Gli accordi di riduzione del canone per le locazioni abitative “agevolate”

Paolo Scalettaris
20 Maggio 2020

Un tema che soprattutto oggi, in tempi di emergenza da coronavirus, presenta grande interesse ed attualità in materia di locazione è quello degli accordi di riduzione del canone che molti conduttori - sia nel caso di locazione commerciale sia nel caso di locazione abitativa - propongono ai locatori di stipulare. Le modalità di stipulazione e gli effetti di accordi di tale natura danno luogo a questioni specifiche - la cui soluzione non è facile - nel caso delle locazioni abitative c.d. agevolate, e cioè delle locazioni previste dal comma 3 dell'art. 2, l. n. 431/1998. Due in particolare sono i problemi che si pongono in argomento: da un lato, vi è da chiedersi se l'accordo di riduzione del canone debba rispettare il livello minimo della fascia fissata per il canone dall'accordo locale intervenuto tra le organizzazioni dei proprietari e dei conduttori e quali possano essere le conseguenze del mancato rispetto di tale soglia minima; dall'altro lato, vi è da chiedersi se la stipulazione di un accordo di riduzione del canone renda necessaria l'acquisizione di una nuova “attestazione di rispondenza” del contenuto del contratto all'accordo locale. In questa sede prenderemo in considerazione - dopo avere compiuto un breve esame dei caratteri propri delle locazioni “agevolate” - i quesiti ora indicati.
Il quadro normativo

Nell'attuale situazione di difficoltà derivata dall'emergenza legata all'epidemia da coronavirus, molti sono i problemi che si presentano relativamente ai contratti di locazione sia di natura non abitativa sia di natura abitativa.

Ciò anche in relazione alla richiesta, rivolta da molti inquilini ai propri locatori, di riduzione del canone in ragione delle difficoltà derivate dall'emergenza provocata dall'epidemia. Da sottolineare che in molti casi i locatori - nella prospettiva di “salvare” il contratto di locazione - sono disponibili a raggiungere accordi di riduzione: avviene così che - appunto in molti casi - vengono stipulati accordi che prevedono la riduzione del canone dovuto dal conduttore per periodi più o meno lunghi.

Cercheremo qui di seguito di analizzare alcuni degli aspetti degli accordi di riduzione del canone con riguardo alla tipologia specifica della locazione abitativa c.d. agevolata in relazione alla quale si prospettano problemi anche di carattere applicativo legati alla natura ed allo stesso modo di essere di tale specie di contratto.

Le locazioni abitative

Come è noto, le locazioni abitative trovano la loro disciplina principalmente nella l. n. 431/1998.

Secondo quanto dispone questa legge, i contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo possono essere stipulati seguendo l'uno o l'altro dei due “canali” indicati dalla legge stessa:

  • il canale delle locazioni “libere” (le locazioni di cui al comma 1 dell'art. 2 l. n. 431/1998: locazioni aventi durata di almeno quattro anni più quattro con canone fissato liberamente dalle parti contraenti)
  • il canale delle locazioni “agevolate” (le locazioni di cui al comma 3 dell'art. 2 l. n. 431/1998: contratti che hanno durata di almeno tre anni con proroga di legge di due anni alla prima scadenza, per i quali il testo contrattuale deve rispettare il tipo di contratto allegato al decreto interministeriale di cui all'art. 4 l. n. 431/1998 e per i quali è disposto anche che il canone debba rispettare i livelli minimi e massimi fissati dagli accordi territoriali tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative in sede locale).

Accanto ai due canali ora indicati (canali che presentano differenze anche con riguardo al regime fiscale: per le locazioni “agevolate” in particolare è consentito il ricorso al regime della cedolare secca al 10%), vi sono poi le ipotesi delle locazioni transitorie e delle locazioni transitorie per studenti universitari (si tratta delle tipologie di locazione previste dall'art. 5 l. n. 431/1998): locazioni, queste, che - in considerazione delle specifiche esigenze dell'una o dell'altra parte che le locazioni sono volte a soddisfare - hanno durata più breve delle locazioni c.d. ordinarie e richiedono l'utilizzo ed il rispetto rigoroso dei modelli di contratto allegati al decreto interministeriale che sopra si è ricordato.

Per avere un'idea dell'incidenza delle locazioni c.d. agevolate sull'insieme delle locazioni abitative, va segnalato che secondo il Rapporto annuale sulle locazioni abitative che l'Agenzia delle Entrate presenta ogni anno, nel caso dei contratti registrati nell'anno 2018 rispetto al complesso delle locazioni di natura abitativa con durata non inferiore a tre anni (e dunque rispetto al totale delle locazioni abitative per così dire “ordinarie”) la quota del 30% circa (219.000 contratti) è risultata essere costituita dai contratti “agevolati” mentre il restante 70% circa (499.000 contratti) è risultato essere costituito dai contratti “liberi”.

Consideriamo dunque le locazioni c.d. agevolate, le quali - come si è detto - presentano aspetti specifici e distinti rispetto alle altre tipologie di locazioni.

Le locazioni abitative “agevolate”

La disciplina delle locazioni c.d. agevolate è fornita da una serie di disposizioni che comprendono i commi 3 e 5 dell'art. 2, l. n. 431/1998.

In particolare, il comma 5 dell'art. 2, l. n. 431/1998 prevede che la locazione “agevolata” debba avere una durata di almeno tre anni e che alla scadenza - ove le parti non si accordino per il rinnovo del contratto - essa venga prorogata ex lege per il periodo di due anni, salvo che il locatore non si opponga alla proroga per uno dei motivi di cui all'art. 3, l. n. 431/1998.

E' previsto inoltre (dall'art. 4, l. n. 431/1998) che il singolo contratto di locazione debba essere stipulato nel rispetto dei criteri e delle regole fissate dal decreto interministeriale che si prevede che venga emesso per il recepimento della convenzione nazionale tra le organizzazioni dei proprietari e degli inquilini maggiormente rappresentative a livello nazionale. Il singolo contratto di locazione deve seguire il testo del modello allegato al decreto anzidetto.

E' poi previsto che il canone delle locazioni “agevolate” debba rispettare le fasce dei canoni fissate dagli accordi territoriali tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello locale.

Il decreto interministeriale ex art. 4 l. n. 431/1998 attualmente vigente è il d.m. 16 gennaio 2017 (decreto intitolato: “Criteri generali per la realizzazione degli accordi da definire in sede locale per la stipula dei contratti di locazione ad uso abitativo a canone concordato, ai sensi dell'art. 2, comma 3, l. n. 431/1998, nonché dei contratti di locazione transitori e dei contratti di locazione per studenti universitari, ai sensi dell'articolo 5, commi 1, 2 e 3 della stessa legge”): tale decreto ha fissato una serie di regole circa le modalità di stipulazione e circa i contenuti degli accordi locali tra le organizzazioni anzidette concernenti i contratti “agevolati”, i contratti transitori ed i contratti per studenti universitari. Al decreto sono allegati anche i modelli dei contratti che devono essere utilizzati e rispettati in modo rigoroso per la stipulazione dei contratti secondo ciascuna delle tipologie di contratto ora indicate.

Il comma 8 comma dell'art. 1 del decreto interministeriale anzidetto stabilisce che le parti del contratto di locazione “agevolato” “possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori” nel definire il canone e che gli accordi locali “definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell'accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”.

Per i contratti “agevolati” vi è infatti la possibilità di fruire di benefici fiscali: da un lato, infatti, per i contratti relativi ad immobili siti nei Comuni ad alta tensione abitativa (o comunque nei Comuni che siano individuati attraverso specifica previsione normativa) vi è la possibilità dell'applicazione del regime fiscale della cedolare secca al 10%; d'altro lato, è anche possibile che i Comuni fissino aliquote IMU ridotte per gli immobili oggetto delle locazioni della specie in esame.

La questione del rispetto del livello minimo delle fasce per le locazioni “agevolate”

Un quesito che si pone a proposito delle locazioni “agevolate” riguarda la possibilità di fissare un canone che si collochi al di sotto del livello minimo della fascia fissata con l'accordo locale.

Perché la questione possa essere intesa va ricordato che l'art. 1, d.m. 16 gennaio 2017 ha disposto che “gli accordi territoriali, in conformità delle finalità indicate all'art. 2, comma 3, legge 9 dicembre 1998, n. 431 e successive modificazioni, stabiliscono fasce di oscillazione del canone di locazione all'interno delle quali, secondo le caratteristiche dell'edificio e dell'unità o porzione di unità immobiliare, è concordato, tra le parti, il canone per i singoli contratti”.

Lo stesso articolo indica poi una serie di regole e di elementi che dovranno essere considerati e rispettati da parte delle organizzazioni chiamate alla contrattazione locale nel fissare le “fasce di oscillazione del canone” riferite a zone o sottozone o comunque ad aree del territorio comunale: fasce che sono definite attraverso l'indicazione di un valore minimo e di un valore massimo (comma 3 dell'art. 1 del decreto) la cui misura può essere aumentata nel caso di “durate contrattuali superiori a quella minima fissata dalla legge” (comma 7 dell'art. 1 del decreto).

Il meccanismo è completato dalla previsione secondo cui “nella definizione del canone effettivo, collocato tra il valore minimo ed il valore massimo delle fasce di oscillazione, le parti contrattuali …. tengono conto anche dei seguenti elementi: a) tipologia dell'alloggio; b) stato manutentivo dell'alloggio e dell'intero stabile; c) pertinenze dell'alloggio (posto auto, box, cantina, ecc.); d) presenza di spazi comuni (cortili, aree a verde, impianti sportivi interni, ecc.); e) dotazione di servizi tecnici (ascensore, tipologia del riscaldamento, prestazione energetica, condizionamento d'aria, ecc.); f) eventuale dotazione di mobilio” (comma 4 dell'art. 1).

Ciò che è importante sottolineare è che secondo le previsioni ora ricordate le fasce del canone sono fissate attraverso l'indicazione di un valore massimo e di un valore minimo: e le parti del singolo contratto di locazione dovranno fissare la misura del canone relativo al singolo rapporto all'interno della fascia così determinata dall'accordo territoriale.

Il che significa che nella fissazione del canone dunque dovrà essere rispettato anche il valore minimo della fascia, non essendo consentita la fissazione di un canone che sia inferiore al valore minimo.

Ciò posto, vi è da chiedersi quali conseguenze possano derivare dalla fissazione del canone in un importo inferiore rispetto al valore minimo di fascia.

Ancorché non vi siano precedenti giurisprudenziali che abbiano considerato in modo specifico l'argomento sembra che nel caso debba farsi applicazione dei principi che possono ricavarsi da Cass. civ., sez. III, 27 dicembre 2016, n. 27022, sentenza che ha affrontato in termini ampi e generali il tema delle locazioni “agevolate”. Tale sentenza ha affermato che “va qualificato quale contratto agevolato ai sensi della legge 9 dicembre 1998 n. 431, art. 2, comma 3, un contratto di locazione ad uso abitativo non transitorio che rispetti il tipo di contratto di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 431, art. 4-bis e l'accordo contrattuale definito in sede locale dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, sia quanto a canone e durata che quanto ad ogni altra condizione contrattuale”: invero “la qualificazione di contratto c.d. concordato e la correlata applicazione dei benefici fiscali vengono meno se le parti, pur rispettando la durata legale e la determinazione del canone risultante dagli accordi definiti in sede locale, modifichino, in tutto in parte le altre condizioni contrattuali, in modo da alterare l'assetto dei reciproci interessi precostituito nel modello concordato”.

La sentenza ha poi precisato - con riguardo all'ipotesi in cui il contenuto del contratto si discosti da quello del predetto contratto-tipo - che “in tale eventualità, ferme restando le clausole convenute, il contratto non sarà riconducibile all'art. 2, cit., comma 3, e rientrerà nello stesso art. 2, comma 1, con applicazione della disciplina del contratto ordinario ed esclusione delle agevolazioni fiscali”.

Sulla scorta di quanto afferma la sentenza ricordata, pare dunque debba ritenersi che dal momento che le conseguenze ora indicate sono destinate a verificarsi nel caso in cui il contratto stipulato dalle parti contenga deroghe alle clausole del modello di contratto di cui all'art. 4-bisl. n. 431/1998, a maggior ragione ciò dovrebbe riconoscersi nel caso in cui il canone venisse fissato dalle parti in una somma che si ponesse al di fuori dei confini della fascia determinata dall'accordo locale (si noti infatti che la sentenza pare dare per assolutamente necessario il rispetto della durata legale e del “canone risultante dagli accordi definiti in sede locale”).

Ipotesi questa che corrisponde tanto ai casi in cui il canone venisse fissato in un importo più elevato del livello massimo della fascia quanto anche ai casi in cui il canone venisse fissato in una somma inferiore al livello minimo della fascia.

Ne deriva che - appunto alla luce dei principi affermati dalla sentenza ricordata - dovrebbe ritenersi che anche nel caso di fissazione del canone in una somma inferiore al livello minimo della fascia il contratto non potrebbe considerarsi avere i caratteri richiesti per il contratto “agevolato”.

Come si vede, si tratta di aspetto estremamente delicato attesa la grandissima rilevanza degli effetti di una tale conclusione quanto meno sul piano della perdita dei benefici fiscali (da segnalare invece che per la valutazione della questione sul piano del rapporto privatistico tra le parti sembra che dovrebbero tenersi presenti le previsioni dei commi 4 e 6 dell'art. 13 l. n. 431/1998 le quali - considerando elemento tale da dare luogo alla modifica della natura o del contenuto del contratto di cui al comma 3 dell'art. 2 l. n. 431 solamente il superamento del limite massimo della fascia relativa al canone - condurrebbero a considerare priva di rilievo in tal senso - e dunque appunto sul piano del rapporto privatistico - la fissazione di un canone inferiore al minimo della fascia).

Quella indicata – come detto - è la conclusione alla quale sembra debba pervenirsi alla luce dei principi che possono ricavarsi dalla sentenza sopra ricordata della Corte di Cassazione: vi è però da dire che il ragionamento dovrà essere ulteriormente approfondito e verificato (anche in considerazione del fatto che può apparire contraddittoria – o comunque dubbia sul piano della ragionevolezza – la conclusione per la quale la fissazione di un canone più basso di quello che è stato fissato perché possano essere ottenute agevolazioni conduca al risultato di escludere la possibilità di ottenere tali agevolazioni).

Gli accordi per la riduzione del canone: la questione del rispetto del livello minimo delle fasce

Le considerazioni che abbiamo ora formulato riguardano l'ipotesi che le parti in sede di stipulazione iniziale del contratto fissino un canone che esca dai confini della fascia.

Pare logico però che le medesime considerazioni debbano farsi anche nel caso in cui il canone fuoriesca dai limiti della fascia a seguito di un accordo che intervenga tra le parti medio tempore, nel corso della durata del contratto, e pure nell'ipotesi in cui un tale accordo fosse destinato ad avere efficacia per un periodo di tempo limitato.

Ferma restando la necessità (cui si è fatto cenno più sopra) di ulteriori approfondimenti e verifiche del ragionamento, sembrerebbe corretto pertanto ritenere che anche un accordo che riduca il canone - ove conduca alla fissazione di un canone che si ponga al di sotto del livello minimo della fascia - dia luogo alle conseguenze che possono trarsi dall'applicazione dei principi ricavabili dalla sentenza della Corte di Cassazione che si è ricordata: il contratto non potrebbe pertanto più considerarsi “agevolato” ed in relazione ad esso (salva la questione dei profili privatistici cui si è fatto cenno sopra) non potrebbero trovare applicazione le disposizioni che attribuiscono i benefici fiscali previsti per le locazioni “agevolate”.

Da segnalare che proprio alla luce delle considerazioni ora svolte ed al fine di porre rimedio all'inconveniente segnalato in molte realtà locali sono state avanzate, in relazione agli effetti dell'emergenza da coronavirus, da parte di alcune organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori iniziative volte a cercare di modificare gli accordi locali raggiunti in precedenza o comunque volte a cercare di stipulare ulteriori intese che si aggiungano quali addenda agli accordi già raggiunti in precedenza.

Resta da dire che un profilo particolare delle questioni ora esaminate si ha nel caso in cui la riduzione del canone con fissazione di un importo mensile che si ponga al di sotto del limite minimo della fascia riguardi accordi di riduzione del canone che siano destinati ad avere una durata limitata. In questo caso parrebbe ragionevole che la conseguenza della perdita del carattere “agevolato” del contratto si verificasse solo nell'ipotesi in cui l'insieme dei canoni della locazione si ponesse - in conseguenza della riduzione del canone relativo ad alcune mensilità - al di sotto del minimo della fascia e che invece tale conseguenza non si verificasse nel caso in cui complessivamente, considerando anche i canoni relativi ai mesi nei quali il canone non subisse la riduzione, l'insieme dei canoni restasse all'interno della fascia fissata dall'accordo locale.

Con riguardo alla questione ora indicata un problema aperto - cui però la brevità di queste note non consente di dare soluzione - è quello relativo al quesito se nel caso prospettato dovesse essere preso in considerazione ai fini della verifica del rispetto dei limiti della fascia il canone complessivo dovuto nell'arco di una annualità di durata del contratto (periodo che peraltro - si osserva per inciso - parrebbe corretto che venisse identificato nella annualità “locatizia”, e cioè nei dodici mesi aventi decorrenza dal giorno corrispondente all'inizio della vigenza del contratto, e non invece nell'anno solare e nemmeno nell'anno avente decorrenza dal momento di applicazione della riduzione) ovvero invece il canone dovuto nell'arco dell'intero periodo di durata residua prevista del contratto o addirittura nell'arco dell'intero periodo di durata del contratto (comprensivo anche del periodo già trascorso).

Sta di fatto, comunque, che - quale che sia la risposta che si desse al quesito ora indicato (cui non è agevole dare risposta perché tutte le opzioni prospettate paiono giustificate e persuasive) - sembra ragionevole che, ove il canone complessivamente dovuto dal conduttore restasse all'interno della fascia stabilita dall'accordo locale, il contratto non perdesse il carattere proprio della locazione “agevolata”.

Sottolineato che quelle qui prospettate sono ipotesi di ragionamento che dovranno essere approfondite e verificate, va detto che è in ogni caso consigliabile che - proprio in considerazione della delicatezza delle questioni in discussione - nel testo dell'accordo con il quale le parti disponessero la riduzione del canone venissero indicate in modo chiaro le operazioni ed i meccanismi che si fossero seguiti.

Gli accordi per la riduzione del canone: è necessaria una nuova attestazione di rispondenza?

Altro quesito che si pone è quello che concerne la necessità dell'acquisizione di una nuova attestazione di rispondenza nel caso di riduzione del canone anche per brevi periodi.

Per chiarire i termini della questione è necessario ricordare che per le locazioni “agevolate” il comma 8 dell'art. 1 del decreto interministeriale del 2017 prevede che ove il contratto non venga stipulato con l'assistenza delle organizzazioni rappresentative dei proprietari e dei conduttori la rispondenza all'accordo locale del contenuto economico e normativo del singolo contratto possa essere oggetto di attestazione da parte delle organizzazioni che siano firmatarie dell'accordo territoriale.

Ed a proposito dell'attestazione in questione in data 20 aprile 2018 l'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Coordinamento Normativo ha emanato una risoluzione che ha preso in esame la questione dell'obbligatorietà dell'attestazione: con tale risoluzione l'Agenzia ha affermato - in consonanza con una nota del 6 febbraio 2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - che “per quanto concerne i profili fiscali va considerato che l'obbligatorietà della attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla Pubblica Amministrazione, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell'Accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali”. Dal che - sempre in consonanza con la nota del Ministero anzidetto - è stata tratta la conclusione che “ne consegue l'obbligo per i contraenti di acquisire l'attestazione in argomento, anche per poter dimostrare all'Agenzia delle Entrate, in caso di verifica fiscale, la correttezza delle deduzioni utilizzate”.

Deve aggiungersi, peraltro, che dal momento che l'attestazione di rispondenza è stata prevista dalla disposizione sopra ricordata del decreto interministeriale del gennaio 2017 essa trova applicazione solamente nei confronti dei contratti di locazione “agevolata” che siano stipulati in forza degli accordi locali che fossero intervenuti dopo il decreto interministeriale del 16 gennaio 2017 ed in applicazione di questo: per le locazioni “agevolate” stipulate prima degli accordi locali anzidetti - e dunque per le locazioni stipulate in forza degli accordi locali che fossero stati raggiunti in base al precedente decreto ministeriale - non si pone invece la questione dell'attestazione di rispondenza.

Ciò premesso, considerato dunque che ai fini dell'ottenimento dei benefici fiscali per le locazioni “agevolate” anzidette deve ritenersi obbligatoria l'acquisizione dell'attestazione di rispondenza, vi è appunto da chiedersi se nel caso di stipulazione di un accordo che riduca il canone per una locazione “agevolata” stipulata in base ad un accordo locale intervenuto in applicazione del decreto interministeriale del gennaio 2017 sia necessaria l'acquisizione di una nuova attestazione di rispondenza.

Ancorché sulla questione non si siano avuti ancora approfondimenti né chiarimenti, un primo esame del problema conduce a ritenere che - dal momento che l'attestazione di rispondenza che sia rilasciata relativamente ad un contratto ha quale obiettivo e nel contempo quale limite della sua portata il contenuto del contratto considerato - se il contenuto del contratto venisse modificato la precedente attestazione di rispondenza non potrebbe più essere utilizzata con riferimento a quanto fosse il risultato della successiva modifica: in questo caso si renderebbe pertanto necessaria - con riguardo al nuovo contenuto del contratto - l'acquisizione di una nuova attestazione.

Si noti che il ragionamento vale per ogni caso di riduzione - quale che ne sia l'entità e quale che ne sia il periodo di durata - dal momento che non è possibile affermare con certezza ed a priori che l'applicazione di una riduzione consenta al contratto di rispettare il valore minimo della fascia. In ogni caso in cui si modifichi il contenuto del contratto dunque sarà necessario che sia verificata la corrispondenza del nuovo contenuto del contratto all'accordo locale: e tale verifica dovrà essere effettuata - secondo quanto prevede il decreto interministeriale del gennaio 2017 - da una delle associazioni firmatarie dell'accordo che rilascerà - nel caso di accertamento positivo di rispetto dell'accordo - una nuova attestazione di rispondenza.

Da aggiungere che, nel caso di previsione di riduzione del canone per un periodo di tempo limitato, l'organizzazione richiesta del rilascio dell'attestazione dovrà tenere presente quanto si è detto supra circa la necessità dell'indagine riferita ad un arco di tempo più ampio di quello previsto per l'applicazione della riduzione.

Da segnalare, infine, che un problema ulteriore può porsi con riguardo al testo dell'attestazione di rispondenza ed alle modalità da seguirsi per il rilascio di questa. Come si è già detto, secondo quanto prevede il comma 8 dell'art. 1 del decreto ministeriale del gennaio 2017 gli accordi locali “definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell'accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”.

Gli accordi territoriali che sono stati stipulati fino ad ora dalle organizzazioni locali hanno preso in considerazione - ai fini indicati dalla disposizione ora ricordata - solo il caso dell'attestazione da rilasciarsi con riferimento al contenuto originario del contratto di locazione e non hanno considerato l'eventualità che medio tempore il contenuto del contratto venisse modificato dalle parti. E' dunque possibile che le previsioni contenute nel singolo accordo locale circa il rilascio dell'attestazione di rispondenza - appunto perché dirette a considerare solo l'ipotesi della verifica del contenuto iniziale del contratto - non siano idonee ad essere utilizzate anche in relazione al rilascio di un'attestazione di rispondenza la cui necessità derivasse dalla modifica del contenuto originario del contratto, attestazione che implicasse una nuova verifica quanto alla misura del canone derivante dalla riduzione. Pare chiaro, peraltro, che - ove l'utilizzo delle previsioni dell'accordo locale non consentisse di soddisfare le necessità legate al rilascio di un'attestazione di rispondenza riferita all'accordo di riduzione del canone - sarebbe necessario integrare il contenuto dell'accordo locale - eventualmente con l'introduzione di un addendum - così che potesse essere rilasciata l'attestazione di rispondenza anche con riguardo all'ipotesi della quale abbiamo fino a qui discorso.

In conclusione

Possiamo tirare le fila relativamente alle osservazioni che abbiamo formulato fino ad ora. Da quanto detto emerge che:

  • gli accordi di riduzione del canone, nel caso in cui riguardino contratti di locazione abitativa c.d. “agevolati”, dovranno rispettare i valori minimi della fascia fissati dall'accordo locale;
  • ai fini della verifica del rispetto di tali valori minimi, sembra corretto che il conteggio - nel caso in cui la riduzione sia limitata ad un periodo circoscritto - sia operato sull'importo complessivo dei canoni, comprensivo anche del periodo durante il quale non troverà applicazione la riduzione;
  • in ragione della modifica del canone fissato con il contratto, sembra debba ritenersi che la stipulazione dell'accordo di riduzione renda necessaria l'acquisizione di una nuova attestazione di rispondenza del nuovo contenuto del contratto all'accordo territoriale.
Guida all'approfondimento

Sforza Fogliani - Scalettaris,L'attestazione delle associazioni per i contratti delle locazioni agevolate, transitorie e per universitari, Dossier dell'Editrice la Tribuna, maggio 2019

Scalettaris, Primi appunti in tema di assistenza delle associazioni alla stipula dei contratti di locazione agevolati, transitori e per studenti universitari secondo il d.m. 16 gennaio 2017, in Arch. loc. e cond., 2018, 354

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