11 Giugno 2021

I versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare – sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso – hanno natura previdenziale e non retributiva.

I versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare – sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso – hanno natura previdenziale e non retributiva.

Al credito correlato alle contribuzioni dei datori di lavoro ai fondi di previdenza complementare non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall'art. 16, comma 6, legge 412/1991, in quanto non è corrisposto da un ente gestore di forme di previdenza obbligatoria, ma da un datore di lavoro privato.

Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, in virtù dell'art. 55 l.fall., dell'art. 201 l.fall. e dell'art. 83 d.lgs. n. 385/1993 nel testo applicabile ratione temporis, il corso di interessi e di rivalutazione monetaria sui crediti non assistiti da privilegio deve arrestarsi alla data del provvedimento che ha disposto la liquidazione.

Queste le massime che si possono trarre dalla sentenza n. 10684/21, depositata dalle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte il 9 giugno.

La vicenda prende le mosse da una domanda di ammissione al passivo in una procedura di liquidazione coatta amministrativa svolta da un lavoratore dipendente in relazione a contributi sulla retribuzione pensionabile posti a carico del datore di lavoro e per contributi direttamente versati dal lavoratore al fondo pensionistico integrativo.

Il Tribunale aveva riconosciuto il privilegio a tali crediti e aveva consentito il cumulo di interessi e rivalutazione monetaria.

La procedura proponeva appello (rigettato) e successivo ricorso in Cassazione.

La controversia riguarda, come accennato, l'ammissione al passivo nell'ambito di una procedura di liquidazione coatta amministrativa di crediti per contributi relativi a trattamenti pensionistici integrativi versati dal datore di lavoro ad enti di previdenza complementare.

Si trattava nello specifico di contributi versati da Sicilcassa al Fondo Integrativo Pensioni (FIP).

Si evidenzia che la disciplina applicabile ratione temporis è relativa al d.lgs. 385/1993 (TUB) in vigore al settembre 1997, cioè anteriore alle modifiche intervenute nel 2015.

Il tema centrale è la natura previdenziale o retributiva del credito concernente tali versamenti da parte del datore di lavoro e se quindi debba essere riconosciuto il privilegio.

Nell'approfondita motivazione le Sezioni Unite danno atto del precedente del 2015 (sentenza n. 4684) che aveva già risolto il contrasto giurisprudenziale affermando il carattere previdenziale e non retributivo di tali somme.

In particolare, viene sottolineata la differenza essenziale tra previdenza obbligatoria (ex lege) e previdenza integrativa o complementare (ex contractu, come quella appunto della fattispecie in esame): mentre la prima è di carattere generale, necessario e non eludibile, la seconda è solo eventuale e aggiuntiva rispetto ai trattamenti ordinari.

Si è anche spiegato che i versamenti effettuati dal datore di lavoro in favore dei fondi di previdenza non hanno natura retributiva perché sono corrisposti direttamente al fondo e non al dipendente.

Proprio in tema di rapporti Sicilcassa-FIP, la Cassazione ricorda che già con la sentenza n. 6928/2018 si era stabilita la natura previdenziale dei contributi corrisposti da Sicilcassa al fondo citato.

Le Sezioni Unite ritengono di dare continuità a tale orientamento (in base al quale cioè tali crediti hanno natura previdenziale e non retributiva) e da ciò consegue che non è possibile riconoscere agli stessi versamenti il privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 1 c.c..

La Suprema Corte aggiunge inoltre che alla previdenza complementare non è applicabile neppure il regime del privilegio previsto dagli artt. 2753 c.c. e 2754 c.c..

Il primo infatti limita tale riconoscimento ai crediti «derivanti dal mancato versamento dei contributi ad istituti, enti o fondi speciali, compresi quelli sostitutivi o integrativi, che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti».

Il secondo accorda il privilegio anche ai «crediti per i contributi dovuti ad istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale diverse da quelle indicate dal precedente articolo» ma sempre e solo – osserva la Corte – nell'ambito delle forme di previdenza e assicurazione generale obbligatoria.

Una diversa conclusione (nel senso dell'estensione del privilegio anche a forme di previdenza e assicurazione volontaria/integrativa/complementare) comporterebbe una protezione giudicata “irrazionale” e “indiscriminata”.

In conclusione, quindi, i crediti oggetto dell'ammissione al passivo non avevano natura retributiva, ma solo previdenziale e, poiché erano riferibili a forme di assistenza integrativa/complementare, non poteva essere riconosciuto alcun privilegio (né ai sensi dell'art. 2751-bis n. 1 c.c., né dell'art. 2753 c.c., né dell'art. 2754 c.c.).

In senso conforme si riporta la massima del precedente analogo di Cassazione 19792/2015: «I contributi dovuti dal datore di lavoro per la previdenza complementare, originando da un rapporto contrattuale diverso da quello di lavoro subordinato e non essendo legati a quest'ultimo da nesso di corrispettività, hanno natura esclusivamente previdenziale e non retributiva, sicché non concorrono a determinare la base di calcolo del trattamento di fine rapporto né, tantomeno, rientrano tra le forme di previdenza e assicurazione obbligatoria. Ne consegue che, in caso di omesso versamento contributivo, il credito risarcitorio insinuato al passivo del fallimento del datore di lavoro non è assistito da privilegio».

L'altro tema oggetto di analisi delle Sezioni Unite è relativo al cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi legali su tali crediti.

Il divieto di sommare tali valori è contenuto nella legge 30.12.1991, n. 412 all'art. 16, è rivolto alle forme di previdenza obbligatoria ed è dettato sostanzialmente da ragioni di salvaguardia e contenimento della spesa pubblica.

Simile preoccupazione invece non sussiste per i crediti derivanti dalle forme di previdenza complementare poiché queste sono estranee alle risorse finanziarie pubbliche.

Le Sezioni Unite pertanto danno seguito al precedente del 2008 (sentenza n. 6928) in cui si è affermato che al trattamento pensionistico erogato da fondi pensione integrativi, pur avendo natura previdenziale, non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall'art. 16 l. n. 412/1991.

Da ultimo i Giudici individuano il momento da cui decorrono rivalutazione monetaria ed interessi.

Dal principio sopra richiamato per cui a tali crediti non è riconosciuta natura privilegiata, in forza dell'art. 55 l.fall. applicabile anche alle procedure di liquidazione coatta amministrativa (art. 201 l.fall. e art. 83 TUB ante riforma del 2015), discende che il corso degli interessi e della rivalutazione monetaria deve arrestarsi alla data del provvedimento che ha disposto la liquidazione coatta amministrativa e non alla data di deposito dello stato passivo.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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