Ricorso di fallimento: valido il deposito presso la casa comunale se la notifica via PEC risulta impossibile

06 Ottobre 2021

L'istanza di fallimento è validamente notificata con deposito presso la casa comunale, quando il debitore non provi che sia a sé non imputabile l'esito negativo della notifica telematica.
Il caso

Durante il 2014 la Corte d'Appello di Bari respingeva il reclamo interposto dalla società Alfa avverso la sentenza del Tribunale barese che ne aveva dichiarato il fallimento; a sostegno dell'impugnativa della società fallita era stata dedotta la nullità od annullabilità della notificazione di ricorso e pedissequo decreto di convocazione del legale rappresentante della debitrice, il quale non avrebbe avuto tempestiva conoscenza del giudizio poi sfociato nella declaratoria di fallimento.

Nel rigettare le doglianze di Alfa, la Corte di II grado affermava essere stata osservata la sequenza procedimentale prevista dalla legge, in quanto:

(i) il tentativo di notifica telematica aveva sortito esito negativo per mancata consegna all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) della parte destinataria, quale risultante dal Registro delle Imprese (R.I.);

(ii) i ricorrenti si erano allora attivati officiando l'ufficiale giudiziario competente (ai sensi dell'art. 107, comma 1, D.P.R. n. 1229/1959) della notifica “esclusivamente di persona” – ossia mediante accesso diretto – alla sede legale indicata nel R.I.;

(iii) stante l'irreperibilità della società a detto indirizzo, l'ufficiale giudiziario aveva provveduto al deposito degli atti presso la casa comunale di Bari, secondo le prescrizioni del terzo comma dell'art. 15 R.D. n. 267/1942 (e successive modifiche ed integrazioni).

Avverso tale sentenza la soccombente proponeva ricorso per cassazione deducendo tre motivi:

(a) il Collegio d'appello avrebbe omesso di verificare le ragioni dell'insuccesso della notifica telematica (cosa non avvenuta, a dire di Alfa, a causa della mancata acquisizione del fascicolo informatico dell'istruttoria prefallimentare), e comunque accorgersi che il Tribunale non aveva disposto la notifica tramite il servizio postale;

(b) si sarebbe poi omesso di esaminare un fatto decisivo per l'esito del contenzioso, ossia la praticabilità della via della notifica mediante ufficiale giudiziario e – in subordine – con deposito presso la casa comunale anche laddove l'impossibilità di notificare ricorso e decreto via PEC fosse indipendente dalla diligenza del debitore;

(c) infine, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 15 l.f. nella parte in cui esso reputa perfezionata col deposito presso la casa comunale la notifica dell'istanza di fallimento anche quando l'invio a mezzo PEC non sia andato a buon fine per causa non ascrivibile al soggetto destinatario.

La questione

Il Supremo Collegio si è chiesto nell'ordine:

  • se il triplice gradato meccanismo di notifica di ricorso per la dichiarazione di fallimento e decreto di comparizione, contemplato dal comma 3 del più volte citato art. 15 l.f., garantisca o meno adeguata tutela al diritto di difesa del contraddittore;
  • se la locuzione “per qualsiasi ragione”, contenuta all'interno della norma testé censurata, vada o meno letta come riferita unicamente all'impossibilità di notificazione via PEC per causa imputabile al debitore.
Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha statuito quanto segue:

(i) il motivo inerente alla pretesa incostituzionalità dell'art. 15, comma 3, del R.D. n. 267/1942 è inammissibile, non solo perché la Consulta si è già pronunciata sul tema fugando ogni dubbio circa il pieno rispetto del combinato disposto degli artt. 3 e 24 della Carta fondamentale, avuto riguardo vuoi all'esigenza pubblicistica acceleratoria insita nel procedimento notificatorio speciale in commento, vuoi al fatto che il deposito degli atti introduttivi dell'istruttoria prefallimentare nella casa comunale si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione di obblighi imposti per legge all'imprenditore (qui collettivo), ma anche perché la doglianza della ricorrente non figura accompagnata da alcuna deduzione relativa alle cause di asserita non imputabilità dell'esito negativo della notifica telematica;

(ii) l'imprenditore è responsabile dell'attivazione, tempestivo rinnovo e costante verifica di funzionamento della propria casella PEC, così come della propria costante reperibilità all'indirizzo (fisico) della sede legale risultante dal R.I.;

(iii) la cancelleria, in presenza di un avviso di mancata consegna della PEC recante ricorso e decreto di convocazione del debitore, non ha alcun onere di indagare sui motivi di detto omesso recapito (fra l'altro, nella vicenda in esame, il fascicolo di prime cure era stato regolarmente acquisito al processo), essendo invece il destinatario – proprio in considerazione dei doveri di cui al capoverso precedente – il soggetto gravato della rigorosa prova (al di là di ogni ragionevole dubbio) di disfunzioni informatiche a sé non imputabili ed ostative al buon esito della notifica telematica; prova, quest'ultima, rispetto alla quale l'esistenza di trasmissioni via PEC regolari prima e dopo quella in parola rappresenta un indizio sfavorevole (piuttosto che favorevole) all'interessato;

(iv) la norma speciale è chiara nel vincolare l'ufficiale giudiziario, chiamato in via gradata alla notificazione ex art. 1071 D.P.R. n. 1229/1959, a dar corso all'incombenza “di persona” anziché mediante il servizio postale (fermo restando che l'uso della posta sarebbe ugualmente idoneo, ove attraverso esso il titolare dell'impresa debitrice fosse reso edotto della pendenza a suo carico di una richiesta di fallimento).

Alla luce dei suestesi rilievi, il ricorso di Alfa è stato rigettato, col corollario dell'addebito ad essa di un importo pari al contributo unificato di iscrizione a ruolo (ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002), senza pronuncia sulle spese (gli intimati non essendosi costituiti in giudizio).

Osservazioni

La decisione in commento si colloca nell'ormai consolidato solco tracciato dalla giurisprudenza (anche costituzionale) formatasi in materia di notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del relativo decreto di convocazione dinanzi al Tribunale, il cui iter semplificato concilia – secondo il parametro della cd. autoresponsabilità – la speditezza del procedimento (rispondendo all'ordine pubblico la necessità di contenere il più possibile i danni derivanti dal mantenimento in vita di imprese versanti in stato di insanabile dissesto) e la salvaguardia del diritto di difesa del debitore.

Fin dal 2017 (cfr., tra le più risalenti Cass. civ. nn. 602/2017 e 23728/2017) il Supremo Collegio ha sempre ribadito che il Tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare all'uopo ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell'avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorché la situazione di irreperibilità dell'imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o ad una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico.

Da oltre un decennio, infatti, le società sono tenute a comunicare al Registro Imprese il loro domicilio digitale (v. art. 16, comma 6, del D.L. 29.11.2008, n. 185, conv. dalla L. 28.11.2009, n. 2, e ss.mm.ii.), mantenendolo attivo per i 12 mesi successivi alla loro cancellazione dal R.I., con un meccanismo da ultimo (cfr. l'art. 37, comma 1, D.L. 16.7.2020, n. 76, conv. dalla L. 11.9.2020, n. 120) contemplante per il caso di inadempienza – in aggiunta alle sanzioni di legge - l'attribuzione d'ufficio di una casella PEC destinata alle comunicazioni e notifiche; ed analoga disciplina è stata introdotta dall'art. 5 del D.L. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla L. 17.12.2012, n. 221) per gli imprenditori individuali, a decorrere dal 30 giugno 2013 (mentre l'assegnazione d'ufficio dell'indirizzo PEC è prevista dal secondo alinea del summenzionato art. 37 D.L. n. 76/2020).

Appare evidente che, con l'entrata a regime della sopra enunciata regola dell'attribuzione d'ufficio del domicilio digitale all'impresa (collettiva o individuale) inerte/negligente, diverranno rare – se non addirittura insussistenti – le forme di notifica dettate dall'art. 15, comma 3, l.f. per l'eventualità di esito negativo del tentativo di trasmissione a mezzo PEC; ma sino ad allora il soggetto fallibile avrà l'onere di preoccuparsi di mantenere intatta la propria reperibilità digitale (casella PEC attiva e funzionante) e fisica (presidio operativo di ricezione atti presso la sede legale indicata nel R.I.), non potendo altrimenti lamentare di aver in concreto ignorato le iniziative giudiziarie fallimentari intentate nei suoi confronti.

Val la pena di aggiungere che, stante la specialità della disciplina vigente nello specifico àmbito oggi analizzato, non v'è spazio per esigere l'applicazione degli artt. 138 e ss. o 145 c.p.c., pretendendosi la notifica diretta di istanza di fallimento e decreto di convocazione al titolare della ditta o del legale rappresentante della società, giacché tali modalità notificatorie sono meramente facoltative (cfr. Cass. civ. nn. 4281/2021, 5311/2020, 28803/2018; 16864/2018, 6378/2018, 5080/2018, 602/2017 e 17946/2016).

Inoltre, una volta che la notificazione a cura della cancelleria all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore si sia rivelata impossibile o non abbia avuto esito positivo, l'onere della notificazione ricade definitivamente sul ricorrente, per cui – ove sia stata disposta la rinnovazione della notificazione da questi eseguita – essa dovrà aver luogo a cura del ricorrente medesimo, senza che la cancelleria debba reiterare il tentativo di notifica via PEC (Cass. civ. n. 10511/2020).

Solo quando occorra convocare ex art. 147 l.f. dei soci illimitatamente responsabili per l'accertamento dei presupposti dell'estensione del fallimento di società di persone, la relativa notifica andrà compiuta nelle forme ordinarie e, dunque, ai sensi degli artt. 137 c.p.c. ss. o a mezzo del servizio postale, in quanto “l'art. 15 L.Fall., comma 3, giusta la sua formulazione, regola la sola ipotesi di instaurazione del contraddittorio nei confronti del debitore principale, sia esso un imprenditore individuale o una società commerciale. Invero l'art. 15, comma 3 citato, non reca alcun richiamo all'art. 147 L.Fall., nè i soci illimitatamente responsabili, in quanto tali, sono obbligati a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata da comunicare alla Camera di Commercio, talchè, anche qualora ne dispongano, la irreperibilità all'indirizzo informatico non può essere ritenuta "colpevole", ai sensi e per gli effetti dell'art. 15, comma 3 citato” (così Cass. civ., Sez. VI - 1, ord., 10.3.2021, n. 6526).

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