Clausole sociali e garanzia della retribuzione

20 Settembre 2018

La c.d. clausola sociale, prevista dall'art. 50 del nuovo codice dei contratti pubblici, non obbliga l'impresa subentrante ad assicurare ai lavoratori assorbiti le medesime condizioni salariali vigenti nel rapporto con l'appaltatore uscente, ma comporta invece l'obbligo di salvaguardare i livelli retributivi in modo adeguato e congruo.

La questione controversa. Nella vicenda esaminata dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento, un'impresa, classificatasi al terzo posto della graduatoria finale di una gara per l'affidamento del servizio di centralino telefonico di un'Azienda Sanitaria Locale, ha contestato il giudizio di congruità dell'offerta aggiudicataria espresso dalla stazione appaltante all'esito del relativo sub-procedimento.

Secondo il punto di vista illustrato in tre articolati motivi di gravame, l'Amministrazione non avrebbe adeguatamente considerato lo scostamento in diminuzione del trattamento retributivo previsto nell'offerta rispetto a quello garantito dall'appaltatore uscente ai lavoratori destinati ad essere riassorbiti dal subentrante in applicazione della specifica disposizione inserita nel disciplinare di gara ai sensi dell'art. 50 del D.lgs. n. 50 del 2016.

Più in particolare, la ricorrente ha sostenuto che la clausola sociale, inserita nella lex specialis, avrebbe imposto ai concorrenti di applicare determinate condizioni salariali imponendo l'applicazione di uno specifico CCNL (quello già in uso nel rapporto in essere): tale disposizione non sarebbe stata rispettata dall'aggiudicataria, che ha invece impostato la propria offerta facendo riferimento ad un CCNL relativo ad una diversa categoria di lavoratori, con una retribuzione oraria sensibilmente inferiore.

Di qui, dunque, le censure di illogicità ed irragionevolezza del giudizio di congruità dell'offerta vincitrice, oltreché di illegittimità dell'aggiudicazione in ragione del contrasto tra la dichiarazione di impegno al rispetto delle regole di gara e contenuti della proposta contrattuale, le quali tutte hanno posto la questione se la clausola sociale possa essere interpretata nel senso di imporre continuità di retribuzione in favore dei lavoratori impiegati nella commessa.

La decisione. Al quesito, il Consiglio di Stato ha risposto negativamente. Muovendo dall'opinione giurisprudenziale consolidata, secondo cui la clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost. a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione, e conseguentemente armonizzata e resa compatibile con il contesto dell'appalto e con l'organizzazione prescelta dall'imprenditore subentrante (tra le molte, Cons. Stato, Sez. III, 8 giugno 2018, n. 3471), i Giudici di Palazzo Spada hanno affermato che non solo essa non comporta alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata tutto il personale già impiegato dall'impresa uscente, ma non implica nemmeno il dovere di assicurare ai lavoratori riassorbiti identità di condizioni contrattuali: più in particolare, la clausola sociale non può imporre all'impresa aggiudicataria di avvalersi di un determinato contratto collettivo, ben potendo essa sceglierne uno diverso, purché coerente con l'oggetto e le mansioni dell'appalto e a condizione che esso assicuri un'adeguata e congrua salvaguardia dei livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 9 dicembre 2015, n. 5597).

Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, un'offerta non può ritenersi anomala per effetto di un automatismo conseguente all'applicazione di un CCNL anziché di un altro, il rispetto della clausola sociale dovendo essere accertato sulla base di un apprezzamento complessivo dell'offerta alla luce dell'organizzazione di impresa prescelta.

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