Deposito di atti e documenti da parte dei dipendenti di cui si avvalgono le PP.AA. per stare in giudizio
25 Giugno 2018
Massima
I funzionari di cui si avvalgono le Pubbliche Amministrazioni per stare in giudizio personalmente non sono soggetti all'obbligo del deposito telematico, anche se la parte che rappresentano è già costituita in giudizio. Il caso
Effettuato l'accertamento tecnico preventivo obbligatorio, in un procedimento in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, l'Inps, entro 30 giorni dalla comunicazione del giudice, deposita presso la cancelleria del Tribunale di Enna l'atto con cui contesta le conclusioni del consulente. L'atto scritto di cui all'art. 445-bis, comma 4, c.p.c., viene depositato in formato analogico in data 1° marzo 2016 dal Dott. G. S., dipendente delegato a rappresentare l'Istituto in quel procedimento, ai sensi dell'art. 10, comma 6, d.l. n. 203/2005. In data 22 marzo 2016 (quindi tempestivamente, entro 30 giorni dal deposito dell'atto di dissenso), l'Inps deposita il ricorso per l'introduzione del giudizio ai sensi dell'art. 445 bis, comma 6, c.p.c.. Il Tribunale, in data 23 marzo 2016 deposita il decreto di omologa dell'accertamento tecnico preventivo e con sentenza del 29 novembre 2016 dichiara l'inammissibilità del ricorso di cui al precedente capoverso, rilevando che il deposito di un atto in forma analogica, violando l'obbligo di deposito telematico di cui all'art. 16-bis del d.l. n. 179/2012, era inidoneo allo scopo di esprimere validamente le contestazioni all'accertamento tecnico.
Ricorre in Cassazione (evidentemente ai sensi dell'art. 111 Cost.) l'Inps, denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo da ultimo richiamato, in relazione agli art. 121 e 156 c.p.c., evidenziando come per i dipendenti abilitati alla difesa delle PP.AA. il deposito telematico degli atti e dei documenti sia solo facoltativo e non obbligatorio.
La questione
Il procedimento nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria è stato profondamente inciso dalle modifiche normative apportate con l'art. 38, comma 1, lett. b), n° 1) del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in L. 15 luglio 2011, n. 111 (che ha inserito l'art. 445-bis c.p.c.) e dall'art. 27, comma 1, lett. f) della l. 12 novembre 2011, n. 183 (che ha aggiunto all'art. 445-bis c.p.c. il comma 7 che prevede l'inappellabilità della sentenza che definisce i relativi giudizi).
In un'ottica di “degiurisdizionalizzazione” ante litteram è stato introdotto un accertamento tecnico preventivo obbligatorio (di seguito anche ATPO), quale condizione di procedibilità della domanda, idoneo ad evitare il giudizio ove gli esiti non siano contestati da almeno una delle parti. In un'ottica di deflazione del contenzioso, i provvedimenti conclusivi dell'accertamento tecnico e del successivo, eventuale, giudizio, non sono impugnabili.
Tali norme hanno portato a termine la riforma realizzata con il d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, in l. n. 102 del 2009, che ha accentrato nell'Inps la titolarità dell'accertamento del requisito sanitario per le provvidenze in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità (in questi termini Cass. sezione lavoro, sentenza 5 maggio 2015, n. 8932). In tale ambito, l'art. 10, comma 6, d.l. n. 203/2005, convertito nella l. 2 dicembre 2005, n. 248 (in un'ottica di maggiore economicità dell'azione amministrativa) ha previsto che “nei procedimenti giurisdizionali di cui al presente comma l'Inps, con esclusione del giudizio di Cassazione, è rappresentato e difeso direttamente da propri dipendenti.” Le soluzioni giuridiche
La risposta della Corte di Cassazione e la soluzione della questione non poteva che essere positiva per la ricorrente, dato il chiaro tenore letterale della disposizione invocata.
Con una ineccepibile ricostruzione della norma, dalla sua introduzione ad opera della l. n. 228/2012, alle sue modifiche ad opera del d.l. n. 90/2014 e del d.l. n. 83/2015, la sentenza ha accolto il ricorso, affermando il principio per cui “per i dipendenti delegati a difendere in giudizio le pubbliche amministrazioni il deposito telematico degli atti non è obbligatorio, bensì meramente facoltativo”. La sentenza dà anche conto dei motivi di tale disciplina specifica per questa categoria di soggetti processuali, evidenziando come la loro esclusione dall'obbligo del deposito telematico fosse stata introdotta con il d.l. n. 90/2014, al fine di alleviare l'impatto della novità sull'organizzazione delle PP.AA. Successivamente, con il d.l. n. 83/2015 è stata introdotta la facoltatività del deposito telematico anche per questi soggetti.
In conclusione, l'accoglimento del ricorso appariva scontato ed inevitabile. Osservazioni
Alla pronuncia in esame ed alla fattispecie concreta è possibile attribuire valenze ulteriori, che vanno oltre il principio di diritto affermato.
In primo luogo, è interessante notare come il Tribunale di Enna abbia fatto un'applicazione rigorosa del principio dell'obbligatorietà del deposito telematico, considerando inammissibile l'utilizzo, per i difensori delle parti già costituite, di una serie procedimentale diversa da quella prevista dalla legge per il deposito degli atti e documenti. Inammissibilità immediatamente rilevata dal Tribunale, che ha depositato il decreto di omologa dell'ATPO il giorno successivo al deposito del dissenso in forma cartacea; inammissibilità che si è poi riverberata sul ricorso ex art. 445-bis, comma 6, c.p.c. depositato (non si sa se telematicamente o su supporto analogico) entro i 30 giorni dalla manifestazione del dissenso. Dalla lettura dell'ordinanza in commento si rileva che il provvedimento impugnato si è occupato dello specifico tema della sorte degli atti e documenti depositati in forma analogica nelle ipotesi in cui la legge prevede l'esclusività del deposito telematico: purtroppo, la pregnanza della svista attinente profilo soggettivo compiuta dal giudice di merito ha reso superflua l'analisi e la trattazione della questione.
Sarebbe stato interessante, sotto questo aspetto, vedere come la Suprema Corte avrebbe interpretato l'obbligatorietà e l'esclusività previste dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, in relazione ai principi di cui all'art. 121 e 156 c.p.c., pure invocati in sede di ricorso. Se, cioè, sarebbe stato applicato il principio della libertà delle forme e del raggiungimento dello scopo, oppure quello più rigoroso (e doveroso, a parer mio) dell'inammissibilità della serie procedimentale non prevista dall'ordinamento. La personale propensione per la seconda opzione non deriva da sciovinistica preferenza per tutto ciò che è digitale, rispetto all'analogico, in questa materia, ma per evitare che l'obbligatorietà divenga un inutile precetto con lo svuotamento della sanzione insita nelle espressioni utilizzate dalla legge (obbligatorietà ed esclusività).
Ulteriore osservazione: la particolarità della decisione impugnata non consente di valutare se il ricorso ex art. 445-bis, comma 6, debba essere considerato atto di parte già costituita o atto introduttivo di un nuovo, ulteriore procedimento, diverso dall'ATPO. È evidente, in ogni caso, che l'opzione del deposito telematico anche di questo atto metterebbe al sicuro da ogni possibile interpretazione. |