Alla quota di spese delle scale attribuita secondo l’altezza di piano non si applica il criterio dei millesimi di proprietà

04 Giugno 2019

La ripartizione delle spese inerenti alla manutenzione e sostituzione delle scale di proprietà comune è sancita dall'art. 1124 c.c., al comma 1, c.c. come innovato dall'entrata in vigore della l. n. 220/2012, ove è stata inserita la regolamentazione degli oneri concernenti gli ascensori. Se è pacifico che...
Massima

Le spese inerenti alle scale comuni devono essere ripartite ai sensi dell'art. 1124, comma 1, c.c., in base al quale la percentuale del 50% va calcolata secondo il parametro dell'altezza di piano in maniera pura, con riguardo a quelle utilità che si traggono in funzione della posizione dell'unità di proprietà individuale all'interno dell'edificio in condominio. Trattasi di principio che pare conforme alla natura mista della norma codicistica che, da un lato, valorizza il parametro legato all'uso ed alle utilità potenziali (nel senso che, certamente, le unità collocate ai piani alti ne traggono in misura maggiore) e, dall'altro, tiene comunque conto del valore millesimale delle diverse unità.

Il caso

Nella vertenza, determinata dall'impugnazione di una delibera assembleare avente ad oggetto l'accertamento di diritti reali e la determinazione dei criteri di ripartizione della spesa inerente alla scala, il Tribunale di Massa - con sentenza non definitiva - aveva stabilito che la scala in contestazione rientrava nel novero dei beni comuni ex art. 1117 c.c.

Il giudizio, incardinato da un condomino contro il condominio e altri partecipanti, proseguiva, quindi, per stabilire il corretto criterio di ripartizione delle spese di gestione e manutenzione prendendo a riferimento le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.

La questione

Il giudice ha, quindi, dovuto esaminare le diverse ipotesi di attribuzione della spesa prospettate dal CTU, ritenute tutte riconducibili ai criteri di cui all'art. 1124 c.c., anche se con una differente graduazione applicativa dei criteri indicati dalla norma. Dal testo della decisione emerge che i punti in contestazione attenevano l'imputazione delle spese inerenti ai “fondi terranei”, nonché le modalità di attribuzione ad essi del 50%, in ragione del coefficiente di altezza, espressamente richiamato dall'art. 1124 c.c. Quanto a ciò, infatti, gli attori avevano sollevato la questione inerente all'applicazione di tale parametro nel senso di accertare se le relative quote, a parità di immobili posti al piano terra, dovessero essere imputate secondo i millesimi di proprietà, oppure calcolando solo il piano di elevazione dal suolo.

Le soluzioni giuridiche

La particolare struttura del complesso edilizio (formato da più corpi di fabbrica serviti da diverse coperture che, tuttavia, per natura e ubicazione non hanno consentito l'applicazione dell'art. 1123, comma 3, c.c.) ha portato a ritenere che la scala, funzionale al raggiungimento del tetto, fosse elemento strutturale e indispensabile per accedere all'edificio posto su più piani e, come tale, definibile parte comune ai sensi dell'art. 1117 c.c.

Da ciò il Tribunale ha derivato che anche i locali terranei - come del resto affermato da orientamento giurisprudenziale consolidato (da ultimo Cass. civ., sez. VI, 12 settembre 2018, n. 22157) devono partecipare a dette spese. Il tutto con una precisazione mutuata da un precedente della giurisprudenza di merito (App. Napoli 1 giugno 2017, n. 2404): ovvero che dette unità dovranno contribuire unicamente per la metà relativa al valore millesimale, essendo pari a zero il coefficiente di altezza.

Quanto, poi, alla ripartizione del 50% riferito al parametro dell'altezza, il giudice ha ritenuto che il criterio da applicare più rispondente alla ratio della norma sia quello di calcolare solo il dato relativo all'elevazione dal suolo. Un criterio puro ed esente, al suo interno, da una ulteriore ripartizione in base alle quote millesimali, poiché - come risulta dal testo della norma - con l'avverbio “esclusivamente”, si sarebbe voluto evitare di reiterare l'applicazione del criterio della proporzionalità già seguito per quella parte di spesa che viene imputata ai condomini in ragione dell'estensione e del valore della proprietà esclusiva.

Osservazioni

Alcune brevi considerazioni di carattere generale aiuteranno a comprendere la portata dell'art. 1124 c.c.

La norma è derogabile per effetto dell'art. 1139 c.c. che non la indica tra le disposizioni non modificabili, quindi i criteri di ripartizione ivi indicati possono essere modificati tramite regolamento di condominio di natura contrattuale ovvero con delibera assembleare assunta con il consenso di tutti i condomini. Nella specie, infatti, non si tratterebbe di modificare l'uso di un bene comune, ma di introdurre una deroga che incide direttamente sui diritti di ciascun condomino. La norma, inoltre, si configura come disposizione speciale rispetto all'art. 1123 c.c. che detta i criteri generali per la ripartizione delle spese comuni, anche se pone delle differenziazioni determinate sia da fattori di uso potenziale (comma 2), sia di uso effettivo commisurato alla struttura e alla collocazione degli stessi beni comuni (comma 3). La particolarità dell'art. 1124, peraltro, non è isolata nel panorama della legislazione condominiale, considerato che rientrano in tale tipicità anche altri beni come le volte, i soffitti ed i solai (art. 1125 c.c.), nonché i lastrici solari ad uso esclusivo (art. 1126 c.c.).

Considerando nel loro insieme tutte queste fattispecie emerge che il legislatore ha pensato di unificarle tutte, pur adottando differenti criteri di ripartizione delle relative spese, per evidenziare anche come l'uso di particolari parti dello stabile debba necessariamente incidere sulla suddivisione degli oneri.

Per quanto concerne la fattispecie oggetto della sentenza in commento si osserva che la modifica intervenuta con la legge del 2012, sulla scorta di una giurisprudenza che aveva pacificamente parificato gli ascensori alle scale per la suddivisione degli oneri (Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2005, n. 3264; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1999, n. 2833), non solo ha introdotto nell'art. 1124 la disciplina di tale impianto ma, con l'inserimento dell'avverbio “esclusivamente”, il cui valore testuale non lascia spazi a dubbi interpretativi, ha definito la modalità di calcolo da applicare per ripartire tra i condomini, nella misura del 50%, i costi solo con riferimento all'altezza del piano dal suolo.

L'aver adottato da parte del legislatore un criterio misto di ripartizione delle spese è stata scelta più che corretta, che affonda le sue radici nel codice del 1942, il quale era stato mosso dall'intento di introdurre un bilanciamento tra gli interessi dei condomini che occupano gli immobili situati ai piani superiori rispetto a quelli che risiedono (ovvero che hanno proprietà immobiliari) ai piani inferiori, fino a considerare quelli situati ai piani terranei.

Detto questo va, tuttavia, considerato che se è vero che sussistono disposizioni generali alle quali fare riferimento, è altrettanto vero che ogni situazione è un caso a sé. Infatti, qualora la stessa scala, configurata come struttura unica ed indivisibile, dovesse portare al piano interrato (dove ad esempio si trovano le cantine) e l'immobile dovesse essere dotato di pertinenza sembra corretto ritenere che anche tale unità dovrebbe partecipare, se pur in minima parte, alle relative spese indicate dall'art. 1124 c.c. ai fini dell'uso.

Va ancora rilevato che la norma in questione fa riferimento esplicito alle spese di manutenzione e di sostituzione che sono differenti da quelle inerenti la pulizia e l'illuminazione. Questo ha sollevato una evidente problematica per individuare i criteri di ripartizione cui fare riferimento, considerate le differenti posizioni assunte dalla giurisprudenza in relazione al fatto che tali oneri sarebbero funzionali a consentire ai condomini un uso più confortevole e sicuro del bene comune. In passato, infatti, si era ritenuto che ad esse i condomini fossero tenuti a contribuire, non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in base all'uso che ciascuno di essi poteva fare delle parti comuni (scale) in questione, secondo il criterio fissato dall'art. 1123, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657).

Di recente (Cass. civ., sez. VI, 13 novembre 2018, n. 29217), tuttavia, la Suprema Corte ha confermato un precedente (Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2007, n. 432) secondo il quale anche queste ultime spese seguono il criterio di cui all'art. 1124 c.c. (espressione del principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c.), indipendentemente dalla destinazione di ciascuna unità immobiliare e proprio in ragione del fatto che il vantaggio che traggono i condomini dall'illuminazione della tromba delle scale varia a seconda dell'altezza dell'immobile dal piano strada.

Guida all'approfondimento

Del Chicca, Sulla ripartizione delle spese per la pulizia delle scale condominiali, in Arch. loc. e cond., 2018, 250;

Triola, Le spese per la manutenzione e «sostituzione» delle scale: chi paga?, in Ammin. immobili, 2017, fasc. 217, 13;

De Tilla, Spese di manutenzione delle scale e negozi di strada, in Arch. loc. e cond., 2013, 494;

Cimatti, La ripartizione della spesa di pulizia ed illuminazione delle scale, in Il civilista, 2008, fasc. 2, 22;

Ditta, Brevi note sulla partecipazione dei proprietari dei negozi alle spese condominiali, in Riv. giur. edil., 2004, I, 499.

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