Ricorso in Cassazione improcedibile in assenza di copia conforme del messaggio PEC e dei relativi allegati
23 Gennaio 2018
Massima
Il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato via PEC deve depositare nella cancelleria della Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio. Non è, invece, necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico. A fronte della pronuncia di tale principio di diritto, il Primo Presidente Aggiunto ha ritenuto superfluo l'intervento delle Sezioni Unite. Il caso
Ancora una volta la Suprema Corte affronta la delicata problematica della improcedibilità del ricorso per Cassazione, in assenza di copia autentica della notificazione della sentenza avvenuta a mezzo PEC al difensore del ricorrente. Anche in questo caso la Corte non ritiene superabile tale onere di produzione documentale, ritenendo però ultroneo il deposito anche di copia autentica della sentenza impugnata. La questione
Ribadisce la Corte che, l'art. 369, comma 2, c.p.c., dispone che il ricorrente debba depositare, unitamente al ricorso, copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione e relativo messaggio PEC, se questa è avvenuta. Tale onere secondo la Corte può essere adempiuto anche in un momento successivo ma sempre nel rispetto del termine dei 20 giorni successivi alla notifica del ricorso. Le soluzioni giuridiche
Se da un lato molte pronunce sono ormai concordi nel dichiarare l'improcedibilità del ricorso in assenza di autentica da parte dell'avvocato del messaggio PEC costituente la notifica della sentenza e dei relativi allegati, dall'altro molti dubbi permangono circa la necessità di allegare una ulteriore copia conforme della sentenza. L'ordinanza in commento risolve tale contrasto emanando il seguente principio di diritto: «ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d'improcedibilità, dall'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9 della legge n. 53/1994, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio. Non è necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico». Secondo la Corte, non è necessario il deposito di una ulteriore copia conforme in quanto il provvedimento impugnato è già contenuto nella copia autentica della notificazione a mezzo PEC. La Cassazione risolve così un contrasto giurisprudenziale, ma soprattutto dottrinale, circa la reale portata del potere di attestazione di conformità in capo al difensore che, secondo parte della dottrina (Reale, Vitrani) ha il potere di attestare la conformità esclusivamente delle copie analogiche delle notifiche a mezzo PEC inviate e non anche di quelle ricevute. L'ordinanza in commento, invece, richiama l'interpretazione estensiva, già sostenuta da alcuni commentatori (v. N. Gargano, Ricorso in Cassazione improcedibile senza copie conformi della sentenza impugnata e della notifica della stessa ricevuta via PEC, e N. Gargano, Improcedibilità del ricorso in cassazione in assenza di copia conforme della sentenza impugnata e della sua notifica via PEC, in IlProcessotelematico.it), secondo cui tale potere di attestazione sarebbe già previsto dall'art. 9, comma 1-ter, l. n. 53/1994. Secondo la Corte infatti, l'intervento normativo del d.l. n. 90/2014, ha superato proprio tale limitazione sancendo che«In tutti i casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis». Pertanto, non essendo in Cassazione attivo il processo telematico, per provare l'intervenuta notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve, si dovrà procedere ai sensi del comma precedente 1-bis, ovvero mediante estrazione di copia su supporto analogico. Naturalmente la copia riguarderà solo gli atti di cui l'avvocato dispone e quindi, se egli non è il notificante ma colui che ha ricevuto la notifica, oltre alla copia della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, l'avvocato estrarrà copia del messaggio di ricezione (in luogo della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna). Secondo la Corte, dunque, tale norma fornisce all'avvocato gli “strumenti” per poter adempiere all'onere imposto dall'art. 369 c.p.c. e pertanto non potrà ritenersi assolto tale onere mediante la produzione di una semplice stampa. Infatti, secondo la Corte i principi sanciti dalle norme del codice civile (artt. 2712 e 2719 c.c.), in base ai quali le copie per immagine hanno la stessa efficacia delle originali o delle autentiche se la loro conformità non è espressamente disconosciuta, assume rilevanza solo quando si tratta di attribuire ad un documento efficacia probatoria, da valere tra le parti. La Suprema Corte, richiamando in tale senso un costante orientamento (cfr. Cass. civ., 1 dicembre 2005, n. 26222; Cass. civ., 18 settembre 2012, n. 15624; Cass. civ., 8 ottobre 2013, n. 22914; Cass. civ., 26 maggio 2015, n. 10784) sostiene che tale regola non si possa applicare quando debbano essere operate verifiche, quali la tempestività di un atto di impugnazione rispetto ad un termine perentorio e quindi correlativamente la formazione del giudicato, avendo tali atti implicazioni pubblicistiche e non essendo nella disponibilità delle parti. Ciò, a dire della Corte, spiega anche perché l'art. 23, comma 2, d.lgs. n. 82/2005 (CAD), non è richiamato dall'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, 1. n. 53/1994. A conferire particolare rilevanza al provvedimento in commento è altresì intervenuta la pronuncia del Primo Presidente Aggiunto della Suprema Corte che, con decreto del 29 dicembre 2017 ha ritenuto non più necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite, come enunciato con ordinanza Cass. civ., 20 dicembre 2017, n. 30622. Osservazioni
Ad avviso di chi scrive, l'ordinanza in commento ha il pregio di portare ulteriore chiarezza su un dibattito iniziato all'alba della prima pronuncia Cass. civ., 15 marzo 2017, n. 6657, e alimentatosi in seguito (ex multis: Cass. civ., 10 ottobre 2017, n. 23668; Cass. civ., 16 ottobre 2017, n. 24292). Infatti, oltre al citato decreto del 29 dicembre 2017 con cui il Primo Presidente non ha più ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni Unite, appare di particolare importanza il chiarimento rispetto all'ordinanza Cass. civ., 9 novembre 2017, n. 26520 sancendo che non sussiste un ulteriore onere a carico della parte ricorrente di depositare anche la copia conforme della sentenza impugnata estratta dal fascicolo telematico del grado precedente e attestata ai sensi dell'art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. n. 179/2012. A parere dello scrivente (Cfr. N. Gargano, Ricorso in Cassazione improcedibile senza copie conformi della sentenza impugnata e della notifica della stessa ricevuta via PEC, e Improcedibilità del ricorso in cassazione in assenza di copia conforme della sentenza impugnata e della sua notifica via PEC, in IlProcessotelematico.it), la strada di una interpretazione estensiva dell'art. 9, l. n. 53/1994 è ormai tracciata anche in assenza di uno specifico intervento normativo e forse a discapito di chi, in un momento di incertezza sull'interpretazione normativa, ha ritenuto di non dover applicare in fase di iscrizione a ruolo dei ricorsi quell'eccessivo rigore oggi sancito dalla Suprema Corte. Si potrebbe dunque auspicare ancora una volta un intervento chiarificatore da parte del Legislatore, quantomeno opportuno a sanare la situazione di pregressa incertezza. Tale intervento peraltro apparirebbe in linea con quanto stabilito nella nota del Consiglio Nazionale Forense del 24 novembre 2017 con cui si manifestava, «perplessità» e «preoccupazione» per l'eccessivo rigore formale utilizzato nelle ultime pronunce di legittimità in tema di inammissibilità dei ricorsi. A detta del CNF, con cui lo scrivente si sente di concordare, tale rigore non sarebbe giustificato e neppure in sintonia con regole e scansioni del processo civile telematico, comportando «irragionevoli restrizioni del diritto ad una decisione nel merito, non allineate con la giurisprudenza della Corte EDU in tema di accesso alla giurisdizione». Tale rigidità, inoltre, non sarebbe connotata «da quella prudente ragionevolezza che deve ispirare l'interpretazione e l'applicazione delle norme processuali nella prospettiva di un giusto processo». |