Onere di diligenza nella notifica telematica: come comportarsi se l'avvocato di controparte erra nell'indicare il proprio indirizzo PEC?

28 Maggio 2020

In seguito all'introduzione del domicilio digitale, è valida la notifica della sentenza di primo grado inviata al difensore della parte avversa soltanto se la stessa è eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9238/20, depositata il 20 maggio.

L'avvocato di una donna danneggiata, dopo aver vinto il contenzioso ed aver fatto riconoscere il diritto della propria cliente al risarcimento dei danni, notificava la sentenza di primo grado, emessa dall'Ufficio del Giudice di pace competente, alla propria controparte, una società, presso la cancelleria del Giudice, in quanto il procuratore dell'ente antagonista, iscritto ad albo extra districtum, aveva indicato nella comparsa di risposta un indirizzo di posta elettronica ordinaria, tra l'altro, accompagnato dalla specifica che lo stesso era precisato ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria. La società condannata proponeva impugnazione, tuttavia, nel farlo notificava l'atto di citazione in appello per via telematica oltre il termine breve di decadenza di giorni trenta. Il Tribunale ordinario in grado di appello, a causa di ciò, dichiarava inammissibile l'impugnazione con ordinanza ex art. 348-bis c.p.c.. A questo punto, la suddetta società proponeva ricorso per cassazione avverso sia alla ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'atto di appello -censurata con due motivi- sia alla sentenza di prime cure, con atto notificato in via telematica all'indirizzo PEC del difensore della donna, estratto dall'indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti, più noto come INI-PEC.

Preliminarmente i Supremi Giudici rilevano che l'ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. può essere pronunciata dal Giudice di appello in relazione alla verifica prognostica dell'infondatezza nel merito dei motivi di gravame, nel caso in cui il giudice di merito ritenga che l'impugnazione non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. La predetta pronuncia di inammissibilità, nella forma dell'ordinanza, rimane pertanto circoscritta esclusivamente all'indicato presupposto legale, in relazione al quale soltanto trova applicazione la disciplina speciale del ricorso per cassazione per saltum avverso la sentenza di primo grado. Consegue che, se pure resa nella forma dell'ordinanza, alla dichiarazione di inammissibilità dell'atto di appello per decadenza dal termine breve di impugnazione va riconosciuta natura di sentenza, come tale impugnabile con ordinario ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., trattandosi di pronuncia su questioni in rito da decidere con sentenza, vertendo su condizioni di ammissibilità dell'atto di appello e non sulla manifesta infondatezza del gravame.

La Suprema Corte, pertanto, ribadisce il principio di diritto secondo cui la decisione che pronuncia l'inammissibilità dell'appello per ragioni processuali, ancorché adottata con l'ordinanza, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo dalle ipotesi in cui tale giudizio venga espresso anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti. D'altro canto, la Suprema Corte osserva che la società in parola risulta aver proposto ricorso per cassazione nei confronti tanto dell'ordinanza ex art. 348 c.p.c. quanto della sentenza di prime cure. Ebbene, se l'impugnazione dell'ordinanza del giudice di appello dichiarativa dell'inammissibilità del gravame per manifesta infondatezza nel merito non è impugnabile con ricorso per cassazione, neanche ai sensi dell'art. 111, comma 7, della Costituzione -a meno che il provvedimento non sia censurato per error in procedendo, nel caso in cui il relativo modello procedimentale sia stato utilizzato al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge-; nel caso di specie la natura sostanziale di sentenza, da riconoscere al predetto provvedimento in forma di ordinanza, preclude la verifica dei limiti di accesso al sindacato di legittimità, poiché la ricorrente ha veicolato l'impugnazione censurando la pronuncia di inammissibilità specificamente in punto di violazione ed errata applicazione delle norme di diritto concernente la disciplina delle notifiche telematiche degli atti giudiziari, introducendo, quindi, motivi relativi a vizi di legittimità pertinenti non alla forma e ai presupposti legali ma al contenuto del provvedimento, in quanto relativo all'accertamento della inammissibilità dell'appello per decorso del termine di decadenza ed alla definizione in rito del giudizio di appello.

Tanto premesso in punto di diritto, per la Suprema Corte l'impugnazione della 'ordinanza-sentenza' è da ritenersi, dunque, ammissibile in quanto, assolvendo ai requisiti prescritti per la proposizione del ricorso ordinario per cassazione, risulta tempestivamente proposta nel termine di 60 giorni dalla data di deposito del provvedimento dichiarativo di inammissibilità nonché ritualmente notificata in via telematica all'intimata, presso l'indirizzo PEC del difensore. Il Tribunale in grado di appello, secondo gli Ermellini, ha infatti errato nel ritenere rituale la notifica della sentenza di prime cure eseguita dal difensore della danneggiata presso la cancelleria del Giudice di pace competente, per non aver quest'ultimo eletto domicilio nel luogo in cui ha la sede l'Ufficio giudiziario procedente né avere indicato, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., nell'atto di costituzione in primo grado l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio Ordine. Pertanto, la Suprema Corte richiama il principio per cui, in materia di notificazione al difensore, in seguito all'introduzione del domicilio digitale, è valida la notifica a questi soltanto se eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'Albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco. Atteso che il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio Ordine e quest'ultimo è obbligato a inserirlo sia nei registri INI-PEC sia nel Reginde, gestito dal Ministero della giustizia.

Di conseguenza, l'errata indicazione negli atti giudiziari di parte dell'indirizzo di posta elettronica certificata dal difensore, non esonera in ogni caso la parte notificante dall'onere di diligenza di accertarsi preventivamente, mediante accesso ai registri pubblici, del corretto domicilio digitale del legale destinatario cui dirige la notifica telematica, diversamente dovendo essere dichiarata invalida la notifica anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest'ultimo, a meno che oltre a questa omissione non ricorra anche la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.

La notifica della sentenza di primo grado eseguita presso la cancelleria del Giudice di pace è stata, in conseguenza, dichiarata nulla ed improduttiva del decorso del termine breve di impugnazione, trovando applicazione il termine di impugnazione cd. lungo, con la conseguenza che la notifica non rispettosa del termine breve ma in linea col termine lungo, è stata ritenuta tempestiva. Per questi motivi, la Suprema Corte ha cassato la ‘ordinanza-sentenza' di inammissibilità, rimettendo la causa al Giudice di appello per l'esame dei motivi di gravame nonché per la liquidazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

(Fonte: www.dirittoegiustizia.it)

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