Sulla legittimazione ad agire dell’o.e. escluso dalla procedura di gara avverso il provvedimento di aggiudicazione. Profili di diritto interno ed eurounitario

Redazione Scientifica
05 Gennaio 2019

Sussiste una ipotesi di carenza di legittimazione, una volta che nei confronti del ricorrente sia stata accertata una causa ostativa alla partecipazione alla procedura di gara...

Sussiste una ipotesi di carenza di legittimazione, una volta che nei confronti del ricorrente sia stata accertata una causa ostativa alla partecipazione alla procedura di gara (cfr. in questi termini: Cons. Stato, Ad. plen. 7 aprile 2011, n. 4; sulla compatibilità con il diritto europeo sugli appalti pubblici, ed in particolare con la direttiva “ricorsi” n. 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, di una regola di diritto interno che nega la legittimazione ad impugnare gli atti di procedure di affidamento ad un concorrente da essa definitivamente escluso, cfr. Corte di Giustizia dell'Unione europea, sentenza 21 dicembre 2016, in causa C-355/15, GesmbH).

Non si ravvisano ragioni per superare questo orientamento della giurisprudenza nazionale, risultante conforme ai principi eurounitari.

Elementi in senso contrario non possono essere nello specifico ricavati dall'ordinanza dell'Adunanza plenaria dell'11 maggio 2018, n. 6, di rimessione alla Corte di giustizia dell'UE della questione pregiudiziale concernente i rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale “escludente”.

In questa diversa fattispecie viene in rilievo la questione dell'ordine da seguire nell'esaminare i contrapposti mezzi di impugnazione degli atti di una procedura di gara in relazione all'utilità ritraibile da ciascun ricorrente, ed in particolare dal ricorrente a titolo principale, laddove entrambe le impugnazioni siano accolte e pertanto nessuno dei due conseguirebbe l'aggiudicazione, ma di quest'ultima potrebbe invece beneficiare un terzo concorrente rimasto estraneo al giudizio. Per contro, nel presente contenzioso si darebbe ingresso all'esame della legittimità del provvedimento conclusivo della gara su iniziativa di un operatore economico che non ha alcun titolo a parteciparvi e che non è dunque portatore di alcuna posizione qualificata a contestare le determinazioni ivi assunte dall'amministrazione, ma è risultato titolare di un interesse di mero fatto.

ul punto va ribadito – in linea con quanto già affermato dalla citata sentenza dall'Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4 – che la legittimazione ad agire è una condizione dell'azione giurisdizionale posta su un piano logico-giuridico prioritario rispetto all'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., e che la verifica di quest'ultimo postula che sia positivamente superata quella concernente la prima.

Va poi specificato al medesimo riguardo, in continuità con il consolidato orientamento della giurisprudenza, che nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici l'operatore economico è titolare di un interesse giuridicamente rilevante che lo legittima a seriamente proporre l'impugnativa giurisdizionale solo se ha partecipato alla gara o da essa non è stato escluso, salve le eccezioni – qui non integrate – in cui si contesti in radice l'indizione della gara o all'opposto la mancata indizione, o infine si impugnino direttamente le clausole del bando immediatamente escludenti (in questo senso si è espressa ancora una volta l'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con la sentenza 26 aprile 2018, n. 4; in precedenza, in senso conforme, la stessa Adunanza plenaria con la sentenza 25 febbraio 2014, n. 9).

In contrario rispetto a quanto finora osservato non induce poi la sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 29 dicembre 2017, n. 31226, pure richiamata dall'appellante principale (ed erroneamente indicato col numero 41226).

Quella pronuncia ha affermato che integra l'ipotesi di rifiuto di giurisdizione deducibile come motivo di impugnazione davanti a sé delle sentenze del Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost., il caso in cui il giudice amministrativo di ultima istanza non esamini le questioni concernenti la legittimità dell'aggiudicazione, impugnate con motivi aggiunti dal ricorrente a sua volta escluso dalla gara, con provvedimento originariamente impugnato dallo stesso, ma giudicato legittimo nell'ambito del medesimo giudizio. Più precisamente, la sentenza ha affermato che il mancato esame delle censure riguardanti l'aggiudicazione della gara proposte dal ricorrente legittimamente escluso da essa integra il «radicale stravolgimento delle norme dell'Unione europea come interpretate dalla Corte di giustizia» - nello specifico dalle sentenze 4 luglio 2013, C-100/12, Fastweb e 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica - «incidente nel senso di negare alla parte l'accesso alla tutela giurisdizionale, che ridonda in rifiuto di giurisdizione», deducibile come motivo inerente a quest'ultimo presupposto processuale ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost. poc'anzi richiamato (cfr. il § 2.6.3 delle “ragioni della decisione” della sentenza).

La pronuncia in questione, non vincolante in questione giudizio, non appare considerabile come un precedente in grado di orientare la presente decisione. La sentenza ha infatti affermato il principio in esame sulla base di un'applicazione evolutiva del concetto normativo dei motivi inerenti alla giurisdizione, ritenuto tuttavia dalla Corte costituzionale non conforme con la disposizione costituzionale in essa espresso.

La sentenza 18 gennaio 2018, n. 6 della Corte Costituzionale ha infatti affermato che l'eccesso di potere giurisdizionale deducibile ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost. è integrato nelle «sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici» (§ 15 della parte “in diritto”).

La sentenza costituzionale ha per contro escluso che siano soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le sentenze di questo Consiglio di Stato «“abnormi” o “anomale”», o quelle in cui si sia determinato «uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”», perché attraverso una simile interpretazione estensiva dei motivi inerenti alla giurisdizione, per l'ineliminabile coefficiente soggettivo ad essa sotteso, viene attribuita «rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio» e si creano incertezze nella «definizione degli ambiti di competenza» (§ 16). La sentenza costituzionale ha dunque concluso affermando che «non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda» (§ 17).

Secondo la Corte di giustizia dell'UE una simile preclusione non è contraria al diritto eurounitario sulle procedure di affidamento di contratti pubblici ed in particolare al principio del ricorso “efficace” ed “accessibile” a chiunque abbia interesse a contestarne l'aggiudicazione, sancito dall'art. 1, par. 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 (che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori). Ciò è stato in particolare affermato nella sentenza 21 dicembre 2016, in causa C-355/15, GesmbH, sopra citata.

La pronuncia in questione della Corte di giustizia dell'UE ha precisato che una situazione del genere si distingue da quelle esaminate nei propri precedenti di cui alle sentenze Fastweb e Puligienica, per il fondamentale rilievo che «in tali due cause ciascuno degli offerenti contestava la regolarità dell'offerta dell'altro nell'ambito di un solo ed unico procedimento di ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell'appalto, ciascuno vantando un analogo legittimo interesse all'esclusione dell'altrui offerta e dette contestazioni potendo indurre l'amministrazione aggiudicatrice a constatare l'impossibilità di procedere alla selezione di un'offerta regolare», mentre in quello di cui alla sentenza GesmbH «il gruppo ha depositato un ricorso, in primo luogo, avverso la decisione di esclusione adottata nei propri confronti e, in secondo luogo, avverso la decisione di aggiudicazione dell'appalto ed è nell'ambito del secondo ricorso che esso invoca l'irregolarità dell'offerta dell'aggiudicataria» (§ 32). Sul punto la Corte di giustizia ha specificato che ai sensi del sopra citato art. 1, par. 3, nonché dell'art. 2 bis della direttiva 89/665, l'esercizio di ricorsi efficaci in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici è consentita «ad ogni partecipante escluso», anche nei confronti della successiva aggiudicazione, «fintantoché detta contestazione è pendente» (§ 34).

Proprio quest'ultima condizione è mancante nel caso di specie, come in quello deciso dalla Corte di giustizia, mentre vi ricorreva nella diversa fattispecie esaminate dal giudice nazionale non solo nelle sentenze Fastweb e Puligienica, ma anche nella sentenza 10 maggio 2017, C-131/16, Archus, pure richiamata dalla Cassazione nella sentenza del 29 dicembre 2017, n. 31226, in precedenza esaminata (nella fattispecie oggetto della sentenza Archus non vi era infatti stato alcun provvedimento di esclusione divenuto definitivo).

Peraltro, la tesi contraria affermata dalla Corte di Cassazione conduce a configurare il giudizio di impugnazione di atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici come un'ipotesi di giurisdizione di diritto oggettivo in assenza di una base normativa. Per contro, sulla generale natura di giurisdizione di diritto soggettivo del processo amministrativo si è espressa l'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 13 aprile 2015, n. 4, che con specifico riguardo al contenzioso sui contratti pubblici ha fatto richiamo al solo potere del giudice di modulazione degli effetti della dichiarazione di inefficacia del contratto, ai sensi degli artt. 121 e 122 c.p.a.., quale ipotesi specifica rientrante nei «limitatiambiti» di giurisdizione di diritto oggettivo (§ 3 della parte “in diritto”).

Pertanto, laddove il presente giudizio dovesse estendersi alle questioni concernenti la partecipazione alla gara del raggruppamento temporaneo aggiudicatario, formato dalla Monteco e dal Consorzio Nazionale Servizi, dedotte dalla ricorrente Tekneko, si potrebbe pervenire ad una pronuncia di accertamento di una causa di esclusione del medesimo concorrente aggiudicatario, senza che a ciò consegua alcun utile per la parte ricorrente, poiché a sua volta già esclusa dalla gara.

All'obiezione secondo cui una simile pronuncia soddisferebbe l'interesse strumentale alla rinnovazione della procedura di affidamento – in linea con l'orientamento della Corte di giustizia nella più volte citate sentenze Fastweb, Puligienica e Archus, deve tuttavia ribadirsi, per un verso, che l'interesse strumentale non sana la carenza di legittimazione ad agire in giudizio, quale condizione dell'azione avente carattere pregiudiziale rispetto alla prima, e per altro verso deve affermarsi che tale interesse può essere soddisfatto sollecitando il potere di autotutela decisoria dell'amministrazione, autonomo rispetto all'esito del presente contenzioso.

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