Nelle procedure fallimentari per le quali è applicabile ratione temporis l'art. 117 L. fall. nella versione ante D.Lgs. n. 5/2006 non è possibile per i creditori rimasti insoddisfatti richiedere l'assegnazione delle somme non riscosse dai creditori che non si presentano o che sono irreperibili come oggi invece previsto dall'art. 117, comma 4, L. fall. (articolo modificato appunto con il d.lgs. 9.1.2006, n. 5 ed in vigore dal 16.7.2006).
L'art. 117, comma 3, l. fall. nella versione “originaria” stabilisce che le somme dovute ai creditori irreperibili vengono depositate presso un istituto di credito ed il relativo certificato di deposito equivale a “quietanza” con effetti analoghi al deposito liberatorio di cui all'art. 1210, comma 2, c.c.. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 5618/20, depositata il 28 febbraio.
Il caso. Un istituto di credito presentava domanda di ammissione al passivo nel fallimento di una s.r.l. aperto nel 1983.L'insinuazione veniva accolta, ma successivamente l'istituto cedeva il credito. Il cessionario, a distanza di alcuni anni, svolgeva istanza di assegnazione delle somme accantonate a favore dei creditori risultati irreperibili.
Il Giudice Delegato e il Tribunale in sede di reclamo respingevano tale richiesta spiegando che nel caso di specie era applicabile l'art. 117 l. fall. ante riforma del 2006 e che tale norma non prevedeva la possibilità dell'assegnazione delle somme dei creditori irreperibili.
Il cessionario svolgeva allora ricorso in Cassazione.
Creditori irreperibili. L'art. 117 L. fall. al comma 3 nella formulazione ante riforma 2006 così dispone: «Per i creditori che non si presentano o sono irreperibili la somma dovuta è depositata presso un istituto di credito. Il certificato di deposito vale quietanza».
La norma quindi non prevede la destinazione delle somme giacenti su libretti e conti correnti intestati a creditori irreperibili e continua a trovare applicazione per le procedure aperte prima dell'entrata in vigore delle modifiche del d.lgs. 9.1.2006.
La facoltà di rassegnazione è invece oggi prevista dall'attuale formulazione dell'articolo in esame che al comma 4 così recita: «Per i creditori che non si presentano o sono irreperibili le somme dovute sono nuovamente depositate presso l'ufficio postale o la banca già indicati ai sensi dell'articolo 34. Decorsi cinque anni dal deposito, le somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi, se non richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, sono versate a cura del depositario all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, ad apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia».
Oltre a ciò la l. n. 181/2008 ha introdotto il fondo unico di giustizia (FUG) che ha comportato l'apprensione al bilancio dello Stato delle somme non versate ai creditori irreperibili (art. 2, comma 2, lett. c-ter).
Per tali ragioni il Giudice Delegato e il Tribunale avevano respinto la richiesta di assegnazione da parte del creditore.
Secondo il ricorrente però simile impostazione non era condivisibile.
Da un lato perchè la formulazione dell'art. 117 sopra richiamata non sarebbe incompatibile con l'assegnazione ad altri creditori delle somme originariamente spettanti agli irreperibili, visto che la norma semplicemente “nulla dispone” in merito a simile possibilità.
Dall'altro perché la l. n. 181/2008 avrebbe potuto trovare applicazione solo per le nuove procedure fallimentari, quelle appunto post 2006, nel caso in cui nessun creditore avesse richiesto le somme degli “irreperibili” come dispone oggi il comma 4 dell'art. 117 l. fall. («… le somme non riscosse dagli aventi diritto …, se non richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, sono versati … all'entrata del bilancio dello Stato … »).
Da ultimo, secondo il ricorrente, la facoltà di assegnazione agli “insoddisfatti” delle somme degli “irreperibili” sarebbe attuazione del principio generale di responsabilità patrimoniale del debitore previsto dall'art. 2740 c.c..
La Cassazione respinge le tesi del ricorrente brevemente descritte e conferma il provvedimento del Tribunale, osservando in primo luogo che non è vero che l'art. 117, comma 3, l. fall. vecchio testo "nulla dispone" sulle somme non riscosse dagli irreperibili.
La norma anzi specifica che le somme a loro dovute vengono depositate presso un istituto di credito e il certificato relativo “vale quietanza”.
In particolare, tale deposito equivale a distribuzione delle somme al creditore quand'anche questi non si presenti o sia irreperibile.
Quietanza significa quindi "pagamento" posto in essere dalla procedura fallimentare a mezzo di deposito liberatorio.
Gli effetti sono analoghi all'istituto previsto dall'art. 1210 c.c. in base al quale il debitore, eseguito il deposito – accettato dal creditore o dichiarato valido con sentenza passata in giudicato –, è liberato dalla propria obbligazione.
Le somme non riscosse pertanto non sono più "massa attiva" del fallimento, né sono nella disponibilità degli organi della procedura, e neppure sono di proprietà del debitore.
In definitiva nella “vecchia” legge fallimentare non vi era possibilità di attribuzione agli altri creditori delle somme non riscosse da parte degli "irreperibili".
Simile facoltà sarebbe stata introdotta solo nel 2006 con il "nuovo" art. 117 l. fall. sopra riportato.
Il creditore non poteva quindi ambire all'assegnazione di simili importi trattandosi di procedura fallimentare aperta nel 1983 c.c. e per la quale è applicabile l'art. 117 l. fall. nella versione ante 2006.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it