Opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento: la mancata riassunzione determina l'estinzione del giudizio

Emanuele Bruno
18 Febbraio 2020

La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, senza che assuma rilievo che l'eventuale sentenza d'appello, cassata, si sia limitata a definire in rito l'impugnazione della decisione di primo grado ovvero abbia rimesso la causa al primo giudice e, dunque, manchi un effetto sostitutivo rispetto a quest'ultima pronuncia, rispondendo tale disciplina ad una valutazione negativa del legislatore in ordine al disinteresse delle parti alla prosecuzione del procedimento.

La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, senza che assuma rilievo che l'eventuale sentenza d'appello, cassata, si sia limitata a definire in rito l'impugnazione della decisione di primo grado ovvero abbia rimesso la causa al primo giudice e, dunque, manchi un effetto sostitutivo rispetto a quest'ultima pronuncia, rispondendo tale disciplina ad una valutazione negativa del legislatore in ordine al disinteresse delle parti alla prosecuzione del procedimento.

Il caso. Il Tribunale, rilevata l'esistenza di una società di fatto tra differenti persone fisiche, avente ad oggetto la raccolta di risparmio, dichiarava il fallimento della stessa con estensione ai soci.
La Corte d'Appello confermava la sentenza di primo grado.
Uno dei soci falliti proponeva ricorso per cassazione contestando vizio di motivazione in merito alla parte della sentenza che dichiarava l'adesione del ricorrente alla società di fatto.
I Giudici di legittimità accoglievano il ricorso rinviando la causa alla stessa corte d'appello.
Il processo non veniva riassunto.
Il socio vittorioso in cassazione, chiedeva al giudice delegato di emettere un provvedimento, ex art. 393 c.p.c., affinché i fatti richiamati fossero annotati nel registro imprese, nonché, ex art. 116 L. fall., disponesse la cancellazione delle iscrizioni a lui pregiudizievoli oltre al rendiconto da parte del curatore.
Il giudice delegato respingeva le istanze.
Il Tribunale confermava la decisione del giudice delegato.
Il socio proponeva nuovo ricorso per cassazione chiedendo applicazione dell'art. 393 c.p.c. a tenore del quale se la riassunzione non avviene entro il termine (…) l'intero processo si estingue (…).
Afferma la S. Corte che gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento, la cui esecutività in via provvisoria, disposta dall'art. 16, comma 3, l. fall., non è neanche suscettibile del rimedio generale della sospensione ex art 351 c.p.c., in considerazione della essenza e della finalità della procedura fallimentare - possono essere rimossi sia quanto alla determinazione dello status di fallito sia quanto agli aspetti conservativi che al medesimo si ricollegano, soltanto col passaggio in giudicato della successiva sentenza di revoca, resa in sede di opposizione mentre anteriormente a tale momento può provvedersi, in via esclusivamente discrezionale, alla sospensione dell'attività liquidatoria – Cass. Civ. n. 10792/03.

La differenza. La S.C. ha spiegato che la fattispecie in commento è assai differente dal caso di accoglimento della impugnazione e successiva mancata riassunzione del giudizio. Detta ultima fattispecie è stata attenzionata dalla stessa sentenza n. 1079/03 che ha così affermato: nel caso in esame è evidentemente da escludere un giudicato di revoca del fallimento quale conseguenza della sentenza di Cassazione con rinvio, perché al giudice del merito è stato appunto rimesso di accertare se sia qualificabile come artigiana l'impresa di “omissis”. Sicché, essendo ancora "sub judice" la controversa legittimità del fallimento, il fallito non ha diritto alla restituzione, che, come ben rileva il decreto impugnato, è preclusa appunto dalla perdurante esecutività della sentenza dichiarativa del suo fallimento. Né ha alcuna rilevanza in questa fase la sorte che alla sentenza di fallimento sarebbe spettata se il giudizio di opposizione si fosse estinto per effetto della mancata riassunzione dinanzi al giudice di rinvio indicato dalla Corte di Cassazione. Infatti, la riassunzione è già avvenuta, secondo quanto deduce la resistente; e, comunque, la mancata riassunzione non è stata neppure dedotta dal ricorrente.

Effetto devolutivo del reclamo. I Giudici di legittimità hanno chiarito che il reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento produce un effetto devolutivo pieno che investe ed interessa anche i presupposti dichiarativi del fallimento.
L'art. 393 c.p.c. è norma con portata generale. La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, senza che assuma rilievo che l'eventuale sentenza d'appello, cassata, si sia limitata a definire in rito l'impugnazione della decisione di primo grado ovvero abbia rimesso la causa al primo giudice e, dunque, manchi un effetto sostitutivo rispetto a quest'ultima pronuncia, rispondendo tale disciplina ad una valutazione negativa del legislatore in ordine al disinteresse delle parti alla prosecuzione del procedimento – Cass. Civ. n. 6188/14.
La portata generale della norma testé richiamata, ha spiegato la S.C., consente l'applicazione della norma anche alla materia fallimentare (sul punto ha rilevato l'applicazione in materia di esecuzione Cass. n. 4071/10).
Con queste argomentazioni, i giudici hanno accolto il ricorso e rinviato, anche per le spese al Tribunale.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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