Regole per l’accatastamento in categoria E, esente da IMU, dei depositi portuali di proprietà di soggetti privati

Giovanni Incerto
08 Maggio 2019

L'articolo, nel commentare la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna 20.09.2018 (dep. 11.03.2019), n. 65/19, focalizza l'attenzione sulla natura e sulle caratteristiche dei beni utilizzati dagli operatori portuali e su come gli stessi debbano essere censiti in catasto. L'analisi si concentra, in particolare, sui depositi portuali posseduti da soggetti privati concessionari e sul loro classamento in categoria catastale E, esente da imposizione locale (IMU) - ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b), del D.Lgs n. 504 del 1992 - qualora gli stessi vengano ritenuti strettamente funzionali alle operazioni portuali.
La stretta funzionalità dei depositi portuali, detenuti dai concessionari demaniali privati, alle operazioni portuali e il loro classamento catastale

La particolarità dell'oggetto del presente articolo risiede sulla natura e sulle caratteristiche dei beni utilizzati dagli operatori portuali. L'attività delle imprese operanti all'interno dei confini dell'Autorità portuale su beni di quest'ultima dati in concessione è un attività esclusivamente e tecnicamente finalizzata alla circolazione delle merci, al loro stoccaggio e a tutte le attività connesse e, nei porti italiani, tale attività ha finalità pubblica, tanto da essere regolamentata da una specifica normativa. La finalità della normativa agevolativa è quella di favorire e sviluppare i collegamenti e i trasporti per mare di merci e persone, garantendo – per espresso input europeo – la libera concorrenza di mercato. Nella quasi totalità dei casi l'utilizzo delle aree - ma anche di ogni altro bene assentito - deve avvenire secondo destinazione ed è gravato da particolari oneri e vincoli e i relativi beni sono destinati a una particolare e stabile finalità.

In pratica le aree o i beni portuali, risultano, a tutti gli effetti, beni demaniali, sia per la loro destinazione espressamente indicata dal legislatore e, quanto alla loro designazione concreta, dalla concedente Autorità portuale, sia – come conseguenza – per l'uso disciplinato dal rapporto concessorio che, per inciso, ha natura obbligatoria e vincolante.

Negli anni Quaranta, la prassi catastale (v. Istruzione n. II del 1942, emanata dalla ex Dir. gen. catasto) aveva elaborato una casistica del gruppo “E” (poi rifluita nel regolamento catastale) includendovi, ad esempio, sub E/1, le “stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei”. Per moltissimi anni gli Uffici del Catasto hanno ritenuto che le unità immobiliari ubicate all'interno di una stazione per servizi di trasporto dovessero automaticamente farsi rientrare nella stessa categoria, anche se non strettamente funzionali al servizio di trasporto. Seguendo tale criterio “localizzativo”, bar, ristoranti, ecc. venivano censiti in E/1 per il solo fatto di trovarsi ubicati all'interno di una stazione. Tale criterio è stato progressivamente superato dalla prassi ministeriale, a partire dal 1997 (vedasi la circ. 27 ottobre 1997, n. 840), trovando, peraltro, il conforto della Corte di Cassazione, secondo cui i manufatti non adibiti a funzioni tipiche di una stazione portuale, ma destinati ad ordinarie utilizzazioni, non possono essere collocati nella categoria E “solo perché ubicati nella zona portuale” (Cass., 28 luglio 2005, n. 15863).

Difatti, se consideriamo i fabbricati esistenti in ambito portuale, possiamo riscontrare l'esistenza di costruzioni con diversa destinazione:

a) uffici dove opera il personale dei terminal o delle compagnie di navigazione,

b) capannoni dove si esercitano attività funzionali allo svolgimento delle operazioni portuali (ad esempio svuotamento e riempimento contenitori);

c) bar e posti di ristoro per gli equipaggi e/o per il personale delle imprese operanti nel porto;

d) strutture per l'imbarco/sbarco di passeggeri delle navi traghetto o di crociera;

e) veri e propri impianti industriali localizzati nel porto (riparazioni e manutenzioni navali, cantieri).

In qualche caso si può anche riscontrare la presenza di abitazioni destinate a privati o di alberghi. Sembra evidente che tutte queste possibili varietà di fabbricati non possano essere considerate nello stesso modo.

Il definitivo superamento del criterio localizzativo è stato sancito dalla Legge Finanziaria per il 2007.

Con tale legge si è, infatti, stabilito che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1 (...) non possono essere compresi immobili (...) destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale” (art. 2, c. 40, Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262, conv. dalla L. 24 novembre 2006, n. 286).

Dalle indicazioni fornite dal legislatore del 2007 non può che trarsi un unico chiarissimo criterio: devono essere censite in “E/1” quelle sole unità immobiliari che risultano strumentali all'attività di trasporto.

Ebbene, in questo senso, va rilevato che presso i “Terminal merci” vengono svolte operazioni strettamente connesse al trasporto: le operazioni portuali. E tali operazioni, come sopra accennato, consistono essenzialmente nel carico e scarico delle merci, ossia in “un servizio integrativo di quello del trasporto marittimo”.

In altri termini, nel caso di un “Terminal” per lo sbarco/imbarco, il classamento in categoria E (comportante l'esenzione da IMU, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b), del D.Lgs n. 504 del 1992) deve riguardare tutte le strutture funzionali all'esercizio delle operazioni di sbarco/imbarco merci e passeggeri (circolare n. 4/T del 13 aprile 2007 dell'Agenzia del territorio).

Nel caso dei porti, quindi, il classamento in E deve avere ad oggetto tutto ciò che è funzionalmente legato alle esigenze dello sbarco/imbarco e dell'istradamento delle merci; mentre non potrebbe riguardare le porzioni di immobili eventualmente destinate, all'interno del porto, alla gestione complessiva dell'impresa: fatturazione, contabilità, ricerche di mercato, acquisizione di ordini, trattative commerciali, redazione di contratti, gestione degli equipaggi, etc.

Il concetto di autonomia funzionale e reddituale acquista, quindi, rilevanza centrale nell'operazione di inquadramento dell'immobile dal momento che la maggior parte dei beni localizzati sui terminali portuali sono funzionalmente rivolti al servizio delle attività portuali ed è difficile sostenere che presentino caratteristiche di autonomia reddituale.

Infatti, la già citata circ. dell'Agenzia del Territorio n. 4 del 2007, al paragrafo 4, elencando quali siano le destinazioni d'uso da ricomprendersi nelle categorie del gruppo E, espressamente include i magazzini e le aree per il deposito temporaneo delle merci. Appare evidente come per tali beni manchino i requisiti dell'autonomia funzionale e reddituale, in quanto tutte le componenti di un terminale portuale e tutte le aree ed immobili nei quali sono svolti servizi strumentali alle attività di trasporto, sono improduttive di reddito in assenza di esse.

Il classamento nella categoria catastale E, esente da IMU, anche in presenza di soggetto concessionario privato

Vi è una obiezione che talvolta sembra emergere da alcuni atti amministrativi interni degli uffici catastali, volta a ritenere che l'appartenenza alla categorie da E/1 a E/9 possa spettare soltanto quando l'immobile in questione (deposito portuale) sia gestito direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico.

Una tale obiezione, invero, appare essere infondata e non suffragata da alcun elemento giuridico e normativo.

Non v'è dubbio che se si dovesse propendere per una simile obiezione, se ne dovrebbe inferire che, quando le attività di trasporto sono esercitate da un privato titolare di una concessione su bene demaniale/portuale, questi non può godere delle esenzioni previste dalla legge.

In verità, ben tre argomenti possono essere opposti a una tale tesi.

In primis, va osservato che ai fini IMU l'esenzione in funzione della natura del soggetto che ha il possesso dell'area è già prevista dall'articolo 7, 1° comma, lett. a) del D.Lgs. n. 504 del 1992, il quale la dispone per gli immobili posseduti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, nonché dai Comuni destinati esclusivamente ai compiti istituzionali.

La successiva esenzione prevista dell'articolo 7.1.b per gli immobili a destinazione speciale ha pertanto carattere oggettivo, nel senso che è stabilita in considerazione della natura dell'attività svolta e non della qualità del soggetto gestore dell'immobile.

In secundis, se si dà rilievo – come è giusto che sia – all'interesse pubblico che riveste un'attività, il fatto che essa sia affidata ad un soggetto privato nulla toglie al suo carattere di attività di pubblico interesse. In campo portuale, le norme che regolano le concessioni demaniali e gli obblighi del concessionario, la funzione di coordinamento e controllo affidata alle Autorità Portuali – enti pubblici sottoposti alla vigilanza del Ministero dei trasporti e della navigazione ai sensi dell'articolo 12 della Legge 28 gennaio 1994, n. 84 – dimostrano chiaramente la natura pubblicistica dell'attività.

In terzo luogo, qualora si volesse in ipotesi accogliere la tesi degli uffici catastali, si creerebbe un'inammissibile differenza di trattamento fra le imprese concessionarie e le altre imprese abilitate a operare nel cosiddetto “porto pubblico” ai sensi dell'articolo 18, 2° comma della Legge 28 gennaio 1994, n. 84. Tale articolo dispone che le Autorità Portuali devono riservare nell'ambito portuale spazi operativi allo svolgimento di operazioni portuali da parte di imprese “non concessionarie”. Poiché nel “porto pubblico” non si potrebbe individuare un soggetto imprenditoriale stabilmente dedicato alle operazioni di sbarco/imbarco, gli spazi e le strutture dedicate a questo scopo sarebbero necessariamente sottratti all'imposizione, con la conseguenza di creare una discriminazione a scapito delle imprese che, invece, spesso affrontando rilevanti investimenti, si sono stabilmente insediate in una zona del porto.

La stessa Circolare n. 4/T del 2006 dell'Agenzia del Territorio, in un passaggio spesso dimenticato dai tecnici, ha chiarito che “…Peraltro, è carattere peculiare dei sistemi catastali il censimento degli immobili solo in funzione delle caratteristiche oggettive degli stessi e delle loro variazioni nel tempo e non in relazione a variazioni di natura soggettiva”.

La posizione della prassi ministeriale

La tesi del classamento in categoria E delle strutture destinate ad essere utilizzate per tipiche attività portuali e, pertanto, prive di autonomia funzionale e reddituale, è stata pienamente accolta e condivisa sia dal Ministero dell'Economia e delle Finanze che da quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, intervenuti in più riprese proprio in soccorso delle imprese concessionarie di aree portuali. I due Dicasteri, infatti, hanno affermato che le aree del demanio marittimo, purché asservite allo svolgimento di operazioni “strettamente necessarie alle attività portuali” e ai “traffici marittimi”, devono essere accatastate in categoria “E/1”, con conseguente esenzione da ICI (ora IMU) [cfr. risoluzione 10 agosto 2009, n. 3/DF; nota Min. infr. e trasp., 7 ottobre 2009; circolari Min. infr. e trasp. 14 gennaio 2010, n. 394 e 28 marzo 2011, n.4487].

Più in particolare, nella risoluzione n. 3/DF del 10 agosto 2009 [titolata “Imposta comunale sugli immobili (ICI). Disciplina tributaria delle aree portuali oggetto di concessioni demaniali], il Ministero dell'Economia ha precisato che l'area portuale “è esente da ICI – ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b), del D.Lgs n. 504 del 1992 – qualora faccia parte di un compendio destinato al traffico marittimo e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali e, come tale, vada incorporata in un'unità immobiliare censita al Catasto Edilizio Urbano nella categoria E/1, specificamente individuata nella circolare n. 4/T del 13 aprile 2007 dell'Agenzia del territorio. “Qualora, invece, all'interno dell'area portuale demaniale si realizzino interventi od opere non destinate agli usi suddetti ed aventi caratteristiche tali da far assumere all'area, o a porzione di essa, natura di un'autonoma unità immobiliare ai sensi del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, si deve procedere alla presentazione delle dichiarazioni in catasto, rappresentando le variazioni intervenute. Dette unità immobiliari potrebbero, quindi, essere assoggettate al pagamento dell'ICI (IMU) nell'eventualità in cui venissero accertate in una categoria diversa da quelle richiamate nel gruppo “E” del quadro di qualificazione catastale”.

Tale indirizzo, ancorché proveniente da fonte autorevole e gerarchicamente sovraordinata agli uffici dell'Agenzia delle Entrate - Territorio, non sembra essere stato preso in considerazione dagli uffici locali, che continuano, ostinatamente, nel voler censire in una categoria commerciale/industriale, infrastrutture - quali i depositi portuali - strettamente funzionali allo svolgimento delle attività portuali.

L'intervento del legislatore con la Stabilità per l'anno 2018

Con la Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. Legge di Stabilità per l'anno 2018), il Legislatore sembra aver voluto rimediare, ancorché tardivamente, alle penalizzazioni subite dalle imprese concessionarie di aree demaniali, stabilendo, all'art. 1, commi 578 e ss., che alcune specifiche tipologie di immobili situati nei porti di rilevanza economica nazionale ed internazionale di competenza dell'Autorità di Sistema Portuale, a decorrere dal 1 gennaio 2020 "costituiscono immobili a destinazione particolare, da censire in catasto nella categoria E/1, anche se affidati in concessione ai privati".

Si tratta in particolare: a) delle banchine e delle aree scoperte adibite alle operazioni e ai servizi portuali di cui all'art. 16, primo comma, della Legge 28 gennaio 1994, n. 84; b) delle connesse infrastrutture stradali e ferroviarie; c) dei depositi ivi ubicati strettamente funzionali alle suddette operazioni e servizi portuali; d) delle banchine e delle aree scoperte dei medesimi porti adibite al servizio passeggeri, compresi i crocieristi.

Se tale è il senso della novella legislativa, allora si può ritenere che, nonostante la destinazione di tali immobili ad uso commerciale o industriale - che rappresenta il presupposto per l'applicazione dell'IMU in capo ai concessionari di beni demaniali - la norma consente l'attribuzione della categoria E purché gli stessi immobili siano funzionali alle operazioni e servizi portuali o al servizio passeggeri, compresi i croceristi.

A nostro modo di vedere, tuttavia, tale modifica legislativa (che, come detto, entrerà in vigore dal 1° gennaio 2020) non sembra apportare alcuna novità, in quanto ad una banchina o ad un'area scoperta (nonché le connesse infrastrutture stradali e ferroviarie) affidate in concessione ad un privato e adibite alle citate operazioni e servizi portuali (in particolare al carico, scarico, trasbordo, deposito temporaneo, movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale) era già attribuibile la categoria E, visto che tali immobili sono inquadrati, secondo quanto indicato nella citata Risoluzione n. 3/DF del 10 agosto 2009, come "compendi destinati ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali", nonché, secondo quanto indicato nelle citate linee guida di cui alla Circolare n. 4/2007 del 13 aprile 2007, come "aree per il deposito temporaneo e la movimentazione delle merci". Anche alle banchine e alle aree scoperte adibite al servizio passeggeri, compresi i crocieristi, dovrebbe potersi attribuire la categoria E, quanto meno in relazione a quelle utilizzate per l'imbarco e lo sbarco dei passeggeri, dei rifornimenti e delle provviste di bordo, per le aree di rispetto e di sosta dei veicoli asserviti alla stazione, potendo tali immobili essere ricondotti nell'ambito dei punto i), v) e x) delle linee guida di cui alla citata circolare del 2007.

Pertanto si può ritenere come, in relazione alle categorie di immobili sopra elencate, la novella legislativa non abbia apportato particolari benefici rispetto a quanto risulti sulla base delle interpretazioni rinvenibili nei predetti documenti di prassi.

In conclusione. L'ineccepibile sentenza dei giudici di Ravenna

Con la sentenza in commento (Ctp Ravenna, sent. 11 marzo 2019, n. 65/19) i giudici hanno ritenuto classificabile in categoria E, esente da IMU - ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b), del D. Lgs. n. 504 del 1992 - un deposito merci ritenuto strettamente funzionale alle attività portuali. Più in particolare, la società ricorrente aveva ricevuto dalla società titolare di concessione demaniale marittima, il diritto a costruire, sull'area portuale, il deposito merci, con il vincolo di utilizzo esclusivo per le operazioni di carico e scarico portuale. La ricorrente aveva ben documentato che il deposito, poiché impiegato al fine di consentire lo sbarco delle merci dalle navi, adempieva a funzioni strettamente connesse alla gestione dello scalo portuale. Veniva richiamato a tal fine l'articolo 16 della Legge 28 gennaio 1994, n. 84, secondo il quale, per “operazioni portuali” s'intende “il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito portuale”. Da quanto si desume dagli atti processuali, il deposito era direttamente servente alle operazioni portuali, non poteva essere distolto da tale specifica finalità

Le argomentazioni svolte dalla ricorrente sono state condivise dal collegio ravennate, che ha la valorizzato la circostanza che l'immobile fosse vincolato all'utilizzo quale esclusivo deposito delle merci scaricate dalle navi in transito. Tali condizioni, agli occhi dei giudici, sono state sufficienti per escludere la presenza nel bene di qualsiasi strumentalità all'esercizio di una attività commerciale produttiva. Al contrario, sono apparse invece chiare tutte quelle peculiarità tipologiche-funzionali tali da (i) far ritenere l'immobile in questione funzionale ad una attività di pubblico interesse e (ii) da permetterne l'inserimento in categorie catastali che esulano da una mera logica di commercio o di produzione industriale. Infine i Giudici convergono sul fatto che le operazioni portuali, così come definite dall'art. 16 della Legge 28 gennaio 1994, n. 84, possono essere considerate di servizio pubblico anche se svolte e/o prestate dalla società private in virtù di concessione demaniale. Ciò in quanto il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito ed il movimento in genere delle merci e d'ogni materiale svolti nell'ambito portuale e che non prevedano una loro specifica lavorazione e/o manipolazione, sono tutte attività connesse e complementari ai trasporti marittimi.

Tali conclusioni sono avvalorate anche dalla richiamata Legge 27 dicembre 2017, n. 205, che, all'art art. 1, commi 578 e ss., prevede che i depositi ubicati nelle aree scoperte dei porti costituiscono immobili a destinazione particolare da accatastarsi nella categoria E/1, anche se affidati in concessione a privati.

Le conclusioni raggiunte dalla Commissione di Ravenna paiono ineccepibili, sia sotto il profilo giuridico-interpretativo, sia sotto quello logico/sistematico.

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