Consumazione dell’impugnazione
07 Novembre 2018
Inquadramento
Nel vigente ordinamento processuale civile è operante il principio generale della consumazione del potere di impugnazione, per effetto del quale, una volta che la parte abbia esercitato tale potere, non può successivamente introdurre nuovi e diversi motivi di censura, neppure sotto forma di impugnazione incidentale, anche se non sia ancora decorso il termine per impugnare in base agli artt. 325 e 327 c.p.c.. Il principio della consumazione del diritto di impugnazione risulta dettato per il giudizio di appello dall'art. 358 c.p.c. e per il giudizio di cassazione dall'art. 387 dello stesso codice. In taluni casi, di cui si dirà appresso, il principio non è, tuttavia, operativo. Principio della consumazione del potere di impugnazione. In genere
Il principio della consumazione del diritto di impugnazione risulta dettato per il giudizio di appello dall'art. 358 c.p.c. e per il giudizio di cassazione dall'art. 387 dello stesso codice. In forza di tale principio, la parte che ha proposto l'impugnazione non può successivamente introdurre nuovi e diversi motivi di censura, neppure sotto forma di impugnazione incidentale, anche se non sia ancora decorso il termine per impugnare in base agli artt. 325 e 327 c.p.c. (si vedano, per l'appello, Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2007, n. 11870 e Cass. civ., sez. lav., 28 gennaio 2010, n. 1863; si vedano, per il giudizio di cassazione, Cass. civ., sez. un., 10 marzo 2005, n. 5207 e Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 2011, n. 27898). Peraltro, poiché per espressa previsione normativa (si vedano i disposti degli artt. 358 e 387 c.p.c.), la consumazione del diritto di impugnazione presuppone l'esistenza – al tempo della proposizione della seconda impugnazione – di una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della precedente, in mancanza di tale (preesistente) declaratoria, è consentita la proposizione di un'ulteriore impugnazione (di contenuto identico o diverso) in sostituzione della precedente viziata e destinata a sostituirla, a condizione che il relativo termine per impugnare non sia decorso (si vedano, per l'appello, Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2006, n. 15082; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2010, n. 9058; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2848; Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2016, n. 12084; Cass. civ., sez. VI, ord., 28 febbraio 2018, n. 4754; si vedano, per il giudizio di cassazione, Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2007, n. 16207; Cass. civ., sez. VI, ord. 29 novembre 2016, n. 24332; Cass. civ., sez. I, ord., 29 settembre 2017, n. 22929). Deve tenersi presente che la tempestività della seconda impugnazione è da verificare, allorché sia mancata la notificazione della sentenza, non solo tenendo conto del termine semestrale (annuale, per i giudizi venuti in essere in data anteriore al 4 luglio 2009), che comunque non deve essere già spirato al momento della richiesta della notificazione della seconda impugnazione, ma anche del termine breve, il quale decorre dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, da parte dell'impugnante (principio consolidato in giurisprudenza, peraltro non condiviso dalla dottrina maggioritaria – si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. I, 3 settembre 2014, n. 18604; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2848; Cass. civ., sez. V, 13 luglio 2017, n. 17309; Cass. civ., sez. VI, ord. 28 febbraio 2018, n. 4754; Cass. civ., sez. VI, ord. 4 giugno 2018, n. 14214). In particolare, con riguardo all'appello, per le cause in cui si applica il rito del lavoro, è stato affermato che il termine (breve) per la proposizione della seconda impugnazione decorre dalla data di deposito del ricorso, determinandosi, con tale atto, la pendenza del giudizio di appello (Cass. civ., sez. lav., 8 febbraio 2016, n. 2478). Consumazione del potere di impugnazione in sede di appello e di ricorso per cassazione
i) Ai sensi, rispettivamente, dell'art. 358 e dell'art. 387 c.p.c., l'appello o il ricorso per cassazione che siano stati dichiarati inammissibili (art. 331, comma 2, c.p.c. per entrambi i tipi di impugnazione; artt. 365 e 366, comma 1, c.p.c. per il ricorso) o improcedibili (art. 348 c.p.c. per l'appello; art. 369, comma 1, c.p.c. per il ricorso) non sono riproponibili, neppure qualora non sia decorso il termine fissato dalla legge per impugnare (si vedano, con riferimento al giudizio di appello, Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2007, n. 11870 e Cass. civ., sez. lav., 28 gennaio 2010, n. 1863; si vedano, con riferimento al giudizio di cassazione, Cass. civ., sez. un., 10 marzo 2005, n. 5207; Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 2011, n. 27898). ii) In tema di giudizio di cassazione, l'art. 366 c.p.c. si applica anche al controricorso, così che esso deve essere proposto con un unico atto nel rispetto dei previsti requisiti di contenuto e forma, dovendosi ritenere inammissibile la successiva notifica di un nuovo atto, a modifica od integrazione del primo, sia, per quel che concerne l'indicazione dei motivi, ostandovi il principio della consumazione dell'impugnazione, sia se esso abbia lo scopo di colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti per la valida impugnazione (Cass. civ., sez. lav., 3 marzo 2015, n. 4249). Nel recente periodo, la Suprema Corte, allineandosi a non risalente arresto delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2568), ha rivisto parzialmente il proprio pensiero e, pur ribadendo, con riguardo al giudizio di cassazione, che la parte che ha proposto l'impugnazione, una volta ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un'altra parte, non può successivamente introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, né ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile, ha affermato che tale secondo ricorso resta esaminabile come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l'impugnazione avversaria (Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2016, n. 9993). Impugnazioni incidentali e impugnazioni incidentali tardive
i) Nel sistema processuale vigente, l'impugnazione che sia proposta per prima determina la costituzione del rapporto processuale, nel quale devono confluire a pena di decadenza le eventuali impugnazioni di altri soccombenti (art. 333 c.p.c.), affinché sia mantenuta l'unità del procedimento e sia resa possibile la decisione simultanea (principio dell'unicità del processo di impugnazione) (v. ex multis, Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2009, n. 10124; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1671; Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2015, n. 5695;; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2016, n. 2516). Ne consegue che, sia nel caso di appello sia nel caso di ricorso per cassazione, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale, siano esse impugnazioni incidentali tipiche, proposte cioè contro l'impugnante principale, siano esse, invece, impugnazioni incidentali autonome, in quanto dirette a tutelare un interesse del proponente non nascente dall'impugnazione principale, e da far valere nei confronti dell'impugnante principale, ma per un capo diverso ed autonomo della pronuncia impugnata (v. sentenze citate nella nota precedente). ii) Ai sensi dell'art. 334 c.p.c., le parti contro le quali sia stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio in cause inscindibili possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse sia decorso il termine per impugnare od abbiano fatto acquiescenza alla sentenza . La ratio di tale disposizione è da riconoscere nell'opportunità di garantire alla parte parzialmente (virtualmente o realmente) soccombente, che è disposta ad accettare la sentenza se anche la controparte la accetta, di attendere la decisione di quest'ultima. Si tiene, cioè, in conto che l'interesse ad impugnare può sorgere (in caso di soccombenza virtuale) o risorgere (in caso di soccombenza reale) allorché sia proposta impugnazione ad opera di un'altra parte.
Principio di consumazione e appello incidentale
É stato ritenuto inammissibile l'appello incidentale tardivo, che riproponga le medesime censure già introdotte dalla stessa parte mediante l'appello principale, sebbene proposto prima che l'originario gravame fosse dichiarato inammissibile, sul rilievo che, qualora sia decorso il termine utile per l'impugnazione principale, non trova applicazione il principio desumibile dall'art. 358 c.p.c., secondo cui la consumazione del diritto di impugnazione si verifica solo se, al momento dell'introduzione del nuovo gravame sia già intervenuta la dichiarazione d'inammissibilità o improcedibilità di quello precedente (Cass. civ., sez. VI, ord. 22 maggio 2018, n. 12584). Sul tema si veda anche il punto vi) dell'ultimo paragrafo. Principio di consumazione e ricorso per cassazione incidentale
Con riguardo al giudizio di cassazione, è stato affermato che la proposizione del ricorso principale per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che la parte che ha proposto l'impugnazione, una volta ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un'altra parte, non può successivamente introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, né ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile, pur restando esaminabile come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l'impugnazione avversaria (Cass. civ., Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2568; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2016, n. 9993). Sul tema si veda anche il punto vi) dell'ultimo paragrafo. Processo tributario
In tema di contenzioso tributario, l'art. 60 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riproducendo la formulazione letterale dell'art. 358 c.p.c., rende applicabile il principio in virtù del quale la consumazione dell'impugnazione, che ne preclude la riproposizione anche nell'ipotesi in cui non sia ancora scaduto il termine stabilito dalla legge, opera soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d'inammissibilità o di improcedibilità della prima, con la conseguenza che, fino a quando tale declaratoria non sia intervenuta, può essere proposto un nuovo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché tale atto risulti tempestivo, in rapporto al termine breve, decorrente, in caso di mancata notificazione della sentenza, dalla data di proposizione del primo atto di appello, che equivale alla conoscenza legale della decisione da parte dell'impugnante (Cass. civ., sez. VI, 11 luglio 2012, n. 11762; Cass. civ., sez. VI, ord. 28 febbraio 2018, n. 4754). Sono ipotizzabili varie situazioni in presenza delle quali il principio di consumazione dell'impugnazione deve ritenersi non operativo. Ci si limita a ricordare i casi di maggiore interesse. i) La consumazione del potere di impugnazione presuppone l'esistenza di due impugnazioni della medesima specie. Di conseguenza, non si ha consumazione del potere di impugnazione quando il suo esercizio sia stato preceduto da un'impugnazione di specie diversa. La proposizione dell'appello contro una sentenza non è, pertanto, preclusiva del successivo ricorso per cassazione (principio affermato da Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 1996, n. 2014 in riferimento ad un giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione di pagamento di sanzione amministrativa pecuniaria dapprima appellata e, successivamente, previa declaratoria di inammissibilità dell'appello, fatta oggetto di ricorso per cassazione; principio ribadito con maggiore estensione da Cass. civ., Sez. Un., 15 novembre 2002, n. 16162 ed ormai consolidatosi). In tali casi, ciò che importa ai fini dell'ammissibilità della seconda impugnazione è unicamente la sua tempestività, irrilevante essendo l'eventuale declaratoria di inammissibilità della prima impugnazione (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2013, n. 12113). ii) Nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, il primo dei quali non sia stato depositato o lo sia stato tardivamente dal ricorrente, è ammissibile la proposizione del secondo, anche quando contenga nuovi e diversi motivi di censura, purché la notificazione dello stesso abbia avuto luogo nel rispetto del termine breve decorrente dalla notificazione del primo, e l'improcedibilità di quest'ultimo non sia stata ancora dichiarata, non comportando la mera notificazione del primo ricorso la consumazione del potere di impugnazione (Cass. civ., sez. V, 19 ottobre 2016, n. 21145; Cass. civ., sez. V, 11 maggio 2018, n. 11513). iii) La notifica della citazione in appello, non seguita da iscrizione della causa a ruolo, non consuma il potere di impugnazione, atteso che la consumazione del diritto di impugnazione presuppone l'esistenza – al tempo della proposizione della seconda impugnazione – di una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della precedente, per cui, in mancanza di tale (preesistente) declaratoria, è legittimamente consentita la proposizione di un'altra impugnazione (di contenuto identico o diverso) in sostituzione della precedente viziata, purché il relativo termine non sia decorso. Per la verifica della tempestività della seconda impugnazione, occorre aver riguardo non (rectius: non solo) al termine semestrale/annuale, che comunque non deve essere decorso, ma a quello breve il quale, solo in difetto di anteriore notificazione della sentenza appellata, può farsi decorrere dalla data di proposizione della prima impugnazione che equivale alla conoscenza legale della decisione impugnata (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2010, n. 22957). iv) In conformità ai principi costituzionali del giusto processo, diretti a rimuovere gli ostacoli alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, e quindi a ridurre le ipotesi di inammissibilità, escludendola ogniqualvolta non sia comminata espressamente dalla legge, il principio di consumazione dell'impugnazione è da intendere in senso restrittivo, precludendo lo stesso la riproposizione del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile (anche se non è scaduto il termine previsto dalla legge) solo nel caso in cui sia già intervenuta declaratoria da parte della Suprema Corte, e non anche nel caso in cui la parte emendi il citato vizio, come avviene nel caso di secondo ricorso proposto, pur con maggior ricchezza di argomentazioni, dalla parte che esplicitamente ha rinunciato al primo (Cass. civ., sez. V, 11 maggio 2012, n. 7344). v) Pronuncia risalente ha affermato che la consumazione del potere di impugnazione non si verifica in caso di declaratoria di nullità dell'impugnazione, la quale non preclude la proposizione di un secondo appello valido, sempre ovviamente che non siano decorsi i termini (Cass. civ., sez. lav., 21 maggio 1984, n. 3132; anche in questo caso vale, comunque, il principio secondo il quale la notificazione dell'appello viziato fa decorrere il termine breve di impugnazione (Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1998, n. 1162). vi) L'acquiescenza parziale prevista dall'art. 329, comma 2, c.p.c., è configurabile solo nell'ambito della medesima causa, ovvero di cause inscindibili o dipendenti, non potendosi configurare, al di fuori della ipotesi particolare disciplinata dalla predetta disposizione, l'esistenza di un generale principio di consumazione del potere di impugnazione fondato sulla acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate; pertanto, è ammissibile l'impugnazione incidentale proposta dall'impugnante principale a seguito dell'impugnazione incidentale della controparte (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19171; Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2010, n. 15980; Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2016, n. 3952). vii) É controverso se l'estinzione del giudizio di appello determini la consumazione del potere di impugnazione. Secondo la giurisprudenza più risalente, l'estinzione comporta inevitabilmente il passaggio in giudicato della sentenza gravata e ciò anche se non siano ancora decorsi i termini per impugnare [Cass. civ., sez. I, 4 novembre 1980, n. 5911, secondo cui, qualora, in pendenza del procedimento d'appello, dopo la notificazione dell'atto di gravame ancorché non seguita dall'iscrizione a ruolo e dalla costituzione in giudizio, l'appellante notifichi alla controparte, in pari data, rinuncia agli atti del procedimento instaurato con detto gravame, nonché una rinnovazione del gravame medesimo, il perfezionarsi di tale rinuncia, per effetto di accettazione della controparte (ovvero, anche a prescindere dall'accettazione, se la controparte non abbia interesse alla prosecuzione del giudizio), determina l'estinzione di quel procedimento d'appello ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, e, quindi, a prescindere dagli eventuali diversi scopi che il rinunciante si fosse proposti, implica l'inidoneità di detta rinnovazione del gravame a riattivare il precedente giudizio di secondo grado, ovvero ad instaurarne uno nuovo, ostandovi il divieto del bis in idem]. Secondo giurisprudenza più recente, invece, la consumazione del potere di impugnazione non si verifica in virtù della sola proposizione dell'impugnazione sulla quale incida una causa di inammissibilità o, in genere, un fatto estintivo del processo, bensì per effetto della dichiarazione giudiziale dell'inammissibilità o dell'improcedibilità della impugnazione stessa o dell'estinzione (per rinuncia o per altra causa) del relativo processo (Cass. civ., sez. I, 7 settembre 1999, n. 9475).
|