Minaccia
27 Marzo 2018
Inquadramento
Il delitto di minaccia ex art. 612 c.p. è collocato nel Titolo XII del Libro II, Capo III, Sezione III del codice penale che riguarda i delitti contro la persona e, nello specifico, contro la libertà individuale e morale. Tale delitto, che ha natura di reato di pericolo, al comma 1 individua la condotta posta in essere da colui che minaccia ad un altro soggetto un danno ingiusto. In questo caso, il reato è procedibile a querela della persona offesa ed è punito con una multa. Il comma 2, invece, prevede delle circostanze aggravanti qualora la minaccia sia grave o sia fatta in uno dei modi indicati dall'art. 339 c.p. In questo caso si procede d'ufficio e la pena prevista, è la reclusione. Tale norma condanna la violenza psichica non come mezzo rivolto ad ottenere un altrui comportamento ma come fine, cioè in sé per sé. Per minaccia deve intendersi ogni mezzo idoneo a limitare la libertà psichica di un soggetto. È costituita da una manifestazione esterna che, a fine intimidatorio, rappresenta al soggetto passivo, in qualsiasi forma il pericolo di un male ingiusto, cioè contra ius, che in un futuro più o meno prossimo possa essergli cagionato dal colpevole o da altri per lui nella persona o nel patrimonio. Bene giuridico protetto
La dottrina ha molto dibattuto negli anni in merito all'individuazione del bene giuridico protetto dalla norma. A tutt'oggi rimangono ancora delle incertezze. Secondo una parte della dottrina, esso si individua nella libertà morale o psichica del soggetto, consistente nel sentimento della propria libertà che viene compromesso qualora sussista il timore generato dalla minaccia altrui. Altra parte della dottrina, invece, ritiene che esso debba individuarsi nel sentimento di tranquillità individuale inteso come l'interesse di ogni soggetto di vivere libero da preoccupazioni. I soggetti
Il soggetto attivo può essere chiunque si rende colpevole dei fatti descritti. Si tratta, pertanto, di un reato comune. Il soggetto passivo deve essere, invece, determinato o determinabile. Pertanto, per la configurabilità del reato di minaccia, è necessario che il destinatario della stessa sia individuato o individuabile (Cass. pen.,pen. Sez. V, 22 aprile 2014, n. 46472). Inoltre, quando con un'unica espressione verbale ci si riferisce a una pluralità di persone, si pone in essere un comportamento offensivo plurimo, che equivale al rivolgere la stessa frase a ciascuna delle persone presenti. Non è necessario che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, potendo quest'ultima venirne a conoscenza anche attraverso altri, cioè persona a lui legata da relazioni di parentela, di amicizia e di lavoro, in un contesto dal quale possa desumersi la volontà dell'agente di produrre l'effetto intimidatorio. Nel caso in cui soggetto passivo sia una persona incapace o un infante, il reato è escluso in quanto si ritiene che la minaccia non sia idonea a produrre l'effetto intimidatorio. Qualora, invece, sia una persona momentaneamente impossibilitata a percepire il significato della minaccia (ad esempio ubriachi, drogati, sonnambuli etc.) è configurabile quando la minaccia è stata pronunciata in presenza di altre persone e queste siano in grado di riferirla al soggetto quando sia tornato in condizioni tali da comprenderla. Elemento oggettivo
La condotta consiste nella minaccia ad altri di un danno ingiusto e ai fini dell'integrazione del reato è necessario che la minaccia, da valutarsi con criterio medio e in relazione alle concrete circostanze del fatto, sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, anche se non si verifica in concreto il turbamento psichico. Quindi, non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea a incidere sulla libertà morale del soggetto passivo (Cass. pen., Sez. I, 3 maggio 2016, n. 44128). Lo stato d'ira del minacciante, invece, non ha alcuna rilevanza (Cass. pen.,Sez. V, 2 ottobre 2013, n. 8387; Cass. pen., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 644). Elemento soggettivo
L'elemento soggettivo del reato di minaccia si caratterizza per il dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di minacciare ad altri un ingiusto danno ed è diretto a provocare la intimidazione del soggetto passivo, senza che sia necessario che in tale volontà sia compreso il proposito di tradurre in atto il male minacciato. Non è, quindi, rilevante il fine specifico che il soggetto attivo vuole perseguire nei confronti del soggetto passivo e possono non avere alcun rilievo i motivi che hanno indotto il soggetto all'azione, dal momento che lo stesso animus iocandi non è incompatibile con la volontà cosciente di minacciare un ingiusto danno alla persona offesa. L'elemento psicologico è escluso se il soggetto attivo agisce nell'erronea supposizione della legittimità del danno minacciato. Consumazione e tentativo
Il reato si consuma nel momento e nel luogo della percezione della minaccia da parte del soggetto passivo che si ha quando il mezzo usato abbia attitudine a intimorire, cioè a produrre l'effetto di diminuire la libertà psichica e morale del soggetto passivo. Per la consumazione del reato non occorre, pertanto, che tale effetto si verifichi, essendo sufficiente che la minaccia sia stata percepita dal soggetto passivo. Il tentativo, secondo autorevole dottrina, non sembra giuridicamente configurabile, trattandosi di reato di pericolo, in quanto la punizione del tentativo equivarrebbe alla punizione di un pericolo di pericolo (MANTOVANI, PtS I, 328). La giurisprudenza, però, ha ritenuto la configurabilità del tentativo quando il reato può essere commesso mediante un processo esecutivo frazionabile (Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2013, n. 9362: fattispecie in cui la lettera minatoria, contenente un proiettile, è stata intercettata prima di giungere al destinatario), anche se, nel caso di specie, si trattava di minaccia grave, quindi perseguibile d'ufficio, ciò che ha consentito di ritenere che non fosse di ostacolo all'ammissibilità del tentativo, è stata la necessità, per il perfezionamento del reato, che l'agente cagionasse l'effetto di far percepire l'intimidazione al soggetto passivo. Circostanze aggravanti
L'art. 612 c.p., al comma 2 prevede due circostanze aggravanti ad effetto speciale per il delitto di minaccia: 1. quando la minaccia è grave ed è tale quando la gravità della medesima è legittimamente desunta dall'insieme delle circostanze concrete nelle quali la minaccia è stata commessa e dalle condizioni particolari in cui si trovano i soggetti del delitto (Cass. pen., Sez. I, 5 aprile 1990, n. 9314). La gravità della minaccia va accertata avendo riguardo all'entità del turbamento psichico causato al soggetto passivo dall'atto intimidatorio, turbamento che si desume sia dall'entità del male minacciato, sia dall'insieme delle circostanze concrete nelle quali la minaccia è fatta e dalle condizioni particolari in cui si trovano l'autore del delitto e la persona offesa. In particolare, deve essere considerato il tenore delle eventuali espressioni verbali e il contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa (Cass. pen., Sez. VI, 16 giugno 2015, n. 35593). Pertanto, per stabilire se la minaccia è grave, occorre guardare non solo al male minacciato, ma a tutte le circostanze oggettive e soggettive che si accompagnano all'azione intimidatrice.
2. Quando la minaccia è posta in essere in uno dei modi previsti dall'art. 339 c.p. ovvero con armi o da persona travisata o da più persone riunite o con scritto anonimo o in modo simbolico o avvalendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete esistenti o supposte. La minaccia commessa con scritto anonimo deve sempre ritenersi grave, a meno che il male minacciato, per la sua obiettiva lievità, non sia tale da fare escludere, nel soggetto passivo, un vero e proprio turbamento psichico. Deve ritenersi integrato il reato di minaccia aggravato dall'uso dell'arma quando la minaccia verbale è accompagnata dall'ostentata presenza di un'arma della quale il soggetto ha immediata disponibilità, così da rendere credibile che essa possa essere adoperata in qualsiasi momento ed in stretta continuità con la condotta minatoria (Cass. pen.,Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6496). Per la sussistenza dell'aggravante, è sufficiente che la minaccia sia posta in essere mediante l'uso di uno strumento atto ad offendere indipendentemente dalla legittimità o meno del porto (Cass. pen., Sez. V, n. 19518 del 10/05/2006). L'uso di un'arma apparente può essere considerato alla stessa stregua dell'uso di un'arma vera, quando l'atto sia accompagnato da inequivocabili parole di minaccia o da un comportamento tale da far ritenere imminente o probabile l'uso dell'arma stessa. Ed è proprio per questo motivo che sussiste l'aggravante dell'uso dell'arma, quando la minaccia viene proferita con l'uso di un'arma giocattolo, in quanto, in unione con le ulteriori modalità con cui è attuata la minaccia determina un maggior effetto intimidatorio sull'animo del minacciato (Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2013, n. 10179).
Altre circostanze aggravanti sono previste:
Cause di giustificazione
La minaccia che ha il fine di impedire un reato, deve considerarsi lecita quando sussistono i presupposti della legittima difesa. Pertanto, non integra il delitto di minaccia né la condotta di colui che mostra un'arma né le locuzioni intimidatrici espresse in forma condizionata, quando non sono dirette a restringere la libertà psichica del soggetto passivo ma a prevenirne un'azione illecita o inopportuna e sono rappresentative della reazione legittima determinata dall'eventuale realizzazione di dette azioni (Cass. pen., Sez. V, 4 maggio 2007, n. 29390; Cass. pen.,Sez. V, 15 febbraio 2007, n. 8131; Cass. pen., Sez. V, 7 febbraio 2014, n. 14054). Rapporti con altri reati
Per ciò che concerne il rapporto con altri reati, bisogna tenere presente che, alla luce del principio di specialità, il reato di minaccia non si applica quando la stessa rappresenta elemento costitutivo o circostanza aggravante di un'altra norma incriminatrice. Può concorrere, quindi, con altri reati solo quando la minaccia assume un rilievo autonomo. Il reato di violenza sessuale concorre con quello di minaccia, non sussistendo alcun rapporto di assorbimento tra gli stessi, quando la condotta intimidatoria, se anche parzialmente strumentale alla realizzazione del delitto di cui all'art. 609-bis c.p., riveste una valenza in parte autonoma, svincolata dal compimento dell'attività sessuale coatta (Cass. pen.,Sez. III, 12 marzo 2014, n. 23898). Il reato di violenza privata si distingue dal reato di minaccia per la coartata attuazione da parte del soggetto passivo di un contegno commissivo od omissivo che egli non avrebbe assunto, ovvero per la coartata sopportazione di una altrui condotta che egli non avrebbe tollerato. Ne consegue che i due reati, pur promossi da un comune atteggiamento minatorio, dando luogo ad eventi giuridici di diversa natura e valenza, concorrono tra loro (Cass. pen.,Sez. VI, 9 ottobre 2008, n. 14). Non è configurabile il concorso formale tra il delitto di (tentata) violenza privata e quello di minaccia aggravata, in quanto quest'ultima costituisce elemento costitutivo del delitto di (tentata) violenza privata, ed è pertanto in esso assorbita (Cass. pen., Sez. V, n. 43219 del 17/10/2008). Il reato di maltrattamento in famiglia assorbe il reato di minaccia in quanto rientra nella materialità di detto delitto (Cass. pen., Sez. V, 14 maggio 2010, n. 22790). Il reato di minaccia è assorbito interamente in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 c.p.), tanto da perdere la sua autonomia e diventarne elemento costitutivo (Cass. pen.,Sez. VI, 6 dicembre 2013, n. 49867). In tema di abuso di ufficio, atteso il carattere residuale del reato previsto dall'art. 323 c.p. deve escludersi, in applicazione della regola della specialità prevista dall'art. 15 c.p., il concorso formale di tale reato con quello più grave di minaccia aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 9 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 13 dicembre 2007, n. 2974). Il delitto di atti persecutori assorbe quello di minaccia perché gli atti intimidatori rientrano tra gli elementi qualificanti della fattispecie (Cass. pen., Sez. V, n. 41182 del 10/07/2014). In tema di molestia o disturbo alle persone, la norma dell'art. 660 c.p. mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata e la relativa contravvenzione è procedibile d'ufficio. Ne consegue che, quando il fatto sia perseguibile anche quale minaccia, l'assenza della querela per tale ultimo reato o la relativa remissione non influiscono sulla procedibilità dell'azione per il reato contravvenzionale, mentre quest'ultimo, nel caso di contestuale perseguimento del delitto punibile a querela, resta invece assorbito nella fattispecie più grave (Cass. pen.,Sez. I, 27 giugno 2014, n. 31265). Tra il reato di minaccia previsto dal codice penale militare di pace e il corrispondente reato comune, non è ravvisabile il concorso formale, bensì il concorso apparente di norme, poiché nella struttura dei reati militari sono compresi anche gli elementi obiettivi e subiettivi propri dei corrispondenti reati comuni, in ragione della plurilesività dei primi che offendono, oltre alla persona, anche l'interesse alla coesione e all'ordine delle Forze Armate (Cass. pen., Sez. I, 11 maggio 2011, n. 26188). Profili processuali
Procedibilità. Il delitto di minaccia è procedibile a querela nell'ipotesi prevista dal comma 1 e in presenza dell'aggravante prevista dall'art. 1 della l. 107/1985 quando il fatto è commesso in danno di persona internazionalmente protetta. Il comma 2 della legge prevede inoltre anche un'altra ipotesi di condizione di procedibilità; ovvero prevede che sia punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro di grazia e giustizia, il cittadino che commette all'estero uno dei reati indicati nell'articolo 1 (tra cui il reato di minaccia); lo straniero che commette all'estero uno dei reati indicati nell'articolo 1 in danno di persona che goda della speciale protezione previste dall'articolo 1 della Convenzione per la prevenzione e la repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette, compresi gli agenti diplomatici, a causa delle funzioni che essa esercita per conto dello Stato italiano; lo straniero che commette all'estero uno dei reati indicati nell'articolo 1, quando si trovi nel territorio dello Stato e non sia disposta l'estradizione.
Il reato è, invece, procedibile d'ufficio nell'ipotesi aggravata disposta dal comma 2 e in presenza dell'aggravante prevista dall'art. 71 del d.lgs. 159/2011 quando il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale.
Autorità competente. Le ipotesi semplici sono assegnate alla cognizione del Giudice di pace, mentre le ipotesi aggravate sono assegnate alla competenza del Tribunale monocratico.
Termini di prescrizione. Il termine di prescrizione nelle ipotesi di competenza del giudice di pace, è quello ordinario di cui all'art. 157, comma 1, c.p. e non quello triennale previsto dall'art. 157, comma 5, c.p. considerato che esso ne prevede l'applicabilità per il reato per il quale la legge stabilisce pene diverse da quelle detentive e da quella pecuniaria, le quali – come anche ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2 del 2008 – non possono identificarsi con le sanzioni paradetentive, applicabili nella specie, in quanto nel diritto vigente non sono previste dalla legge come sanzioni applicabili in via esclusiva per determinati reati, come richiesto dal disposto dell'art. 157, comma 5, c.p. ma costituiscono oggetto di un'opzione del giudice in alternativa all'irrogazione della pena pecuniaria; inoltre, l'art. 58 del d.lgs. 274 del 2000 espressamente equipara, per ogni effetto giuridico, le sanzioni paradetentive alle pene detentive con la conseguenza che anche ai reati di competenza del Giudice di pace deve applicarsi la disciplina della prescrizione prevista per i reati sanzionati con pena detentiva (Cass. pen., Sez. V, 11 gennaio 2008, n. 8268).
Autonomia dell'ordinamento sportivo. La previsione di cui all'art. 2 del d.lgs. 220/2003 convertito con modificazioni dalla l. 280 del 2003 (disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), per il quale fatti di rilievo disciplinare sono devoluti, per disposizione statutaria, alla cognizione degli organi di giustizia sportiva, comporta l'obbligo per i tesserati di adire il competente organo della giurisdizione sportiva prima di adire l'autorità giudiziaria ed ha carattere tassativo in modo tale che l'eventuale trasgressione integra fatto rilevante sul piano disciplinare, specificamente sanzionato. Tuttavia, tale preclusione, che trova la sua ratio giustificativa nel carattere sostanzialmente privato dell'ordinamento sportivo e nel regime di autonomia negoziale che l'informa, sub specie della libera accettazione manifestata dagli aderenti al momento del tesseramento, attiene all'ambito interno di detto sistema e, pertanto, non può comportare alcun impedimento all'accertamento di fatti penalmente rilevanti che si verifichino nello svolgimento di eventi sportivi o nella dinamica dei rapporti tra tesserati ed istituzione sportiva o, comunque, di situazioni maturate in seno al relativo ordinamento (Cass. pen., Sez. V, 11 marzo 2011, n. 21301). Casistica
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