenti e collaboratori che operano nel settore finanziario, sotto forma di bonus e stock options. La base imponibile su cui applicare tale aliquota veniva (viene) individuata dalla norma nei compensi variabili eccedenti il triplo della parte fissa della retribuzione.
La ratio legis, come si evince dalla relazione illustrativa alla novella, si proponeva di eliminare/limitare gli effetti distorsivi, prodotti sul sistema finanziario e sull'economia mondiale, dal riconoscimento di bonus e stock options collegati agli andamenti del mercato ai manager e agli amministratori di banche ed istituti finanziari, evidenziati nel corso delle riunioni del G20. La norma ha introdotto, come misura di contrasto all'adozione di detti sistemi retributivi, l'applicazione di una addizionale del 10 per cento sui compensi corrisposti a tale titolo che eccedano il triplo degli emolumenti fissi della retribuzione. L'addizionale è disciplinata dalle disposizioni relative alle imposte sul reddito ed è prelevata dal sostituto d'imposta al momento della corresponsione dei compensi in questione. Successivamente, però, lo stesso legislatore, con l'art. 23, comma 50-bis, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) ha aggiunto il comma 2-bis al citato art. 33 disponendo che "per i compensi di cui al comma 1, le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano sull'ammontare che eccede l'importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione”. La posizione dell'Amministrazione finanziaria rispetto a detta modifica è quella per cui è stata introdotta una diversa modalità applicativa dell'addizionale che, quindi, graverebbe non più sulla sola parte della retribuzione variabile che eccede il triplo di quella fissa, ma sulla intera eccedenza di essa rispetto alla parte fissa. Il contrasto giurisprudenziale
La CTR Lombardia, con la sentenza n. 3375 del 27 agosto 2019, ha ritenuto che il presupposto per l'applicazione dell'addizionale regionale si ha solo se la parte variabile della retribuzione supera del triplo la parte fissa. Nell'ottica di limitare gli effetti economici potenzialmente distorsivi propri delle remunerazioni erogate sotto forma di retribuzioni variabili (bonus e stock option) ai manager operanti nel sistema finanziario il legislatore ha mirato ad assoggettare ad addizionale non già qualsiasi ammontare di retribuzione variabile, ma solamente l'ammontare che eccede il triplo della parte fissa della retribuzione. Solamente al verificarsi di tale presupposto inderogabile, chiosavano i giudici milanesi, la base imponibile viene ad essere costituita dalla differenza tra l'intero importo della retribuzione variabile e quello della retribuzione fissa.
Nella medesima direzione la stessa CTR Lombardia, con la sentenza n. 191 del 12 gennaio 2021, affermava che la novella di cui all'art. 2-bis all'art. 33 del d.l. n. 78/2010 ha una evidente natura integrativa della normazione originaria e non certo abrogativa; essa è intervenuta soltanto per modificare la base imponibile del prelievo (che diviene la intera parte della retribuzione variabile eccedente quella fissa) e non i presupposti per la sua applicazione (la percezione di retribuzioni variabili eccedenti il triplo della retribuzione fissa). La ratio legis è stata quella di incrementare la base imponibile del prelievo, mirando più efficacemente a contrastare gli effetti economici potenzialmente distorsivi dei compensi variabili erogati ai managers e collaboratori del settore finanziario, estendendo la base stessa a tutto l'importo dei compensi variabili, ma solo in presenza di situazioni fortemente patologiche e anomale, come è stata ritenuta quella di erogare compensi abnormemente superiore (oltre il triplo) a quelli fissi.
In senso contrario si è espressa la stessa CTR Lombardia con le sentenze nn. 1437 del 13 aprile 2021 e 4079 del 10 novembre 2021. Nella prima, i giudici d'appello hanno statuito che, dal punto di vista oggettivo, il tenore letterale della modifica non lascia dubbi, posto che il legislatore si esprime in modo esplicito, affermando che le disposizioni di cui ai due precedenti commi I e II, cioè l'addizionale introdotta e disciplinata dalla disposizione in esame, deve calcolarsi su un diverso parametro, rappresentato "dall'ammontare che eccede l'imporlo corrispondente alla parte fissa". La Commissione supporta la motivazione con la lettura della relazione al maxi emendamento, presentato in sede di conversione in legge del d.l. n. 98/2011, che ha inserito il comma 2 bis nell'art. 33 del d.l. 78/2010, la quale toglie ogni dubbio in ordine alla fondatezza dell'interpretazione della modifica legislativa se si tiene conto del fatto che è espressamente affermato che "per effetto della presente modifica le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 33 si applicano ...sull'ammontare dei compensi erogati sotto forma di bonus e di stock options, che ecceda l'importo corrispondente alla parte f1ssa della retribuzione". Nella seconda e recentissima sentenza, la Commissione ha affermato che l'interpretazione della norma, come rappresentata dalla giurisprudenza in contrapposizione sopracitata, avvalorerebbe una imposizione contraria al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e capacità contributiva (art. 53 Cost.). Secondo i giudici “del riesame” l'interpretazione letterale (c.d. vox iuris) volta ad attribuire alla norma il significato immediato delle parole usate nel comma 2-bis, prima ancora di una interpretazione costituzionalmente orientata, induce univocamente a ritenere modificato il comune riferimento alla misura tripla della remunerazione variabile, atteso che “per i compensi di cui al comma 1 (e cioè: “remunerazione operate sotto forma di bonus e stock options” … “attribuiti ai dipendenti che rivestono la qualifica di …”) le disposizioni di cui ai commi precedenti (e cioè: “è applicata una aliquota addizionale del 10 per cento” … “è trattenuta dal sostituto d'imposta”… “per l'accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, è disciplinata dalle ordinarie disposizioni in materia di imposte sul reddito”) si applicano sull'ammontare che eccede l'importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione", ammontare eccedente che continua a rappresentare, nella medesima misura, sia il presupposto di imposta, sia la base imponibile. In buona sostanza, sottolinea la Ctr, in linea con quanto sostenuto dall'Ufficio, detta novella ha esteso l'imposizione addizionale a qualsiasi forma di bonus e stock options comunque eccedenti la componente fissa della retribuzione, mantenendo l'omologazione del presupposto d'imposta alla base imponibile. Diversamente opinando, concludono i giudici, si arriverebbe a risultati assolutamente irrazionali atteso che una esigua differenza sul valore soglia di rilevanza fiscale, farebbe passare il contribuente dall'esenzione ad un carico fiscale del tutto sproporzionato. Infatti, mentre chi avesse, ad esempio, una remunerazione fissa di € 1.000.000/00 ed una “variabile” di € 2.999.000/00, non subirebbe l'imposizione addizionale del 10% (risparmiando € 299.900/00), chi invece avesse una remunerazione fissa di € 100.000/00 ed una “variabile” di € 310.000/00, subirebbe l'imposizione addizionale del 10% pari a € 31.000/00!
Con riferimento, poi, al requisito soggettivo la CTR Lombardia (sentenza n. 2606 del 16 novembre 2020) ha precisato che l'addizionale per i dipendenti del settore finanziario è da qualificarsi ai sensi del Titolo V del Testo Unico Bancario (TUB). Secondo la Commissione, la norma istitutiva dell'addizionale sui compensi (bonus e stock options) che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione, attribuiti ai dipendenti che rivestono la qualifica di dirigenti nel settore finanziario, non fa rinvio ad altra disposizione per la definizione di settore finanziario e di conseguenza l'interpretazione sistematica meglio predilige il riferimento al Testo Unico che disciplina la materia bancaria e creditizia nel suo complesso. In particolare, l'art. 106 del TUB, intitolato “Albo degli intermediari finanziari”, istituisce uno specifico albo riservato ai soggetti che operano l'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Vanno, pertanto, esclusi dal prelievo addizionale i compensi attribuiti ai dipendenti di società fornitrici di servizi di consulenza finanziaria. La tesi sul punto dell'Amministrazione finanziaria è quella per cui, in assenza di interventi legislativi che abbiano recepito l'abrogazione del d.lgs. n. 87/1992 (relativo ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari l'identificazione dei soggetti finanziari), l'identificazione dei soggetti finanziari in ambito fiscale continua ad essere effettuata mediante rinvio "statico" al citato provvedimento legislativo. Quest'ultimo, in particolare, rinvia ai contenuti dell'art. 59, comma 1, lettera b), del TUB, che a sua volta rinvia all'articolo 1, comma 2, lettera t), numeri da 2 a 12, del medesimo TUB per la definizione di banche e altri istituti finanziari destinatari della norma; in tale definizione, secondo la tesi dell'Agenzia, vi rientrerebbero anche i soggetti che prestano "consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché consulenza e servizi nel campo delle concentrazioni e del rilievo di imprese" (cfr articolo 1, comma 2, lettera t), numero 9, del TUB).
In senso contrario, nella sentenza n. 1437 del 13 aprile 2021, la Ctr Lombardia ha considerato convincenti le argomentazioni dell'Ufficio in relazione al fatto che la disposizione analizzata, proprio in quanto sceglie di adottare una formula con la quale non individua analiticamente i soggetti destinatari, ma unicamente il settore di appartenenza, permette di includere in esso anche le società di consulenza finanziaria aventi quale oggetto sociale la gestione delle partecipazioni e la concessione di finanziamenti, in quanto oggettivamente in grado di incidere sui mercati finanziari, soprattutto se, come nel caso di specie, è partecipata al 100% da società che esercita attività bancaria. In altre parole, hanno affermato i giudici, se il legislatore avesse voluto ancorare e limitare il settore finanziario all'attività finanziaria "rivolta al pubblico", avrebbe richiamato le disposizioni specifiche ex art. 106 e 155 TUB, che nel sistema del TUB disciplinano gli enti intermediari che sono sottoposti agli obblighi stringenti e formali di iscrizione nel Registro della Banca di Italia e sono soggetti alla specifica disciplina antiriciclaggio.
In conclusione
Stante il contrasto giurisprudenziale su entrambi i profili, si auspica un intervento chiarificatore della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite. |