Crediti sorti nel corso della procedura fallimentare: se non contestati non devono essere insinuati al passivo

17 Novembre 2021

I crediti prededucibili sorti nel corso della procedura fallimentare non contestati per collocazione ed ammontare di cui all'art. 111 bis l.fall., esclusi dall'accertamento con le modalità di cui al capo V della legge fallimentare, non debbono essere insinuati al passivo nel termine di decadenza previsto dall'art. 101, commi 1 e 4 l.fall. e neppure nel limite temporale di un anno, individuato in coerenza ed armonia con l'intero sistema di insinuazione e sulla scorta dei principi costituzionali di cui all'art. 3 Cost. e 24 Cost., decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare.

Un lavoratore presentava nell'aprile 2017 domandaultratardiva” di ammissione al passivo fallimentare per credito maturato a titolo di trattamento di fine rapporto a seguito di licenziamento intimatogli dal curatore fallimentare nel dicembre 2014.

Il giudice delegato negava il credito e il Tribunale respingeva l'opposizione allo stato passivo osservando che il lavoratore aveva insinuato il credito per TFR dopo tre anni dalla comunicazione del curatore di risoluzione del rapporto di lavoro.

Era quindi trascorso il termine di decadenza di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo avvenuto nell'ottobre 2014.

Il lavoratore svolgeva allora ricorso in Cassazione.

Il ricorrente sosteneva che il credito per TFR era sorto dopo la dichiarazione di fallimento pertanto non era soggetto al termine annuale previsto dall'art. 101 l.fall.

La Suprema Corte osserva che nel caso di specie non vi è una norma specifica applicabile.

I Giudici passano dunque in rassegna i principali orientamenti giurisprudenziali emersi in argomento.

Secondo una prima opinione sarebbe applicabile per analogia l'art. 208 l.fall. che onera i creditori ultratardivi di presentare domanda di ammissione al passivo entro 60 giorni dal momento in cui è cessata la causa che impediva loro il deposito tempestivo (così Cass. n. 17594/2019).

Un secondo diverso orientamento – affine alla tesi del ricorrente – escluderebbe invece il termine ex art. 101 l.fall. per l'insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare (così Cass. n. 16218/2015; Cass. n. 13461/2019).

Secondo un ultimo orientamento – ritenuto prevalente – in coerenza con gli artt. 3 e 24 Cost. sarebbe possibile applicare il termine decadenziale di un anno ex art. 101 l.fall. facendolo decorrere dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare o dalla maturazione del credito (Cass. n. 12735/2021, Cass. n. 3872/2020).

Infatti, se il credito sopravvenisse entro il periodo di cui all'art. 101 l.fall. secondo pi Giudici di legittimità sarebbe ingiusto e non conforme alla Costituzione pretendere che il creditore in questione depositi la propria domanda nello spazio temporale residuo rimasto.

Ciò costituirebbe una discriminazione non consentita nei riguardi dei creditori sopravvenuti.

In altri termini si sostiene che le esigenze di celerità della procedura concorsuale non possono comprimere indebitamente quelle di tale tipologia dei creditori.

Secondo questo orientamento quindi il termine annuale previsto dall'art. 101 l.fall. inizia a decorrere dal momento in cui il credito abbia maturato le condizioni di partecipazione al passivo.

Risolta in questi termini la condizione dei "sopravvenuti", la Cassazione si interroga nello specifico cosa occorre fare per i crediti prededucibili non contestati.

In primo luogo, si rammenta che prededucibili sono quei crediti così previsti per espressa norma di legge o perché sorti in funzione o in occasione delle procedure concorsuali.

Nel caso di specie il credito del lavoratore era da considerare prededucibile poiché sorto dopo la dichiarazione di fallimento quindi nel corso della procedura ed a seguito dell'intimazione di cessazione del rapporto di lavoro comunicata dal Curatore medesimo.

Secondo l'art. 111-bis l.fall. tali crediti devono essere accertati secondo le modalità di cui al capo V del R.D. n. 267/1942 (cioè secondo le modalità della verifica crediti), "con esclusione di quelli non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio provvisorio".

I Giudici osservano che la "non contestazione" prevista dalla norma non è la semplice non opposizione di cui all'art. 115 c.p.c., bensì deve tradursi in un vero e proprio contegno ammissivo da parte degli organi della procedura.

In questi casi il Curatore procede al pagamento di tali crediti previa autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato come stabilisce l'art. 111-bis, comma 4, l.fall. Non è necessaria la domanda di ammissione ex art. 93 l.fall.

Nella fattispecie in esame il credito per TFR del dipendente non poteva dirsi contestato dato che derivava da un'intimazione rivolta da parte del Curatore e l'importo era quantificato direttamente nel CUD.

Il credito non avrebbe quindi avuto necessità di alcuna insinuazione al passivo.

Tuttavia, a seguito del primo progetto di ripartizione parziale del dicembre 2016 il lavoratore apprendeva del contrario avviso assunto in quel momento dal Curatore fallimentare e palesatosi solo in quella circostanza.

A questo punto - applicando l'orientamento sopra illustrato - il creditore bene ha fatto a svolgere la propria domanda di ammissione al passivo nell'aprile 2017, cioè entro l'anno dalla comunicazione del provvedimento del curatore (dicembre 2016 come detto) da cui si deduceva la cosiddetta “contestazione”.

La richiesta viene giudicata pertanto tempestiva per i motivi esposti e la Cassazione accoglie il ricorso del lavoratore.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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